Diciannove giorni è un nuovo record. Mai nessuno, nell’epoca di Matteo Salvini a capo del Viminale, aveva “soggiornato” tanto in mare – a un passo dall’Italia – senza poter toccare terra. E’ successo ai 107 migranti di Open Arms, la Ong spagnola che martedì sera, mentre in Parlamento si consumava lo strappo finale tra ex alleati di governo, è stata sequestrata su ordine del procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che ha disposto anche l’evacuazione dei migranti. Niente Minorca, quindi. E’ la lenta erosione del potere salviniano che già sabato scorso, cedendo alle pressioni del presidente del Consiglio, aveva concesso lo sbarco dei 27 minori a bordo. E ancora prima si era dovuto inchinare alla decisione del Tar, di far entrare l’imbarcazione in acque italiane. Quella di Open Arms è l’ultima di una lunga serie di prestazioni muscolari del Ministro dell’Interno, fra le (rare) visite al Viminale e quelle in spiaggia, al Papeete, per annunciare tolleranza zero, porti chiusi e crisi di governo.
E’ il caos totale. La fotografia di un Paese incattivito che non riesce, o non vuole, occuparsi anche del resto. Spogliato di fronte alle proprie responsabilità e ai propri limiti. Mentre Open Arms chiedeva di poter attraccare al molo Favaloro, insistentemente e quasi in ginocchio, al centro d’accoglienza di contrada Imbriacola, nel cuore di Lampedusa, sono arrivati una settantina di migranti che per altre vie – evidentemente traverse – erano riusciti a sbarcare con mezzi di fortuna, eludendo ogni tipo di controllo. Per 107 costretti a tre giorni e 590 miglia di navigazione verso la Spagna, in Italia ne arrivano settanta. Un bell’affare. Che certifica le parole del sindaco Totò Martello, ormai rassegnato al fatto che così fan tutti. Che a Lampedusa gli sbarchi non sono diminuiti. Solo che non vengono formalizzati.
Ci sono però i muscoli dei porti chiusi. Di un ministro che ha fatto della voglia – smodata – di trovare dei nemici il caposaldo del suo incarico di governo sempre più affievolito. Il primo episodio si verificò a giugno 2018, quando Salvini bloccò al largo delle coste italiane Aquarius, l’imbarcazione di Msf e Sos Méditerranee, con 629 migranti a bordo. Uno stallo di nove giorni – oggi la media è quasi raddoppiata per chi cerca riparo in mare dalla guerra – che soltanto l’invito del premier spagnolo Pedro Sanchez, lo stesso che in questi giorni ha offerto un porto a Open Arms, ha risolto. Con l’ausilio di due navi italiani (Orione e Dattilo della Guardia costiera) i profughi sono stati fatti sbarcare a Valencia, dopo essere stati respinti alla frontiera italica.
La parola accoglienza non esiste più. Il clima che si respira è pessimo. Arriva Ferragosto dello scorso anno e stavolta una nave italiana, la Ubaldo Diciotti, è vittima dello stesso carnefice: Salvini. Con 177 migranti, dopo dieci giorni di navigazione, viene fatta attraccare a Catania. I suoi occupanti sono stipati come sardine. Dal 20 al 25 agosto non vengono fatti scendere. Sale a bordo il pm di Agrigento, Luigi Patronaggio, che definisce “illecito” il trattamento riservato ai profughi. Sulla banchina del porto monta la protesta, che riunisce nello stesso picchetto esponenti di sinistra, come l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, e rappresentanti istituzionali siciliani, come il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché. La volta che diede a Salvini dello stronzo. Non appena si provvede al ricollocamento da parte degli altri Paesi europei, i migranti toccano terra. Il Ministro dell’Interno, invece, verrà indagato per sequestro di persona aggravato dal pm Patronaggio (con tanto di spacchettamento dell’avviso di garanzia in diretta Facebook), poi le competenze verranno trasferite al Tribunale dei Ministri che però non ottiene l’autorizzazione a procedere da parte del Senato, dove Salvini opera in qualità di parlamentare. E la situazione si annacqua con la complicità dei Cinque Stelle, che adorano quel modo di fare così rude dell’alleato. E infatti lo sostengono.
