Non è solo il passaggio di Micciché al Mpa, sminuito da una “generica” segreteria regionale (“Non risulta abbia rinnovato l’adesione per l’anno in corso”). L’operazione conclusa da Raffaele Lombardo, col benestare dell’ex presidente dell’Ars, ha una duplice conseguenza che anche i bambini dell’asilo coglierebbero: il rafforzamento degli Autonomisti, indice di una spina nel fianco sempre più costante per il governo (già emersa sul tema della sanità); e l’avvio di un lento sgretolamento di Forza Italia che potrebbe portare qualcuno dei gabelloti azzurri – nonché traditori della prima ora dello stesso Micciché – a rivedere i propri piani. Sempre che siano dotati di un pizzico di amor proprio.
La mossa di Micciché – attesa in un certo senso – ha il merito di sminare le acque. Anche se Schifani era stato bravo, impeccabile a fornire tutti gli elementi utili a una levata di scudi (che fin qui nessuno ha avuto il coraggio di abbozzare): dal mancato inserimento di Edy Tamajo nella segreteria nazionale, passando per la mancata promozione dello stesso ad assessore alla Salute, dopo la rinuncia (indotta da Roma) all’Europarlamento; dalla sostituzione di Marco Falcone con un tecnico (Alessandro Dagnino) all’incaponimento su Giovanna Volo. Senza tralasciare le super consulenze a Simona Vicari e Gaetano Armao; e lo “scippo” da 80 mila euro a deputato, in sede di manovra-ter, per garantirsi un tesoretto parlamentare con cui erogare fondi ai pagnottisti prediletti.
Schifani è anche il segretario in pectore del partito siciliano. Quello reale è Marcello Caruso, nei ritagli di tempo della sua attività come capo della segreteria tecnica e consigliere (stavolta non retribuito) del presidente della Regione. Forza Italia, insomma, è diventata una creatura a sua immagine e somiglianza: e per rifarsi il trucco, ha utilizzato gli assist di Antonio Tajani da un lato (con la candidatura dell’ex Pd Chinnici), di Totò Cuffaro e dello stesso Raffaele Lombardo dall’altro, per far credere a tutti quanti di possedere un bottino di voti che solo a nominarli mette la pelle d’oca: il 23 per cento. Come ai tempi di Berlusconi. Meglio che negli ultimi anni di Berlusconi.
Ma il Cav. ne andrebbe davvero così fiero? E Marina e Piersilvio, se solo conoscessero le dinamiche siciliane, chi muove i fili, chi sono i tronisti e chi i corteggiatori – per usare un lessico consono ad alcune trasmissioni Mediaset – cosa penserebbero di questa faglia che si è aperta nel partito? Partiamo dalle posizioni note. Oltre a quella del vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè, che ebbe da ridire per i metodi utilizzati alle Europee, e a quelle di Marco Falcone, che da gran signore ha scelto di abbandonare Palazzo dei Normanni e il governo evitando di rilasciare dichiarazioni al vetriolo (nonostante gli schiaffi ricevuti in 18 mesi di coabitazione quasi forzata), da Roma è spuntato l’on. Tommaso Calderone, componente di primo piano della commissione Giustizia.
Le sue parole a ‘La Sicilia’, ancor prima che Micciché ratificasse il suo passaggio al gruppo parlamentare del Mpa, erano di una chiarezza disarmante: “Oggi i due terzi forzisti in giunta sono rappresentati da tecnici di strettissima fiducia del presidente. E la politica dov’è? Cosa avrebbe fatto di meno per la sanità siciliana qualsiasi altro nostro deputato regionale al posto dell’assessore Volo? Non c’erano altri all’altezza del ruolo di Falcone? Nel rimpasto dovevano entrare politici, è stato un grosso errore di un partito monocratico che ha svilito il gruppo Ars”. Calderone ha raccontato inoltre della minaccia di Schifani & Co. di abbandonare a frotte Forza Italia qualora Berlusconi, ancora in vita, si fosse permesso di affidare a lui la conduzione della segreteria regionale. Era marzo del 2023, nei giorni seguenti la destituzione di Micciché.
