Hanno scritto una manovrina che si fatica a riassumere: fondi ai comuni in difficoltà finanziarie, risorse ai tumefatti Consorzi di Bonifica (che restano in attesa di una riforma), qualche milioncino per contrastare la siccità. E poi mance, tante mance (con un contributo da 300 mila euro al Trapani Calcio, di cui sarebbe consulente il figlio di Schifani, finito nel mirino di Sud chiama Nord), confezionate in un maxi emendamento da un centinaio di milioni concordato tra le parti: governo, maggioranza e opposizione. L’Assemblea regionale siciliana è riuscita a svincolarsi dagli ultimi impicci prima della scadenza di luglio e, anche se il terzo piano di Palazzo dei Normanni rimarrà aperto ancora qualche giorno (fino al 7 agosto), il clima che si respira è quello dell’ultimo giorno di scuola.

A sancire il grado di separazione fra la Sicilia che c’è fuori e la Sicilia che si muove nei palazzi del potere, è la cerimonia del Ventaglio in cui Gaetano Galvagno ha provato a giustificare gli ultimi dodici mesi di lavoro dei 70 deputati. Ma l’assunto di partenza, nonché il più rilevante, è che in diciotto mesi non si è fatta una riforma. La Regione di Schifani e di Fratelli d’Italia è ancora all’asciutto. L’unico tentativo è stato abbozzato nel febbraio scorso, quando è arrivata in aula una leggina per riformare le province attraverso la reintroduzione del voto diretto. Un’idea azzardata – con la riforma Delrio non ancora abrogata dal parlamento nazionale – che ha fatto registrare un clamoroso flop per la presenza di una decina di franchi tiratori della maggioranza. Che presi da mille rancori nei confronti del governo, hanno deciso di affossare tutto. La scena si è ripetuta ieri quando il ddl “dimezzato” (senza cioè la previsione di una elezione diretta, ma con alcune modifiche, a partire dalla reintroduzione della giunta) è stato bocciato col voto segreto.

Era accaduta la medesima cosa sulla legge “salva-ineleggibili” proposta dai Fratelli d’Italia per salvare la poltrona a tre di loro. Da quel momento non si è più riparlato di riforme. Sia quella dei Forestali che quella della Pubblica amministrazione, con l’eliminazione della “terza fascia” dirigenziale, rimangono sulla carta. E sono finite in soffitta anche le promesse di sviluppo di Schifani & Co., torturati dalle continue emergenze che serpeggiano da Palermo a Ragusa, da Trapani a Siracusa. Cui s’è unita, negli ultimi mesi, quella più grave: la siccità.

L’Assemblea regionale, inoltre, ha palesemente preso sotto gamba la proposta del Movimento 5 Stelle di organizzare un dibattito d’aula sulle magagne procurate ai conti regionali dal programma SeeSicily, che pure la Commissione europea ha deciso di non riconoscere (facendo venir meno la copertura di spesa). Non sono bastate le inchieste dei giornali, lo sdoganamento del tema a livello nazionale – se n’è occupato Giordano a Fuori dal Coro – né le inchieste dalla Procura della Corte dei Conti o della Procura di Palermo. Un tema di assordante importanza, non foss’altro che per il metodo reiterato dai patrioti nella gestione del turismo, è stato confinato a chiacchiera da bar. Anzi, da bouvette (visto che siamo all’Ars). Né Schifani né l’assessore Amata, ovviamente, hanno avvertito l’esigenza di spiegare il buco da venti milioni determinato dalle decisioni assunte, nel quinquennio scorso, da Nello Musumeci e dal suo assessore di fiducia: Manlio Messina. Né si sono mai sognati di giustificare le ingenti campagne di comunicazione – passate, presenti e future – cui si affidano, integralmente, le speranze di promuovere la terra di Sicilia.

Schifani avrebbe potuto utilizzare la questione per continuare a dare addosso al suo predecessore – preso di mira per le parole sulla siccità e anche per l’apprezzamento della fiction su Stromboli – invece, nel caso del turismo, ha prevalso un gentleman agreement: l’obiettivo era non mettere in cattiva luce il Balilla, ormai una divinità televisiva (oltre che parlamentare). E anche il presidente Galvagno, archiviate le intenzioni bellicose di avvio legislatura (quando lamentava la poca “carne al fuoco” del governo), ha continuato a destreggiarsi da vigile urbano, senza ricorrere – però – al taccuino delle multe.

Dall’agenda dell’Ars è sparito l’impegno a vigilare sull’iter di approvazione delle leggi per evitare le impugnative romane; non si è fatto nulla per incrementare l’attività legislativa dell’aula; non si è stimolato il dibattito (il caso del turismo è plateale). Sono aumentate a dismisura, invece, le sessioni finanziarie. Non è bastata una Legge di Stabilità, approvata all’inizio del nuovo anno: sono servite la manovra-bis (col piano “salva Ast”, che sta andando comunque verso il fallimento) e la manovra-ter. Tutti a esaltare il peso specifico delle variazioni di bilancio, quando l’unico obiettivo era garantire ai deputati una visibilità nel proprio collegio elettorale, erogando mance a destra e a manca. La vicinanza degli onorevoli al territorio è innegabile, ma questa della spesa parcellizzata sembra diventata l’unica preoccupazione. Quasi imperitura.

Galvagno ha tirato le (proprie) somme, dicendosi soddisfatto: “Le leggi approvate hanno consentito di realizzare politiche finanziarie per 750 milioni di euro nel 2023. Di quasi 1,5 miliardi nel 2024 e poco meno di 885 milioni per il 2025. Infine, 1,98 miliardi per il 2026. Questa somma complessiva supera pertanto i 5 miliardi negli anni considerati”, ha detto il presidente dell’Assemblea. Spiegando inoltre che “le coperture finanziarie derivano per il 51% da riduzione di spesa e per il 42% da maggiori entrate (Irpef, bollo ed altro). Al comparto agricolo sono stati destinati circa 121 milioni di euro nel 2024. Voglio chiarire che queste risorse non saranno mai bastevoli per il bisogno del comparto, ma qualcosa è stato fatto”.

Non ha parlato d’altro. Ha sbandato sulle dichiarazioni di Musumeci, tra i presunti colpevoli dell’aggravamento dell’emergenza idrica (“Andare a cercare chi ha la colpa rispetto a un tema emergenziale non serve a nulla”); ha vacillato sull’autonomia differenziata, ritenendola prima una “guerra” fra Regioni e poi una “sfida”; e ha detto di voler tenere l’aula aperta, se serve per contrastare le emergenze, anche a Ferragosto. Ma quali emergenze, quelle sono già superate. E’ partita, invece, la fiera dei comunicati per intestarsi i meriti di una manovrina che persino le opposizioni, il Pd in questo caso, ritengono “senza infamia e senza lode”. Un’altra sagra insulsa. L’ultima prima delle vacanze.