Il malgoverno dei Cinquestelle

Da sinistra, l'ex sindaco di Bagheria Patrizio Cinque e il capo politico dei 5 Stelle, oggi ministro, Luigi Di Maio

Che il Movimento 5 Stelle in Sicilia rimanga solido, per dirla con Luigi Di Maio, è tutto da dimostrare. Le Amministrative sono altra cosa rispetto alle Politiche o alle Regionali. Qui si valuta l’operato (di chi ha già governato) e le intenzioni (di chi non l’ha ancora fatto). Il confine tra “buoni” e “cattivi” è meno labile. Il voto di domenica, per la verità, un dato lo offre: i grillini sono in caduta libera. Esclusa la piazza di Castelvetrano, dove il M5S si accinge a disputare il ballottaggio grazie all’ottima affermazione di Enzo Alfano, altrove è un disastro. Cominciando da Caltanissetta, la città di Giancarlo Cancelleri, dove il candidato Roberto Gambino – spinto dall’unico comizio siciliano del vicepremier – si ferma al 20% e la lista al 13 (alle Politiche fu il 50%, ma per il ragionamento di cui sopra il confronto è inutile). Cancelleri si garantisce il ballottaggio e la sfanga. Per il momento.

Fa riflettere, invece, il doppio tonfo di Bagheria e Gela. Dove il Movimento negli ultimi anni è stato più presente che mai e ha occupato la poltrona di sindaco. L’ha fatto Patrizio Cinque, a Bagheria, fino all’ultimo dei suoi giorni. Ma non è stato ricandidato. Perché la sua figura è macchiata da alcune inchieste – è stato rinviato a giudizio per turbativa d’asta, falso, abuso d’ufficio e altre cose ancora – che hanno convinto i Cinque Stelle a “disconoscerlo”. Sebbene sul sito del Comune risulti ancora un esponente grillino, in realtà si è autosospeso prima che Di Maio lo ripudiasse pubblicamente (“Cinque? Non è un sindaco del Movimento”).

Procure a parte, l’azione amministrativa di Cinque è stata giudicata dagli elettori: il voto, stando ai voti che ha preso la sua assessora Romina Aiello (11,4%), è bassino. Il Movimento, da queste parti, paga una pessima lettura sui temi legati all’abusivismo edilizio. Sia a livello applicativo che teorico, dato che lo stesso Cinque, di recente, ha acquisito assieme a una collega di partito un ecomostro sul mare di Aspra, con l’idea di trasformarlo in un residence di lusso. Il giovanotto, classe ’85, rimase al suo posto quando fu di dominio pubblico che la casa della sua famiglia sorgeva all’interno di un’area tutelata (quindi, abusiva). E che il suo assessore all’Urbanistica, Luca Tripoli, si era dimesso per la medesima incongruenza: vivere in un fabbricato abusivo mentre cercava di contrastare questa piaga. E’ evidente che a Bagheria il Movimento 5 Stelle non abbia governato bene e che alla fine della fiera solo il ministro Barbara Lezzi, nei giorni di Salvini, sia arrivata in città a sponsorizzare Romina Aiello, la povera vittima sacrificale, che era stata assessora ai Beni Culturali e alla Pubblica istruzione.

Così come a Bagheria, anche a Gela la pantomima si è ripetuta. Nella città che fu di Rosario Crocetta, a giugno 2015 arrivò il Movimento 5 Stelle con Domenico Messinese. Che fu capace di stabilire un guinness dei primati: essere cacciato dal suo partito dopo una manciata di mesi – sei per la precisione – dopo aver messo in discussione due punti prioritari del programma pentastellato: la questione ambientale (Messinese non acconsentì alla riconversione dell’ex petrolchimico di Gela, venendo meno a un protocollo d’intesa già firmato al Ministero) e quella economica. Per lui e la sua giunta non volle ritoccare le indennità al ribasso. E fece la fine del “sorcio”, schiacciato da un Movimento che sulle questioni di principio non recede, ma che su una cosa si mostra continuamente inadeguato: la formazione di una classe dirigente capace. Messinese tentò una resistenza strenua, ma non è mai riuscito a crearsi una maggioranza nuova in Consiglio comunale. Così, qualche mese fa, ecco l’epilogo: una mozione di sfiducia, soluzione da cui era riuscito più volte a mettersi al riparo, gli costò la poltrona da sindaco e un malore in ospedale (proprio mentre in aula si votava la “scomunica”).

Il Movimento, ridotto ai minimi termini, ha provato a rimettersi in marcia con Simone Morgana, che al primo turno si è fermato al 15%, quarto dietro Lucio Greco, Giuseppe Spata e Maurizio Melfa. Ha avuto – queste sì che son soddisfazioni – una percentuale nettamente migliore del M5S, andato malissimo come voti di lista (col 9,6%, cinque punti in meno del candidato sindaco). Segno che la gente non ha più fiducia in ciò che il Movimento esprime o ha espresso.

Pur senza gli eventi traumatici di cui sopra, anche a Ragusa le cose hanno preso una brutta piega. E lo scorso anno il sindaco Federico Piccitto, al termine di un quinquennio a dir poco tribolato, fu fatto fuori alla vigilia delle elezioni e sostituito (senza fortuna) da Antonio Tringali, l’ex presidente comunale poi sconfitto al ballottaggio dall’attuale sindaco di centrodestra, Peppe Cassì. Il vice di Piccitto, Massimo Iannucci, passò alla Lega – e oggi battaglia per conquistare uno spazio di rilievo – e all’ex sindaco, finito nel mirino dei meetup cittadini e da alcuni deputati di peso, non restava che Bruxelles. Niente, ci ha rinunciato. Per lui la politica è vocazione, non occupazione di potere. Ma anche se la politica fosse più la prima che la seconda, il Movimento Cinque Stelle finisce per non saperci fare. In Sicilia ma anche altrove. Vero, Virginia?

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