Non è un momento facile per Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, sottoposto al fuoco incrociato di politica e avvocatura. Dopo la nota dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, che ne ha chiesto le dimissioni in seguito alla gaffe commessa in tv su reato doloso e colposo, adesso è il presidente della commissione regionale Antimafia a pungolare il Guardasigilli. Claudio Fava, infatti, ha sollevato il caso di Aldo Ercolano, l’unico capomafia della famiglia Ercolano-Santapaola, condannato per essere stato il mandante dell’omicidio di suo padre, Pippo Fava, cui non è stato prorogato il regime del 41-bis: “E’ un fatto grave, che preoccupa autorità giudiziaria e forze di polizia – ha detto Fava, riassumendo gli esiti della missione di stamattina in Prefettura, a Catania -. Un elemento di comune preoccupazione, emerso nel corso di tutte le audizioni, riguarda la caratura criminale del capomafia catanese Aldo Ercolano, attualmente detenuto con una condanna all’ergastolo” ha scritto in una lettera indirizzata a Bonafede. In cui lo stesso Fava ripercorre un precedente che l’ha visto coinvolto: “Già in passato, come troverà traccia nei lavori della scorsa legislatura che mi hanno visto membro della Camera dei Deputati, si pose il medesimo problema (una revoca del 41 bis di Aldo Ercolano, ritenuta da tutti gli ambienti giudiziari anche allora inopportuna e come tale fortemente stigmatizzata dalla relazione semestrale della DIA). In quel caso, anche in seguito a nostri atti ispettivi, il ministro della giustizia dell’epoca, l’onorevole Orlando, trovò modo e forme perché quella revoca venisse rivalutata”.