Puntare sui cavalli sbagliati è una mossa che può rivelarsi letale. Per informazioni chiedere a Carlo Calenda e Matteo Renzi. L’hanno vissuto sulla propria pelle, fidandosi l’uno dell’altro (almeno per qualche mese, il tempo di polverizzare il Terzo Polo); ma anche degli altri, come risulta evidente in questi giorni. Uno dei tre “siciliani” terzopolisti eletti in parlamento, Giuseppe Castiglione, è caduto nella tela di Antonio Tajani ed è tornato in Forza Italia dopo quasi dieci anni trascorsi a girovagare. Castiglione, ch’era diventato l’uomo di Calenda, se n’è andato per l’incapacità del suo leader di saper aggregare. Per aver fatto fuori Renzi, insomma. Anche se oggi il leader di Azione sostiene che c’entrino i suoi rapporti con Cuffaro.
Una notizia partita con la menzogna non giungerà mai alla verità (che sia merito di Angelino Alfano questo ritorno di fiamma con FI?), e l’obiettivo di questo giornale non è certo scoprirla. Bensì evidenziare che nella breve cavalcata siciliana di Calenda – ogni tanto ci torna da queste parti, ma solo per insultare – non resta più traccia di Azione. Né del Terzo Polo. Dopo il tira e molla con Castiglione, terminato con l’addio, gli unici eletti in Sicilia rimangono Faraone (fedelissimo dell’ex premier, diventato capogruppo in quota Italia Viva) e lo stesso Calenda, che si è appropriato del seggio al Senato grazie all’elezione nel plurinominale Sicilia 2-02. Attorno a loro, il vuoto. Facile capirne il motivo: sia Calenda che Renzi, alla ricerca di una collocazione geografica sulla scena politica nazionale, nell’Isola si sono affidati a transfughi poco raccomandabili (nell’eccezione politica del termine), che alla prima occasione hanno scelto di darsela a gambe.
Castiglione è l’esempio evidente, e anche l’ultimo in ordine di tempo. L’incontro peggiore, però, Calenda deve averlo fatto nell’estate 2022 con Gaetano Armao. “E’ l’uomo giusto per fare il governatore”, disse spellandosi le mani. Già alle prime uscite pubbliche i segnali non furono incoraggianti: scarsa affluenza e mugugni all’interno della stessa coalizione. Il risultato nelle urne fu anche peggio: un misero 2,20% che non consentì al Terzo Polo di eleggere un solo deputato all’Ars. Ma ciò che verrà dopo è addirittura peggio: nell’ottobre di quell’anno, fresco di sconfitta, Calenda decise di affidare all’ex vicegovernatore e assessore all’Economia – notoria la sua vicinanza a Raffaele Lombardo, prima di battere la strada degli indignados e dello sbarco in Forza Italia – l’incarico di responsabile delle politiche euromediterranee di Azione. Fu l’ultimo sussulto insieme.
Nel volgere di poche settimane, infatti, Armao si (ri)fece spazio nei corridoi della Regione, divenuto il territorio di conquista di Renato Schifani. Un passettino alla volta fino a diventare consulente per le questioni e i fondi extraregionali (strappando, di fatti, la delega alla programmazione a Marco Falcone) e, in seguito, presidente della Cts, la Commissione tecnico-specialistica che si occupa del rilascio delle autorizzazioni ambientali. Insomma, parte attiva di un sottogoverno extralarge, in cui molti fedelissimi del nuovo governatore hanno trovato spazio. Il cerchio è diventato un circo.
Senza preferire verbo, Armao – reduce da cinque anni disastrosi come assessore all’Economia – si è ritrovato così nell’insolito ruolo di vicegovernatore occulto della Regione, fra i consulenti più “considerati” da Schifani. Come per magia, gli appuntamenti palermitani con Calenda sono stati cancellati e le parole sul futuro della missione del Terzo Polo archiviate per sempre: “Continueremo a lavorare per rafforzare una proposta politica che aggrega riformisti, liberali e popolari che hanno dato un contributo determinante a scrivere la Costituzione, a ricostruire l’Italia portandola in Europa, a combattere terrorismo e mafia”, scriveva Armao dopo lo schiaffo elettorale del settembre 2022. In poche settimane, però, la fiamma s’è spenta. Gli affari sono pur sempre affari e Armao tornerà in pista, alla sua maniera. Accantonando i pensierini da social, tipo questo: “Una consolazione mi sia data possibilità di esternare – disse dopo aver raccolto le briciole alle Regionali -: poter finalmente fare a meno di incontrare, per dovere istituzionale, esponenti di quella “ciarpame della politica” che utilizza le proprie posizioni istituzionali e politiche per l’esercizio più becero del potere, infischiandosene dei problemi dei siciliani, la cui unica ambizione, tra un “abuso” e l’altro, è quello di gestire l’agonia della nostra terra”.
Renzi, invece, non ha mai sbagliato candidato (ma solo per il fatto di non averne più espressi). L’ultima scottatura si chiama Luca Sammartino, accolto gioiosamente nella famiglia di Italia Viva prima del transito, inspiegabile a parole, nella Lega e nel centrodestra. Ma l’ex premier è accomunato a Calenda, anche adesso che le strade si sono separate, per non essere riuscito nella missione di creare nuova classe dirigente a sostegno dell’azione politica “moderata” (tanto che i candidati di spicco per Bruxelles sono Fabrizio Micari, ripescato last minute, per gli Stati Uniti d’Europa; e Sonia Alfano, per Azione).
In Sicilia i centristi votano i Lombardo e soprattutto i Cuffaro. Personaggio, quest’ultimo, che ha consentito ai duellanti di poter battere un colpo anche in quest’ultima tornata elettorale. Calenda, grazie a Cuffaro, è diventato graffiante e forcaiolo come mai prima d’ora. Sembra un’ossessione la sua, come dimostra l’addio a Castiglione e il rigurgito rancoroso per le amicizie di lui. Renzi, invece, con l’ex governatore non è giunto a nulla. Ci ha flirtato a lungo senza riuscire a raggiungere l’accordo, e dovendo rinunciare persino a un paio di candidature perché considerate parte del suo cono d’ombra: Marco Zambuto e Laura Abbadessa. Eppure, grazie a lui, è riuscito a riaffermare la sua indole garantista, spiegando che “proprio perché Cuffaro non è mio alleato mi sento di difendere il principio per cui i diritti costituzionali non possono essere sospesi per editto mediatico”. Ha finto di difenderlo, e in realtà s’è guardato bene dal provare a smontare le teorie dei suoi alleati – a cominciare da +Europa – che ha posto un sacco di ostacoli lungo il tragitto, fino alla minaccia di sabotare tutto.
E’ questo il peccato originario di Renzi e Calenda, in Sicilia: essersi affidati troppo spesso a persone sbagliate, trombati e transfughi senza un domani.