Questo Pd, per poco, rischiava di perdere pure Pietro Bartolo, medico di Lampedusa ed europarlamentare uscente, e allora sì che sarebbe stato un guaio d’immagine bello grosso. Però, almeno in Sicilia, la segretaria Elly Schlein ha salvato le apparenze. Che forse mascherano, o fanno passare in secondo piano, il fatto di aver perso la faccia un anno e mezzo fa, quando alla Regione venne candidata Caterina Chinnici, che nel giro di qualche mese avrebbe salutato la compagnia per aggregarsi a Forza Italia. Ma il Pd ha perso molto altro: le Regionali, quando Chinnici, emersa dalle primarie, è arrivata addirittura terza alle spalle di De Luca; ha perso malissimo le Politiche, dove la maggior parte dei candidati erano papi stranieri (ricordate la sindacalista Annamaria Furlan residente a Genova?); e persino le Amministrative di Palermo e Catania, dove ha mascherato le proprie vergogne con due civici volenterosi ma inefficaci (Franco Miceli e Maurizio Caserta); e probabilmente perderà anche le prossime Europee, se l’andazzo dei sondaggi venisse confermato.
E’ un partito a perdere, come tutta la sinistra. Nell’Isola con qualche sfumatura in più. Persino i Verdi di Bonelli e i radicali di Fratoianni hanno fatto meglio: agganciando, ad esempio, Leoluca Orlando. Un altro dei fuoriusciti dal Pd. Non che Orlando abbia qualche vanto di buona amministrazione, specie nell’ultima legislatura, ma visto che va tanto di moda schierare i campioni dell’antimafia, l’ex sindaco di Palermo avrebbe posseduto almeno un requisito da sfoggiare. E invece no: perché ai tentativi di autocandidatura paventati nei mesi scorsi, la Schlein non ha neppure risposto – né sì né no – e Orlando, che ne aveva le scatole piene, ha trovato ospitalità nella lista Avs, che somiglia più all’acronimo di un’associazione di volontariato che a quello di un partito politico (Alleanza Verdi e Sinistra).
Il Pd aveva perso la Chinnici senza colpo ferire. E’ vero: si tratta di un caso controverso e di un passaggio burrascoso (lo stesso Barbagallo, segretario dem, si disse “basito e disgustato”), ma che temi hanno messo in campo la Schlein e la dirigenza regionale per provare a trattenerla? Quest’ultima, se Chinnici dicesse il vero, ha fatto il possibile per farla scappare: “Io da non iscritta avevo dato la mia disponibilità a correre (per le Regionali, ndr) – ha spiegato nella famosa intervista del Corriere della Sera, ad aprile ’23 – ma poi non ho avuto nemmeno il supporto di tutto il Pd”. E ha perso malamente. Ma il Pd, questo Pd di Elly Schlein, ha perso per strada anche l’anarchica Ilaria Salis, reclusa a in Ungheria, ma disponibilissima a candidarsi. Anche in questo è la sinistra ecologica ad aver preso la palla al balzo. Ai dem, specie in Sicilia, rimarranno persone degnissime – in primis Giuseppe Lupo, che la Chinnici aveva relegato in panchina per questioni di impresentabilità – ma non in grado di elevare il rating del partito. Anzi.
Peraltro anche la segretaria nazionale, che dovrebbe essere capolista nelle Isole, sta avendo i suoi guai. Come evidenziato da un articolo di Alessandro De Angelis sull’Huffington Post: “Voleva candidarsi ovunque contro Giorgia Meloni, ritenendo vantaggiosa la polarizzazione del gioco a due (…) Ma, davanti alle resistenze del suo partito ha cambiato lo schema”. “Voleva, a quel punto, candidare ovunque dei civici, tutti esterni e in contraddizione tra loro per storia e convinzioni. Un aperto atto di sfiducia nei confronti del suo partito (…) Ma non è riuscita perché, avendo accettato il negoziato con le correnti, ha dovuto cedere un po’ qui un po’ lì”. Infine, “per nascondere il cedimento, ha proposto di inserire il suo nome nel simbolo del partito, un altro clamoroso inedito a sinistra: la trasformazione del Pd in un partito del capo”, “e invece è tornata indietro, davanti alla rivolta del suo partito, a partire da coloro che l’avevano sostenuta.
Una retromarcia continua. Una sfiducia sempre più insistente. Il primo a catapultarla nella realtà era stato Giuseppe Conte, dopo le torbide vicende di Bari e l’impossibilità di trovare un candidato sindaco in comune. La rottura coi Cinque Stelle, che non è esattamente un tema nuovo nell’agenda politica nazionale (soltanto Renzi e Calenda vantano un percorso più accidentato), non ha portato niente di buono. Né al Pd e neppure al Movimento, basti guardare i risultati ottenuti alle recenti regionali (Abruzzo e Basilicata). E con le Europee come la mettiamo? Conte ha deciso di utilizzare due argomenti: la pace (inserita nel simbolo) e l’antimafia. Per cavalcare quest’ultimo ha imposto la presenza in lista, come capolista nella circoscrizione Isole, dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci (spuntate un’altra casella alla voce ‘fuoriusciti dal Pd’). Dietro di lui, però, il nulla.
Basti pensare che dalla frequentatissima consultazione online, il preferito del pubblico è stato l’ex sindaco di Bagheria Patrizio Cinque, che ha ottenuto poco più di 800 voti. Quanto un consigliere comunale in un paese sotto i quindicimila abitanti. Con 23.744 votanti su 159.908 iscritti alla piattaforma SkyVote, si giocherà le proprie carte per l’europarlamento gente che ha preso 471 preferenze, come nel caso della signora Rosa Conti, docente del liceo “Galilei” di Catania. Se insegnasse matematica, già saprebbe che le chance di elezione a Bruxelles sarebbero risicate. Peraltro sono stati bocciati, perché rimasti al di sotto della soglia utile, ex parlamentari come Giovanni Di Caro (che è stato anche capogruppo all’Ars nel finale della scorsa legislatura) e Federico Piccitto, che è stato sindaco di una città come Ragusa, dove i grillini avevano costituito la loro prima colonia nel 2013.
Qualcuno ci dica come è cresciuto il Movimento. Se dritto o storto. Giustamente il referente regionale Nuccio Di Paola fa buon viso a cattivo gioco: “Ancora una volta il Movimento 5 Stelle ha dato dimostrazione di partecipazione attiva dei propri iscritti che, con il proprio voto sulla piattaforma on line, hanno determinato la composizione delle liste dell’imminente competizione europea. A differenza dei partiti che si chiudono nelle segrete stanze o si affidano a campioni di preferenze, con metodi che risultano talvolta oggetto di indagini da parte della magistratura, noi da sempre diamo voce ai cittadini, sbarrando le porte a chi non presenta casellari giudiziali puliti”. Basterà?
Ad essersi messi maggiormente in mostra, nell’arco di questa campagna, sono però gli ex grillini: l’ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti, per aver osteggiato in ogni modo l’alleanza di Emma Bonino e di +Europa con Matteo Renzi, utilizzando la presenza (poi saltata) di Totò Cuffaro, per sabotare l’accordo; Laura Castelli, passata con De Luca, per aver evidenziato che “la politica deve essere una cosa pulita, non un accordo con chi è stato condannato per reati di mafia”; Ignazio Corrao, eletto due volte in Europa, per aver rifiutato una sua candidatura altrove. Basterebbe riciclarsi per avere una nuova vita, qualcuno l’ha fatto e altri no. Il M5s, nel frattempo annaspa, e resta in attesa di nuova classe dirigente che però non arriva (come la deroga al tetto dei due mandati).