Il Natale amaro di Schifani

Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, assieme al Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini

Si è congedato dalla giunta con un brindisi, raccomandando agli assessori-deputati di posticipare le ferie per non far mancare i numeri in aula quando inizierà la discussione generale sulla Finanziaria. Ma anche il Natale del presidente Schifani non si preannuncia sereno. L’opposizione vorrebbe sentire dalla sua voce, a Sala d’Ercole, i motivi della rinuncia passiva ai fondi europei che, solitamente, infarciscono la Legge di Stabilità, a supporto del capitolo ‘investimenti’. E più in generale, le feste del governatore saranno turbate da alcune situazioni “in sospeso” molto fastidiose: a cominciare dai fronti di guerra con il ministro Salvini, che gli ha sfilato di soppiatto 300 milioni di fondi di sviluppo e coesione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto; e le tensioni con il leader del Mpa Raffaele Lombardo, che non gli perdona i criteri di selezione per la scelta dei manager, tanto meno il trattamento riservato al suo braccio destro, Roberto Di Mauro, come responsabile di Energia e Rifiuti.

Ma Santa Claus ha tardato anche su temi di carattere più personale. La prescrizione – così dicono i pm che si stanno occupando del filone del processo Montante in cui Schifani risulta imputato – potrebbe non arrivare prima dell’ottobre 2024. Al presidente della Regione sono contestati la rivelazione di segreto d’ufficio ma anche il concorso esterno in associazione a delinquere, una fattispecie che lo costringerebbe a rispondere in concorso con il promotore dell’associazione, vale a dire Antonello Montante, e quindi “paradossalmente con la stessa pena prevista per i promotori, con conseguente allungamento dei termini di prescrizione”. Gli avvocati difensori giudicano l’ipotesi “infondata” ma attendono l’esito della prossima udienza, fissata al rientro dalle feste (l’8 gennaio).

Negli stessi giorni, probabilmente, in cui si voterà la Finanziaria, dato che l’opposizione  – al termine del confronto di ieri – promette battaglia: “Due ore di capigruppo all’Ars non sono bastate ad avvicinare di un millimetro le posizioni tra un esecutivo in totale confusione e animato solo da ansia da prestazione e le opposizioni – si legge nella nota congiunta di Pd, M5s e Sud chiama Nord – Faremo di tutto e su questo abbiamo messo la pregiudiziale, perché Schifani chiarisca la posizione sui fondi extra regionali e soprattutto sulla vicenda del finanziamento del Ponte sullo Stretto”. Ancora più deciso Cateno De Luca sui social: “Le prove muscolari e le mistificazioni della maggioranza per approvare la Legge di Stabilità in un clima omertoso trasformerà il parlamento siciliano in un Vietnam che causerà l’esercizio provvisorio con lo slittamento a fine gennaio 2024 del voto finale sul Bilancio e Legge di Stabilità”.

Ma c’è dell’altro. Dopo il regalino di Palazzo Chigi, che ha abrogato il decreto legislativo del 2019 con cui lo Stato aveva autorizzato la spalmatura decennale del disavanzo, e che aveva provocato la sospensione della parifica da parte della Corte dei Conti (con rimando alla Consulta per una questione di legittimità costituzionale), Schifani dovrà effettivamente capire l’esito della vicenda. Conta di poter ottenere una sentenza favorevole, che dichiarerà “cessato” il motivo del contendere. Ma non è ancora detta l’ultima parola. Per ovviare a spiacevoli sorprese – va sempre ricordato – il governo aveva accantonato 900 milioni nella Legge di Stabilità 24-26, adesso alla prova dell’aula. La mancata parifica del rendiconto 2021 ha aperto, inoltre, una crepa con la Corte dei Conti e col presidente delle Sezioni riunite, Salvatore Pilato. “La sentenza odierna – aveva detto il governatore – seppur incomprensibile e non condivisibile, è priva di effetti finanziari e infondata sotto il profilo giuridico”.