A gennaio 2019, è il 31, la Sea-Watch, nave di una Ong olandese, ottiene di poter attraccare a Catania con 47 migranti, dopo aver atteso giorni e giorni (invano) al largo di Siracusa. E aver ricevuto, in quella circostanza, la solidarietà di tre parlamentari italiani – fra cui Stefania Prestigiacomo – con un blitz a bordo. Anche Forza Italia è antisalviniana. Stavolta è la Procura di Roma a metterci il becco e iscrivere Salvini nel registro degli indagati. Il “capitano” ingolfa il mare e anche la giustizia, ma stavolta il Tribunale dei Ministri, dopo un rimpallo di responsabilità territoriali che induce Carmelo Zuccaro, il solito pm catanese anti-Ong, a richiederne l’archiviazione, archivia per davvero. “Bene, prendo atto della decisione e continuerò a difendere i confini” esulta il leghista. Anche la giurisprudenza sembra inchinarsi alla legge del più forte.
Ma poco per volta, avanzano i ribelli. Il 13 maggio 2019 la nave Mare Jonio – il progetto di Mediterranea Saving Humans – acquistata grazie a una fidejussione di alcuni parlamentari di sinistra (fra cui l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola), soccorre trenta migranti, arriva a Lampedusa e li fa sbarcare. La Guardia di Finanza sale sul mezzo e lo sequestra, facendo scattare l’iscrizione nel registro degli indagati per tutti i membri dell’equipaggio (con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina). Ma è un atto dovuto. Qualche settimana fa, esattamente il 2 agosto, la nave viene dissequestrata dalla Procura di Agrigento e si dichiara pronta a tornare in mare.
Il 19 maggio, tocca alla Sea-Watch 3, stavolta della Ong tedesca Sea Watch. Con 47 migranti salvati a due passi dalla Libia, viene diffidata a entrare in acque italiane. Ma i giorni di stento sono troppi (nove) e il comandante decide di violare il divieto. Mentre Salvini è in trasmissione da Giletti gli viene comunicato che qualcuno ha deciso per lui: la temibile accoppiata composta da Guardia di Finanza e dal pm di Agrigento, con la scusa del sequestro preventivo della nave, acconsentono allo sbarco e Sea-Watch 3 arriva a Lampedusa scortata da due vedette. Ad attendere l’equipaggio c’è l’ennesima inchiesta per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, di cui Salvini vorrebbe avvalersi anche per sbugiardare Patronaggio, ormai entrato a pieno titolo nella sua black list. Il magistrato che se vuole fale politica “dovrebbe candidarsi”. E’ l’apoteosi di un nuovo scontro giudiziario.
Ma non è nulla in confronto alla sbruffoncella, comunista, alleata della Merkel, che il 29 giugno, dopo un salvataggio in acque libiche e 16 giorni in mare, e nonostante l’opposizione fisica di due motovedette della Guardia di Finanza (si rischia lo speronamento in banchina), decide di non rispettare il divieto d’ingresso del governo italiano e fa sbarcare a Lampedusa 40 persone. E’ il momento più inquietante del braccio di ferro fra Salvini e i “taxi del mare” – per usare una definizione a lui cara – quello in cui si palesa la spaccatura fra il Ministro e gli italiani che cominciano a reagire a questo obbrobrio democratico. Le immagini rimaste nell’immaginario collettivo della vicenda della Sea Watch-3, sono i cinque parlamentari (tra cui l’ex ministro Delrio e il senatore palermitano Davide Faraone) che testimoniano in video la condizione dei profughi a bordo; i militari che salgono e ammanettano la coraggiosa ed egocentrica Carola Rackete (ma l’ordine di scarcerazione è immediatamente successivo, del 2 luglio) con l’accusa di resistenza e violenza contro nave da guerra e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; e gli insulti più beceri rivolti ai “dem” e alla capitana da alcuni supporter leghisti, piantonati in banchina.
