Forza Italia, alle ultime Regionali, ha preso quasi il 15 per cento. Ma oggi non si riconosce più nel suo leader, Gianfranco Micciché, e un pezzo del partito non avalla la scelta di Berlusconi di mantenerlo sul trono, nonostante tutto. Transitivamente, la scelta di Schifani & Co. andrebbe letta come una protesta contro il Cav., che però anche in Sicilia è il Padre Eterno: nessuno lo contesterà mai apertamente. Da qui la soluzione più semplice: spacchettare i gruppi all’Assemblea regionale, esibire uno squallido teatrino alla festa di Fratelli d’Italia (quando Falcone ha sbroccato contro Miccichè), utilizzare la stampa per una caccia alle streghe persino quando matura qualcosa di utile (è avvenuto col ‘Salva Sicilia’). Il macchiettismo fatto partito.

Col passare delle ore e dei giorni, una cosa appare praticamente certa: è impossibile ricomporre. Lo dimostrano alcuni episodi alla vigilia di Natale, a partire dalla reunion dei fedelissimi di Micciché al piazzale Albicocco, a Palermo, per stringersi le mani, darsi una pacca sulla spalla, e ricordare il tradimento di quelli che sono andati con Schifani. Ma anche l’intervista rilasciata dallo stesso Schifani in cui svela il momento della rottura con l’ex presidente dell’Ars: “Il 6 novembre io e Gianfranco ci siamo incontrati a casa mia – racconta a Live Sicilia -. Un caffè, una bella chiacchierata, garbata e cordiale. E siamo riusciti a trovare una sintesi. Lui avrebbe scelto il Senato, mantenendo il rapporto con la Sicilia con una presenza politica qualificata. Stretta di mano. Lui contento, Berlusconi pure, io contentissimo perché abbiamo sempre intrattenuto un rapporto umano. Trentasei ore dopo, ecco le parole di Miccichè su un quotidiano: ‘con Schifani nessuna intesa possibile’. Ho preso atto”. Da qui l’ultima amara considerazione, che rispedisce la palla nell’altra metà campo: “Forza Italia non si riconosce più in Gianfranco Miccichè”.

Una dichiarazione tira l’altra, e si torna al punto di partenza. Cioè l’aritmetica: al parlamento siciliano, nove deputati (compresa Bernardette Grasso, la new entry), sostengono Schifani. Hanno chiamato il gruppo ‘Forza Italia all’Ars’ perché di fronte alla prospettiva di ribattezzarlo ‘Forza Italia per Schifani’ da Arcore sono partiti siluri; possono contare su due assessori plenipotenziari (Tamajo e Falcone), oltre che su un ottimo feeling con Fratelli d’Italia, un’anomalia rispetto al quadro nazionale (dove Silvio e Giorgia faticano a prendersi). E poi, sempre per tornare all’aritmetica, ci sono i tre deputati dell’area Miccichè, di cui uno è proprio Micciché. Gli altri sono Michele Mancuso e Nicola D’Agostino, che in teoria non basterebbero per giustificare la presenza di un gruppo parlamentare in Assemblea. Di fronte alla velata ‘minaccia’ del presidente Galvagno di non concedere deroghe, persino Cateno De Luca ha attivato la macchina della solidarietà mettendo a disposizione uno dei suoi sette deputati per consentire a FI – quella ufficiale – di rimanere in vita. Micciché ne ha preso atto, ma s’è detto certo che non ce ne sarà bisogno: è stato lui, da presidente in carica di Sala d’Ercole, a concedere una deroga a FdI, quando il gruppo di Galvagno non aveva i numeri per sopravvivere. Se non avvenisse il contrario, suonerebbe come una dichiarazione di guerra. Oltre che un precedente assai pericoloso.

Intanto nei sobborghi del partito non accade nulla o quasi. Solo sterile dialettica. Come i bambini capricciosi all’asilo, i deputati – presenti e passati – s’inseguono a suon di dichiarazioni che trovano ampio spazio sulla stampa. Aumentando il senso di ridicolo e lo smarrimento della base. Ad esempio, Tommaso Calderone, capogruppo all’Ars nella scorsa legislatura e oggi deputato alla Camera, miccicheiano dop, s’è intestato la battaglia per ottenere l’emendamento Salva Sicilia che consentirà la spalmatura del disavanzo regionale in dieci anni. Ha portato a casa la norma alle 5.30 di mercoledì mattina, e persino Falcone, assessore all’Economia, ha trovato il modo e il tempo di ringraziarlo. Ma alcuni dei suoi colleghi no. E’ il caso di Stefano Pellegrino, capogruppo di Forza Italia all’Ars, da sempre sulle barricate contro Micciché, che ha preferito soffermarsi sulla forma: “Spiace vedere che qualcuno tenti di intestarsi un ruolo, per altro impossibile vista la brevissima permanenza al Parlamento nazionale e visto che certamente un provvedimento di questo tipo non può certo essere frutto del lavoro di un singolo”. Il livello dentro FI è questo. C’è poco da fare.

C’è una Forza Italia abbarbicata al prestigio e al profilo istituzionale di Schifani, sempre attratta da Fratelli d’Italia e dal potere che irradia; e c’è un’altra, quasi reietta, che ammicca a un accordo con gli irredentisti di De Luca per giustificare la propria esistenza. La cosa peggiore è che nessuno dei big romani, tanto meno il vecchio leader Berlusconi, osi intervenire per ripristinare le regole di convivenza e di continenza, la cui violazione ha trasformato il partito e i suoi rappresentanti in una triste caricatura. E’ bastato l’alterco fra Micciché e Schifani sull’assessore alla Sanità, all’indomani dell’affermazione elettorale e degli abbracci di rito, a far rivivere il circo; ad annullare gli effetti della tregua sancita in campagna elettorale e a vanificare un risultato più che dignitoso; a riaprire il flusso dei veleni, che già nel corso degli ultimi cinque anni alla Regione – con una profonda divisione tra filomusumeciani e non – aveva segnato la vita interna degli azzurri.

A Palermo non si sono più visti i Tajani, le Ronzulli, i Gasparri. Non c’è più stato spazio per la conciliazione e per il dialogo. Persino l’ipotesi di mandare giù un ambasciatore di pace, il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè (o al massimo il capogruppo a Montecitorio, Alessandro Cattaneo), è stata inghiottita dalla Feste. Ogni occasione è buona per prendere tempo e non decidere. Qualcuno certamente se ne ricorderà alla vigilia delle prossime Amministrative di Catania: “Se per il governo hanno potuto decidere, chiusi in una stanza, di lasciare fuori un pezzo di partito – ha avvertito Miccichè – per le amministrative avendo io il simbolo si discuterà tutti insieme senza arroganza e imposizioni”. Sarà un nuovo capitolo di questa triste storia.