C’è un robusto filo rosso che collega le 48 sezioni siciliane dove non è mai terminato lo scrutinio delle schede, e la crisi che impazza nell’Isola (e nel Paese in generale). Quel filo è l’assenza di un governo, anzi di due governi, in grado di assumere provvedimenti urgenti per tamponare le difficoltà di imponenti fasce della popolazione debilitate dal caro bollette. Di imprese che licenziano e chiudono. Di lavoratori che si dissolvono. Ecco. In Sicilia, a dieci giorni dal voto, non è ancora partita la discussione sui provvedimenti da adottare, nonostante siano quadruplicate le richieste di rateizzare le bollette di gas e luce, e l’8% delle famiglie palermitane – secondo un primo report di Federconsumatori – sia rimasto senza energia elettrica e, a breve, senza riscaldamento.
Sarà un inverno terribile: lo sanno e lo dicono tutti. Eppure la politica sopravvive (discretamente bene) nel brodo di sempre: l’unico interrogativo, da Roma a Palermo, è chi farà il Ministro o l’assessore. Chi si occuperà di cosa. Nessuno dice quando. Il caso della Sicilia è anomalo: i nuovi assessori, per legge, potranno giurare solo all’indomani dell’elezione del presidente dell’Ars. Ma il presidente dell’Ars – sempre che si trovi un accordo fra i partiti della maggioranza – sarà eletto durante la prima seduta del parlamento, che arriverà non prima della fine del mese. Cioè dopo che i 70 deputati dell’Assemblea regionale saranno proclamati. Fin qui, a causa del risultato in sospeso di 48 sezioni, non è stato proclamato nemmeno il presidente della Regione, Renato Schifani, che pure ha ottenuto il 42% dei consensi. Assai anomalo per uno che, come primo provvedimento, ha annunciato lo snellimento dei processi burocratici.
Questo grosso inghippo, che passa sottotraccia rispetto alla ricerca di un equilibrio tra forze politiche nella spartizione degli assessorati, è in realtà una grandissima vergogna che in pochi si spiegano. E’ mai possibile che dal 25 settembre la Sicilia non riesca a completare l’accertamento dei risultati elettorali? Sì, lo è. Come ha spiegato giorni addietro l’Ufficio elettorale della Regione Siciliana, le schede delle sezioni nelle quali non si è potuto procedere allo spoglio e alla trascrizione nei registri (di cui la stragrande maggioranza a Siracusa) sono state trasmesse agli Uffici centrali dei Tribunali competenti per circoscrizione. Questi ultimi effettueranno le verifiche del caso e procederanno allo spoglio delle schede eventualmente non scrutinate, determinando i voti validi ottenuti da ciascuna lista e i voti validi di preferenza di ciascun candidato (ci sono un paio di partite aperte: a Palermo fra il candidato del Pd e quello dei Popolari e Autonomisti, e a Catania, dove un paio del M5s si giocano il seggio per una manciata di voti).
E poi cosa succederà? “Ai sensi dell’articolo 2 bis della legge regionale 29/1951, una volta definite queste operazioni, ciascun Ufficio centrale circoscrizionale comunicherà gli esiti di questa verifica all’Ufficio centrale regionale, costituito presso la Corte di Appello di Palermo, e quest’ultimo determinerà il superamento o meno della soglia di sbarramento del 5% da parte delle singole liste”. Tutti sanno quali liste hanno superato la soglia di sbarramento, e quali deputati sono stati eletti. Ma per un motivo o per un altro non si può procedere. E nel frattempo cade qualsiasi velleità di tamponare ciò che sta accadendo fuori dai palazzi, cioè la difficoltà delle persone di confrontarsi col futuro ma anche col presente.
Di fronte a un aumento della materia prima del 400%, dovuto per lo più alle difficoltà di approvvigionamento dettate dalla guerra in Ucraina, il prezzo delle bollette è schizzato. Le utility, aziende grandi e piccole che forniscono il gas e l’energia elettrica alle famiglie, stando a un’inchiesta di Repubblica, hanno visto aumentare esponenzialmente le richieste di rateizzazione da parte dei clienti e, di conseguenza, i casi di morosità. Asec è la società municipalizzata che fornisce le utenze ai catanesi: “Abbiamo una morosità del 30 per cent – spiega l’amministratore Giovanni La Magna – in un anno abbiamo perso mille dei 43mila clienti perché hanno staccato l’utenza e deciso di usare le bombole per cucinare. Si tratta di pensionati e famiglie in difficoltà. Noi cerchiamo di aiutarli, non siamo certo un’azienda con extraprofitti. Ma diventa sempre più difficile”.
A Palermo l’Amap, il gestore del servizio idrico, ha annunciato che “partiranno dalla prossima settimana gli interventi presso le prime utenze, circa 5.000 fra Palermo e provincia, di quei clienti che nonostante diversi tentativi bonari e richiami formali hanno scelto di non saldare i propri debiti con l’azienda che, nel caso di alcuni condomini o utenze commerciali, hanno importi a cinque zeri”. Nei mesi scorsi Amap, seguendo le procedure previste dall’ARERA, l’Autorità nazionale che regola tariffe e procedure per le aziende del settore idrico, ha infatti avviato le operazioni di recupero dei crediti rivolte a circa 50.000 utenti (su un totale di circa 220.000 utenze complessive servite da Amap). Fra questi spiccano circa 8.000 “grandi morosi” che con una media pro-capite di oltre 6.500 euro di debiti devono complessivamente all’Azienda oltre 51 milioni.
La situazione rischia di precipitare un po’ ovunque, ma anche a Roma le proposte latitano. Per calmierare la crisi energetica c’è sempre l’ipotesi di uno scostamento di bilancio, che Giorgia Meloni vorrebbe evitare, chiedendo, piuttosto, aiuto all’Europa. Le soluzioni non sono facili, ma c’è un dato: Meloni non è ancora presidente del Consiglio. Anche lei rimane impantanata nella burocrazia dell’ovvietà: tutti sanno che, col beneplacito di Mattarella, sarà la prossima presidente del Consiglio e la prima donna premier. Prima, però, bisognerà convocare il parlamento, che dovrà procedere all’elezione dei presidenti delle due Camere (altre trattative). Soltanto dopo, non prima della fine della prossima settimana, il Capo dello Stato inizierà i colloqui con i partiti e affiderà l’incarico. L’ultimo passaggio è la formazione della squadra di governo, che in questi giorni di stenti e di fame, appare l’esercizio primario della coalizione che ha vinto le elezioni.
Nel frattempo, per Confcooperative sono a rischio tre milioni di occupati e “percepire un reddito da lavoro dipendente – come spiega il presidente Maurizio Gardini – non è più sufficiente per mettersi al riparo dal rischio di cadere in povertà e da condizioni di disagio dalle quali può diventare difficile affrancarsi”. Un ottobre rosso di vergogna e di paura è appena cominciato.