L’invito di Musumeci ad Atreju ha indotto la maggior parte a pensare che fra il presidente della Regione e Giorgia Meloni ci sia un impegno di massima per siglare l’accordo in vista di una ricandidatura. Non è così. La benedizione di (almeno) un leader – che sia Meloni o Salvini poco importa – è l’ultimo tassello che manca al governatore, già reduce da parecchie fughe in avanti, per aprire ufficialmente la campagna elettorale. Gli strappi in solitaria di questi mesi, però, hanno indebolito la posizione di Musumeci anziché rafforzarla. E non hanno mai raccolto un segnale positivo, al netto delle conferme ‘interessate’ di qualche assessore, da parte dei coordinatori regionali o dei leader di partito. Le ultime affermazioni del presidente a ‘Le Ciminiere’ di Catania, di fronte ai fan di Diventerà Bellissima, contengono solo mezze verità: “Musumeci è ricandidato – aveva urlato ai fan in delirio -. Lo ha detto la presidente di Fratelli d’Italia, l’ha detto il senatore Salvini e, a me personalmente, anche il presidente Berlusconi. E’ normale che un presidente uscente consideri fisiologica la ricandidatura. Il tema non esiste”.

Invece esiste, eccome. L’unica cosa che Meloni e Salvini (Berlusconi non si è mai espresso pubblicamente) hanno riconosciuto a Musumeci è il diritto di proporre la sua ricandidatura. Che è cosa ben diversa dall’averla accolta. Anzi, a margine della presentazione del suo libro al teatro Golden di Palermo (dove Musumeci s’è accomodato in prima fila), Meloni si era limitata a rinviare la questione a tempi più maturi: “Il presidente Musumeci è un presidente uscente e come tale ha diritto a ripresentare la sua ricandidatura – aveva accennato la leader di Fratelli d’Italia ai cronisti – Però non intendo fare fughe in avanti. Penso che la coalizione si debba muovere compatta e non voglio dare alibi per eventuali divisioni in un momento in cui ho come priorità dimostrare la compattezza del centrodestra”. Più o meno il concetto ribadito qualche mese prima a Catania: altro giro, altra presentazione, altro rinvio. Due sono le questioni materiali che non convincono Giorgia: la prima è riferita al suo partito, apparso contrario fin dal primo momento alla creazione di una lista unica con Diventerà Bellissima alle prossime Regionali. Gli uomini del presidente toglierebbero spazio ai candidati di bandiera; e a fronte di un consenso in crescita, nessuno è disposto a regalare seggi.

La seconda perplessità è rivolta al politico Musumeci. Nello ha già tradito una volta, nel 2019, quando fuggì dall’altare nonostante la mozione presentata da Raffaele Stancanelli al congresso di Diventerà Bellissima, che prevedeva la federazione con vista sulle Europee. Il governatore sbatté la porta, definendo FdI “un partitino del 2-3%”. Negli ultimi due anni è cambiato tutto e Musumeci ha ammesso l’errore. Ma l’aura di diffidenza che lo circonda, resa tangibile da alcune uscite pubbliche – come il recente congresso di Raffaele Stancanelli sui rifiuti – rendono impervio, quasi impossibile il riavvicinamento. L’invito di Atreju rappresenta, di per sé, un mero atto formale. Musumeci è uno dei pochi governatori di destra (ci saranno anche il marchigiano Acquaroli e l’abruzzese Marsilio). Parteciperà a un tavolo sui migranti assieme, tra gli altri, al parlamentare europeo Raffaele Fitto e al giornalista Mario Giordano. Non sarà celebrato come una prima donna. Fra l’altro il contingente siciliano è di spessore: presenti in scaletta anche il sindaco di Catania Salvo Pogliese, il coordinatore di FdI per la Sicilia occidentale, Giampiero Cannella, e i due europarlamentari Stancanelli e Milazzo. Oltre a Carolina Varchi, che oggi rappresenta per Musumeci una delle “insidie” principali.

Nulla di personale, per carità. Ma la deputata è una variabile impazzita. Stante l’ottimo rapporto con la Meloni, il suo nome sarebbe al centro di un’intesa con la Lega. Che prevede l’indicazione di Varchi quale candidato a sindaco di Palermo, mentre il Carroccio avrebbe l’ultima parola sulla scelta del candidato governatore. Nemmeno un’intesa con FdI, in questo caso, garantirebbe il Musumeci 2.0. Anche se l’asse sovranista taglierebbe fuori da ogni decisione anche il resto dei moderati, a partire da Forza Italia, che di certo non rimarrebbe a guardare (su Palermo, ad esempio, oltre all’ipotesi Lagalla si sta facendo strada l’opzione B: Davide Faraone). Ma per evitare di abbracciare discorsi troppo larghi, torniamo a Musumeci e Atreju. Non è dal palco di Fratelli d’Italia che il “pizzo magico” potrà lanciare la propria campagna elettorale. Ma è da un altro palco, quello di Pontida, che nel luglio 2018, che iniziò il corteggiamento a Salvini. L’altro pezzo forte del centrodestra.

Anche su questo fronte è tutto fermo: non risulta che Salvini abbia dato il via libera al Musumeci-bis. E se dovesse avere l’ultima parola sul prossimo governatore, non è detto che faccia il nome di Nello. Anzi: le ultime esternazioni palermitane del Capitano – che indicavano in Minardo il profilo migliore per palazzo d’Orleans – per poco non sconquassavano la giunta. Musumeci, dopo aver letto l’intervista, lanciò un ultimatum: “Se la Lega vuole costruire una prospettiva alternativa a questo governo regionale si assuma la responsabilità di uscirne”. Non accadde nulla e tutto rientrò. Fino al mese scorso, quando alla tregua è seguita la pace. La visita di Musumeci a Roma, che ufficialmente servì a evidenziare “l’opportunità di realizzare a Catania lo stabilimento Intel per la produzione di semiconduttori, e di istituire nell’Isola una scuola di alta formazione per il personale alberghiero”, ha prodotto un riavvicinamento fra le parti. E la tentazione di riprendere il filo sull’ipotesi di federazione a lungo ventilata. Serve, però, il via libera di Raffaele Lombardo, leader degli Autonomisti, che con Salvini ha già stretto un accordo anche in chiave elettorale. Il triangolo, sì?

Chissà. Nel frattempo restano Musumeci e i suoi scatti repentini. Prima allo Spasimo, il 26 giugno scorso, dopo un attacco furente alla partitocrazia; poi alle Ciminiere, il 20 novembre, dove l’annuncio della ricandidatura sembrava possedere tutti i crismi dell’ufficialità. Finché Miccichè non l’ha sgonfiato, affermando che “il suo modo di fare lo allontana sempre di più dall’obiettivo”. Dagli altri partiti, invece, totale indifferenza. Come se si rifiutassero di dare risalto a un giochino che non diverte più nessuno. La smania di risolvere il rebus appartiene solo a uno, il protagonista. Il resto della combriccola del centrodestra, invece, preferisce l’attesa. Non sarà Atreju il punto di svolta. Né il ritorno di Salvini a Palermo alla vigilia di Natale, per un’altra udienza del processo Open Arms. Se ne riparlerà, probabilmente, dopo l’elezione del presidente della Repubblica. Quando i nuovi equilibri saranno chiari a tutti. E le contropartite pure.