Uno spettacolo a dir poco indecoroso. Una rissa da angiporto. Una partita giocata senza regole e arbitrata da uno con indosso la maglietta di una delle due squadre in campo, in nome e per conto, peraltro, della Schlein.

Alla fine un partito sfregiato ha deciso di affidare ai soli iscritti la scelta del nuovo segretario regionale e dei nuovi organismi, cancellando le “primarie” che dal 2005 hanno rappresentato una delle caratteristiche più proprie, quasi identitarie, di quella formazione politica, un metodo che, dopo la fine dei grandi partiti di massa e la crisi delle tradizionali ideologie, la identificava e distingueva nel panorama politico nazionale. Attraverso le primarie, sostituendo o comunque compensando la crisi della militanza, tanti cittadini si sono sentiti protagonisti nei passaggi più importanti. Le lunghe file davanti ai gazebo più volte hanno dato prova di una vitalità e di una partecipazione che le altre forze non hanno mai avuto.

Con le primarie è stata eletta la Schlein, sovvertendo la scelta precedente degli iscritti, togliendo ai caicchi il tradizionale potere di interdizione, creando una unità almeno finora utile e indiscussa e realizzando la condizione per recuperare una parte dell’elettorato rifugiato nell’astensionismo.

In Sicilia il nuovo segretario regionale verrà scelto dagli iscritti, dai titolari delle tessere, da una supposta militanza che, se ci fosse davvero, si manifesterebbe nei territori e attraverso i “circoli”, di fatto inesistenti.

Ci si chiede perché un partito che negli ultimi anni ha perduto tutte le elezioni, che alle europee ha ottenuto il 10% in meno della media nazionale, che governa uno solo dei nove capoluoghi, che non appare per nulla alternativo alla destra e che anzi, in molte occasioni, con quella ha cogestito una parte delle risorse di una Regione sempre meno capace di incidere sulla realtà isolana, decida di chiudersi, scelga di non tentare di chiamare quanti rimangono fuori dall’impegno politico.

Sarebbe indispensabile ridurre il solco che separa la gente dalla vita delle istituzioni e ancor più da quella dei partiti e si sceglie invece di approfondirlo, chiudendo i varchi della partecipazione.

Eppure potrebbe essere questo uno dei motivi che hanno spinto Barbagallo e molti dirigenti democratici alla soluzione adottata nell’ultima assemblea. Hanno vinto la furbizia, il calcolo di chi ha capito che restringendo la base elettorale poteva garantirsi la sopravvivenza. E forse della furbizia c’era anche in coloro che avevano perso con Bonaccini e che hanno condotto la battaglia in favore delle primarie, con la convinzione che ne sarebbero stati premiati.

Si è irrilevanti, si è consapevoli di esserlo, di non potere diventare attori veri, di non rappresentare un’alternativa reale a chi governa. Allora non rimane che la sopravvivenza, l’autoconservazione e, deboli, si diventa arroganti, si calpesta ogni regola, non ci si preoccupa neppure di rispettare le forme.

Ciò che è successo in questi giorni tra i democratici siciliani, come detto, è stato avallato dalla segretaria nazionale attraverso un suo “messo”. Forse non ci si sarebbe aspettato che la Schlein smentisse i solenni proclami, l’insistente richiamo ai valori, per tutelare i propri referenti locali, quelli che hanno le maggiori e non esclusive responsabilità dei ripetuti insuccessi elettorali, quelli che hanno esposto il Pd al ridicolo, che si sono perfino rifiutati di controllare la regolarità del voto, che non hanno voluto prendere in considerazione le firme di 5.000 iscritti (la mia compresa) che chiedevano le primarie.

E comunque lunga vita a Schifani, al suo governo, alla destra e lunga vita a Barbagallo e agli schleiniani (si dice così?) che, inanellando altre sconfitte, manterranno comunque la titolarità della “premiata ditta”.