I sondaggi, alla Regione siciliana, registrano un balzo in avanti del partito dell’emergenza. E’ quello che va per la maggiore ai tempi del Coronavirus. Impugna la realtà, fossilizza le riforme, non promuove il cambiamento. Sostiene che nulla sarà come prima pur di lasciare tutto com’era. Immutato. Lo scenario di una crisi è funzionale alla conservazione dello status quo della politica. A spopolare in tv e non occuparsi delle lacrime amare dell’ordinario. A trincerarsi dietro l’eccezionalità del momento e lasciare indietro un mucchio di compiti per casa. A non fare ciò che andava fatto da sempre. Un fenomeno accentuato dalle nostre parti, dove il governo decide (poche cose) e gli altri guardano.
L’emergenza giustifica tutto e si paga con il silenzio: chi corregge o critica, in realtà strumentalizza. Musumeci è libero di chiedere l’applicazione dell’articolo 31 dello Statuto, che venne scritto nel ’46, prima della Costituzione. Ma l’opposizione non può ribattere che sembra uno scherzo e, anziché guidare l’esercito, sarebbe più opportuno governare la Regione. “Non è il momento di polemiche inutili – ha gridato il vice governatore Armao – specie se arrivano dal Pd” che meno di una settimana prima “ha sfidato il presidente a emettere ordinanze proprio ai sensi dell’articolo 31”.
Musumeci in questi giorni di crisi ha consolidato il suo essere “presidente”. Ha ampliato le facoltà delle sue mansioni. Si è impossessato a tal punto del ruolo da “abusarne”. Presentarsi alle 4.30 del mattino all’aeroporto di Punta Raisi, per spacchettare mascherine, è qualcosa che va al di là del suo ruolo di rappresentanza e di indirizzo politico-amministrativo. E’ qualcosa che attiene ad altri ruoli e ad altri mestieri. Il governatore, però, ha preferito prendersi la scena anche stavolta, e ha respinto con perdite il tentativo – da parte di alcuni deputati dei Cinque Stelle – di rivendicare un po’ dei meriti di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, e dei suoi rapporti con la Cina. Guai. Le schermaglie si sono riversate sui social: assessori contro deputati, alla luce del sole. Come se il Coronavirus, fenomeno di per sé gravissimo, ci avesse fatto perdere la capacità di guardare avanti e di guardare oltre.
Un “oltre” inteso in senso ampio: non solo misure economiche in grado di contrastare l’emergenza di famiglie e imprese; ma anche altre questioni riposte nei cassetti da fine febbraio, quando la nostra quotidianità è cambiata e l’esigenza della politica di mettersi a ruota della crisi, schierando task-force e comitati scientifici, ha offuscato tutto il resto. Nessuno si ricorda più della legge sui rifiuti, dell’abolizione del voto segreto, dei vitalizi, della riforma urbanistica e di quella del turismo. Nessuno si ricorda più che manca da 13 mesi un assessore ai Beni culturali, dopo la scomparsa prematura di Sebastiano Tusa. Che da metà febbraio si sarebbe dovuto provvedere al turnover dei dirigenti generali dei dipartimenti. E che la maggioranza non esiste, è sfaldata da un paio d’anni, e che fin quando Musumeci non deciderà d’intervenire, l’Isola vivrà sempre un futuro d’incertezza.
Un’incertezza che il partito dell’emergenza non può scongiurare. Piuttosto, la cavalca. Che fine hanno fatto gli assessori della giunta Musumeci, compressi dall’ego del suo leader? La maggior parte è lì, a fare da schermo invisibile. Ruggero Razza, responsabile della Salute dei siciliani, è l’unico legittimato a indossare lo scudo e prendere parte alla contesa. Si occupa di sanità e deve rimanere in trincea perché il ruolo glielo impone. Il collega Gaetano Armao dovrebbe occuparsi di economia, ma tutti i provvedimenti vagheggiati fin qui – dalla moratoria dei mutui con Ircac e Crias, ai 30 milioni per l’Irfis, passando per il provvedimento da 150 milioni che garantisca liquidità alle imprese – sono rimasti sulla carta. Senza Legge di Bilancio non si canta messa, e solo ieri la giunta ha messo a punto uno schema da proporre alla commissione Bilancio e all’aula (ma prima bisognerà battere cassa a Roma). Non si può andare per le lunghe, perché il 30 aprile scade l’esercizio provvisorio.