Uno schiaffo in piena regola all’organo della magistratura contabile, anche se il peggio doveva ancora venire. A essere turbolenti – vuoi per una predisposizione caratteriale, vuoi per le doti di leader ancora da sfumare – sono i rapporti personali. Persino quelli con Matteo Salvini, elogiatissimo Ministro delle Infrastrutture (fino all’altro ieri), si sono rovinati di fronte al prelievo forzoso del leghista, che per fare il Ponte sullo Stretto ha recuperato 300 milioni in più dagli Fsc destinati alla Sicilia. Il tutto per vendicarsi delle promesse di Schifani andate a ramengo: il presidente della Regione aveva annunciato un co-finanziamento all’opera per circa 1,2 miliardi, poi aveva rivisto la cifra al ribasso. Peraltro la comunicazione al Mit, del 18 ottobre, non è stata accompagnata né da una delibera di giunta, tanto meno da una relazione tecnica. Una comunicazione “in parola” che Salvini non ha apprezzato.

Dopo la decisione di rimodulare i fondi per la Sicilia, e trattenerne qualcosina più del dovuto, Schifani ha agitato lo spauracchio del “conflitto istituzionale” e si è rivolto a La Russa per il recupero crediti. Fin qui senza fortuna. Ieri il governatore ha provato a ricucire col vicepremier parlando di “deficit di comunicazione” già chiarito (“Era un problema di metodo, non di merito”), ma il suo atteggiamento ha indispettito le opposizioni, che gli hanno chiesto di dimettersi, annunciando una mozione di sfiducia (per aver ceduto al ricatto romano). Con il dibattito sulla Finanziaria in corso, probabilmente, passerà altro tempo. Utile (forse) a Schifani per inventarsi una exit strategy e recuperare credibilità istituzionale, minata da “ricattucci” e “squallide proposte”. Ma c’è sempre l’ipotesi, mai smentita dal diretto interessato, che il dietrofront sul Ponte sia stata la conseguenza dei rapporti tesi con un altro alleato: Raffaele Lombardo.

Il quale ha lamentato pubblicamente l’ingerenza del governatore sulle deleghe assegnate a Roberto Di Mauro (Energia e Rifiuti), con la precisa accusa di volerlo depotenziare. Ma sull’asse Schifani-Mpa le fibrillazioni sono costanti. Basti vedere il report consegnato domenica scorsa da Lombardo durante il brindisi augurale coi rappresentanti del suo partito: “La sanità? Sottraiamola ai giochi di qualche vertice tecnico – ha detto il leader degli Autonomisti -. Questo proliferare di iniziative private farà in modo di far chiudere gli ospedali. Ma il presidente della Regione queste cose certamente le sa”. I due si erano già scontrati sui criteri per la selezione dei manager – è meglio attingere alla rosa degli idonei o dei “maggiormente idonei” – e sui metodi in voga a Palazzo d’Orleans: “L’autonomia confligge con la pratica che io vedo esercitare indegnamente da quelle parti, dell’adulazione, della delazione e del servilismo. Se si preferiscono questi ‘valori’ – ha detto Lombardo – noi, per carità, non abbiamo dove andare, io da quelle parti non mi faccio sicuramente vedere”. Il riferimento, nemmeno troppo velato, era alla presenza costante di Cuffaro. Anch’egli, però, sacrificato sull’altare del partito.

Magari Schifani e Totò si risentiranno per gli auguri di Natale e per quelli di Capodanno. Ma le esternazioni e il costante appoggio manifestato dal leader della DC rispetto all’azione del governatore, sono venuti meno all’indomani del meeting di Taormina, quando Forza Italia ha deciso di escluderlo dalle liste per le prossime Europee. “Non siamo un autobus”. Schifani ha ingoiato il boccone amaro, ma non ha fatto nulla per proteggere l’alleato più fedele né per difendere la sua idea. Continua a dire che proverà a convincere Tajani ad adottare, anche nella composizione delle liste, una linea più “aperta” e “inclusiva”, ma in cuor suo Tajani ha già deciso. Fra lui e Falcone, meglio il secondo.

Alberto Paternò :

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