Prima delle Open Arms, in ordine di tempo, Matteo Salvini ha dovuto fronteggiare un altro ingresso sgradito. Quello dei 116 migranti a bordo della Gregoretti, un pattugliatore della Guardia Costiera (secondo caso di nave italiana, dopo la Diciotti), che aveva raccolto i migranti di due differenti salvataggi sulle coste africane: uno di essi era stato operato da Carlo Giarratana, il comandante del peschereccio “Accursio” che aveva affiancato il barcone con una cinquantina di disperati e per una ventina d’ore li aveva riforniti di viveri, mandando per aria una giornata intera di lavoro. Un caso di tubercolosi, più venti di scabbia – i migranti hanno condiviso lo stesso bagno per 6 giorni – suggerirono al Ministro dell’Interno di correre ai ripari e offrire un porto sicuro (Augusta in quel caso) ma solo dopo un’intesa con gli altri paesi europei per il ricollocamento: “Perché non siamo il campo profughi d’Europa” disse Salvini.
Questo duello all’ultimo sangue contro le Ong, contro i trafficanti di esseri umani, contro i vip che potrebbero accoglierli nelle loro ville extralusso anziché fare politica sulle spalle dei migranti (l’attore hollywoodiano Richard Gere è stato l’ultimo bersaglio), si spinge fino ai giorni nostri e alle vicende di Open Arms. Che, però, rispetto ai casi del passato, ha evidenziato un elemento nuovo: la presa di distanza dei colleghi di governo. Sia Trenta che Toninelli, per motivi umanitari e per la crisi di governo in corso, non hanno controfirmato il divieto d’ingresso di Salvini, e hanno permesso al Tar di decidere al posto loro, consentendo l’approdo di 107 migranti – erano di più, molti sono scesi per motivi di salute – in acque italiane. A 800 metri da Lampedusa, ultima frontiera di una Sicilia che una volta era abituata ad accogliere. E oggi, invece, diventa teatro e palcoscenico della peggior pantomima che si ricordi: un Ministro che vieta, dei comandanti che lo sbeffeggiano, un’Europa che se ne infischia. Senza minimamente tener conto da dove arrivano questi disgraziati: dalla guerra, dalle torture, dalla fame (i più “fortunati”). Siamo diventati questo.
ULTIME DALLA OPEN ARMS
La procura di Agrigento ha disposto il sequestro della nave della Open Arms ferma davanti a Lampedusa e l’evacuazione immediata dei profughi a bordo. Altri due migranti erano stati evacuati per motivi sanitari. Dopo che il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio ha lasciato la nave, i due sono stati caricati su una motovedetta della Capitaneria e trasferiti al molo Favarolo. Dalle 8 erano complessivamente 17 i migranti ad aver lasciato la nave della Ong: prima uno di loro si era tuffato in mare, cercando di raggiungere cala Francese; poi altri 9 e ancora altri 5. Infine l’ennesima evacuazione medica per motivi sanitari.
Ci ha pensato la magistratura a sbloccare il caso Open Arms dopo 19 giorni vissuti in condizioni disastrose sul ponte della nave spagnola, ferma a 800 metri dalla costa di Cala Francese a Lampedusa. Rientrato dalle ferie, il pm Patronaggio ha preso in mano l’inchiesta, coordinata fino a quel momento dal sostituto Salvatore Vella, e si è subito precipitato a Lampedusa con un elicottero e uno staff medico al seguito. “Finalmente l’incubo finisce, le persone rimaste riceveranno assistenza immediata in terra”. Lo scrive Open Arms su twitter commentando la decisione della Procura di Agrigento che ha disposto lo sbarco immediato di tutte le persone a bordo.
“La situazione è esplosiva, devo riportare la calma e fare in modo che nessuno si faccia male, l’impegno e l’attenzione sono massimi per l’incolumità delle persone”, aveva detto il pm prima di prendere il volo per l’isola. Un’ora d’ispezione sulla nave della Ong è bastata al magistrato per assumere la decisione tanto attesa dai migranti. E così, a conclusione di un vertice nella Capitaneria di porto, Patronaggio ha disposto il sequestro preventivo della Open Arms, che dovrebbe poi essere portata a Licata, e l’evacuazione immediata dei profughi.