Del gruppo parlamentare azzurro fanno parte dodici deputati, di cui uno è proprio Schifani. Gli altri undici, all’indomani della vittoria elettorale dello stesso, decisero di balzare sul carro del vincitore. Gli ultimi a cedere alla tentazione del potere furono il catanese Nicola D’Agostino, che Tamajo avrebbe voluto inserire nel lotto degli assessori papabili per quest’ultimo rimpastino (e che conserva comunque un ruolo di peso nelle vicende di Sac, che gestisce l’aeroporto “Bellini”); e Michele Mancuso, nisseno e protagonista dell’affermazione del nuovo sindaco di Caltanissetta alle Amministrative. Anche lui è in attesa di una ricompensa. E persino tutti gli altri, affiliati della prima ora di Schifani (e conseguentemente traditori di Micciché) sono ancora nella terra di mezzo. Bloccati in questa fastidiosa salamoia da cui faticano a riemergere.
Non ce c’è uno (Tomarchio è appena subentrato a Falcone e necessita di tempo per carburare) che sollevi la manina e rivolga al governatore la più classica delle domande: ma noi, qui, cosa ci stiamo a fare? Non si sono ancora accorti, questi valenti deputati, di essere diventati da subito dei servi della gleba. Conquistati dal fascino del potere, ma immediatamente spediti ai confini del regno. Tutti loro, tranne Tamajo, non hanno la minima influenza sulle attività del governo e dell’aula; il loro capogruppo, Stefano Pellegrino, si guarda bene dal protestare o pretendere sprazzi di considerazione. Così Schifani, da stratega coi fiocchi, è riuscito a ritagliarsi un regno a sua immagine somiglianza: dove nessuno fiata e gli unici ad aver ricavato prestigio e fama dal suo governo sono alcuni “riciclati”: a partire da Gaetano Armao, oggi consulente per le questioni extraregionali a 60 mila euro l’anno e presidente della Commissione tecnico specialistica per il rilascio dei pareri ambientali. Segni particolari: si era candidato contro il centrodestra alle ultime Regionali. Tra quelli che avanzano con disinvoltura c’è anche l’ex sindaca di Cefalù, anche lei ascoltatissima, Simona Vicari. Rinominata la “zarina”. Il solito Caruso, che non fa più notizia; e Andrea Peria.
Il direttore del Corecom, che ha dovuto dimettersi da sovrintendente della Foss per la sussistenza di cause di incompatibilità (un solo sedere per troppe poltrone), ma che ha già curato la campagna elettorale di Renato nostro, resta in lizza per la guida del Massimo e continua a beneficiare, per il tramite della sua associazione Terzo Millennio, di laute mance da parte dell’Assemblea regionale: l’ultima, approvata anche grazie alla lottizzazione dei fondi fra i settanta deputati, ammonta a 150 mila euro. Schifani, inoltre, non ha mai smentito che il figlio fosse il “general counsel” di fiducia del Trapani calcio, che ha appena ricevuto dall’Ars una cifra da capogiro (300 mila euro) dopo la promozione nel campionato di Serie C. Piccolo inciso: il Trapani calcio ha un presidente milionario, che anche nella pallacanestro è reduce da fior di investimenti con cui pretende di iscriversi al lotto dei favoriti per la vittoria del prossimo campionato. Davvero una mancia cambierà la storia?
In fondo a questa disamina, qualcuno dei deputati di Forza Italia potrebbe saltare su una sedia. Farsi scivolare le mani tra i capelli. Oppure pretendere che Schifani smentisca al più presto questa ricostruzione, attraverso un atto chiaro e inoppugnabile. Ad esempio, la sostituzione di uno dei peggiori assessori che la storia recente ricordi: quello alla Sanità. Tamajo, che ha portato alla causa 121 mila preferenze, anziché manifestare dissenso evitando di rappresentare il governatore al tavolo sulle Zes con il ministro Fitto, potrebbe davvero fare la differenza. E non andandosene dal partito dopo la sberla (poi ritirata) della sospensione di venti giorni. Ma dimostrando che è un politico di razza, che riesce a farsi spazio fra le turbolenze dei rancori. Gli altri, dopo aver riscosso i trenta denari nell’autunno di due anni fa, che fine hanno fatto?