Tra i difensori d’ufficio di Musumeci ci sono alcuni assessori che, senza Coronavirus, si troverebbero incartati nel giochino del rimpasto. Giochino che il governatore rinvia da mesi per ingannare il tempo e pure gli alleati: Mimmo Turano, assessore alle Attività produttive, non ha ancora sfoderato il pacchetto di misure tanto atteso, ma ha fatto da tramite col distretto Meccatronica per distribuire le mascherine fatte in casa; Edy Bandiera, il cui incarico all’Agricoltura vacilla per l’intromissione della Lega, ha preso le parti del governatore sull’attuazione dell’articolo 31, spiegando che “di fronte ad una situazione straordinaria, servono poteri straordinari”. Il forzista ha messo in evidenza la bontà delle azioni del governo Musumeci, “a partire dal tempestivo richiamo a non venire in Sicilia, fino al blocco di tutti i collegamenti con l’Isola” che avrebbero “consentito la tenuta del sistema”. Poi c’è Roberto Lagalla, che si è limitato a un incontro in videoconferenza con i sindacati per tutelare i lavoratori della formazione e, qualche giorno fa, ha omaggiato di qualche tablet gli studenti più svantaggiati, per consentirgli l’accesso alle aule virtuali. L’ancoraggio alla figura di un presidente che si dimena nell’emergenza, ancorché un impegno solido per rimettere in moto la macchina del governo, permetterà a tutti loro di guardare avanti con fiducia e un minimo di serenità.
A palazzo dei Normanni, inoltre, Musumeci può contare sul suo, di partito. Diventerà Bellissima. Il capogruppo Alessandro Aricò, sempre molto generoso nelle lodi al colonnello Nello, ha segnalato come tutti “coloro che oggi continuano a criticare Musumeci sono in gran parte gli stessi che lo accusarono di “terrorismo psicologico”, di “demagogia” e “di propaganda irresponsabile” alcune settimane fa, quando il nostro governatore per primo chiese la sospensione dell’arrivo di turisti dalle zone di maggiore contagio. E’ evidente che a livello statale nella catena di comando relativa ai controlli sull’emergenza Coronavirus ci siano stati finora ritardi e disorganizzazione, come dimostrano ampiamente le cronache relative agli sbarchi sullo Stretto di Messina”. La presidente della quarta commissione, Giusy Savarino, invece ha salutato con entusiasmo l’arrivo del carico cinese: “Complimenti Presidente! Mentre altri chiacchierano, qui fatti concreti! Hai fatto bene a cercare da solo ciò che Roma non ci dà, non aspettiamo che dal governo nazionale facciano il loro dovere, non è colpa loro, non lo sanno fare. Tu sì!”.
Al partito dei fedelissimi, fuori da Palermo, si è iscritta anche Giusi Bartolozzi, deputata di Forza Italia a Montecitorio e compagna dell’assessore Gaetano Armao. Dopo aver criticato il Ministro per il Sud Provenzano per aver tentato di scippare alla Sicilia i fondi europei e utilizzarli per l’emergenza Covid, si è schierata al fianco di Musumeci sulla storia dell’articolo 31 (“Occorre emanare subito le norme d’attuazione. Vai avanti presidente, noi siciliani siamo con te”). E infine ha pigiato sullo stesso tasto del compagno assessore: “Un miliardo di euro alla finanza pubblica deve rimanere in Sicilia”. E’ solo una parte del prestito che la Regione si appresta a chiedere al governo Conte (400 milioni riguardano, invece, la sospensione delle rate del mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti). Un modo per sfuggire alle strettoie imposte da Roma e garantire al prossimo Bilancio un po’ di liquidità vera.
La Finanziaria segnerà un punto di non ritorno. Probabilmente riporterà la Regione a seguire il flusso dell’ordinario, e un po’ meno quello dell’emergenza sanitaria, che ormai (lo dimostrano alcuni studi) è in via d’esaurimento. A quel punto sarà più chiaro se il partito dell’emergenza, che ha fatto comodo non soltanto a Musumeci, diventerà il partito della proposta. E avrà il coraggio di osare, di guardare alla Sicilia che verrà, e non alla terra che è stata per ormai troppo tempo.