Prima per controllare i punti nevralgici, come lo Stretto di Messina, e impedire l’accesso a chi fuggiva dalle “zone rosse” del Nord Italia; poi, per dare la caccia ai migranti, che scappano dai centri d’accoglienza, dove sono “rinchiusi” per osservare un periodo di quarantena. In Sicilia emergenza fa rima con esercito. La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, dopo aver assistito alle ultime sfuriate televisive del presidente Nello Musumeci, e averci parlato al telefono, ha disposto l’invio “di una capiente nave-passeggeri da riservare ai migranti (per l’isolamento, ndr) e il ricorso a contingenti delle forze armate, da destinare alle aree più sensibili”. Sono i soldati impiegati nell’operazione “Strade Sicure” che dovrebbero, però, essere smistati su altri obiettivi. I migranti, per l’appunto.
Lo Stato interviene con una toppa alle sue numerose falle. Non è mai riuscito a garantire il controllo dell’ondata migratoria – a proposito: che fine hanno fatto l’Europa e l’accordo di Malta? – che nelle ultime settimane ha assunto proporzioni gigantesche, e adesso urla ‘al lupo, al lupo’, ripiegando sui militari che, con tutta probabilità, dovranno mettersi sulle tracce dei clandestini sfuggiti al controllo. Dello Stato, ovviamente. Che sul tema dell’accoglienza ha competenza esclusiva. Ma a Porto Empedocle, lunedì pomeriggio, alcuni extracomunitari hanno organizzato una fuga collettiva – molto più agevole di quella di Michael Scofield dal carcere di Fox River (nella serie “Prison Break”) – da una tensostruttura pensata per 120 cristiani, al cui interno ce ne stavano 500. Poche ore prima – l’effetto emulazione gioca certamente un ruolo – poco meno di 200 migranti, per fortuna tutti negativi al tampone, erano scappati dal Cara di Caltanissetta per rifugiarsi nelle campagne. Poi sono stati rintracciati. E’ accaduta la stessa cosa, giorni fa, all’hotspot Bisconte di Messina – che il sindaco Cateno De Luca ha minacciato di sigillare – e a Pozzallo.
A Lampedusa i clandestini non hanno dove andare – c’è il mare intorno – ma nell’hotspot, che non è esattamente la casa delle bambole, alloggiano 6-700 persone, quando ce ne potrebbero stare al massimo un centinaio. La vita nei “lager” è una brutta bestia, così quando i migranti toccano terra, dopo il trasferimento a Porto Empedocle, eludono la sorveglianza e se la danno a gambe. E lo Stato, che non riesce a limitare le partenze dai paesi di provenienza, e non ha le strutture per accogliere tutti, è costretto a soccombere. La situazione, che di per sé non costituisce una “prima volta”, è finita sotto la lente d’ingrandimento a causa di un’epidemia che non molla la presa e che esalta la letteratura horror dei nostri governanti (dal professor Salvini in giù). Dopo questo inferno di cronaca, l’unica reazione degna di nota, per fare pace con la propria coscienza e dare una percezione di sicurezza ai cittadini, diventa il ricorso all’esercito.
Come in seguito alle stragi mafiose del 1992, quando il presidente del Consiglio Giuliano Amato, all’indomani della strage di via D’Amelio, organizzò in fretta e furia l’Operazione Vespri Siciliani, tirando fuori l’accostamento coi moti popolari del XIII secolo. Fino al ‘98 si avvicendarono, in Sicilia e a Palermo, 150 mila militari, che contribuirono – onore al merito – all’arresto di alcuni boss. E furono impegnati in operazioni di rastrellamento del territorio, organizzarono posti di blocco e trasferimenti di detenuti, perquisizioni e reti di sorveglianza. Ma la cui presenza fu una reazione di pancia a un fenomeno per cui il governo centrale, e l’Italia tutta, non erano abbastanza preparati (nonostante le guerre di mafia fossero già in voga a fine anni ’70).
E’ successo anche stavolta: cambia solo l’obiettivo (per fortuna). Non più Totò Riina e i corleonesi, ma poveri disperati che s’arrampicano sulle coste siciliane in cerca di una non-meglio-precisata fortuna. Non hanno capito, costoro, che in Sicilia si muore di fame e l’unica fetta di mercato ancora accessibile è quello della delinquenza. Ma questa è un’altra storia. L’invio dei militari è la reazione estrema, e di sicuro impatto, a una situazione che la ministra Lamorgese – e tanti altri prima di lei – non sanno come fronteggiare: i cosiddetti sbarchi autonomi. La massima rappresentante del Viminale, nei giorni scorsi, è andata in Tunisia per evidenziare che questi “flussi incontrollati creano seri problemi legati alla sicurezza sanitaria nazionale” e “si riverberano inevitabilmente sulle comunità locali interessate dai centri di accoglienza”; e per chiedere al presidente della Repubblica, Kais Saied, “un’intensificazione dei controlli delle frontiere marittime”. Dal paese nord africano, illegalmente, giunge un terzo dei disperati. Ha avuto rassicurazioni, ma chi non le darebbe? Le strutture nell’Isola sono tante, ma non abbastanza. Salvini, da Ministro dell’Interno, ha chiuso il Cara di Mineo, in contrada Cucinella, dove restano masserizie e fame di lavoro. Era il più grande d’Europa. Nell’Isola è rimasto un solo centro di permanenza per il rimpatrio: quello di Pian del Lago, a Caltanissetta. Poi ci sono gli hotspot di Lampedusa, Pozzallo e Messina. E i centri di prima accoglienza, nel Nisseno e a Trapani. Una mappa della disperazione che non può reggere l’onda d’urto di questa estate rovente.
Non è chiaro come possano essere d’aiuto i militari. Avranno soltanto una funzione di vigilanza. Potranno inseguire qualche clandestino, qua e là per le campagne. Faranno valere, magari, il physique du role e il fascino della divisa. D’altronde non è la prima volta, in questo 2020, che Musumeci chiede e ottiene un potenziamento dell’esercito di stanza. Ne aveva accennato a metà marzo, dopo l’avvio del lockdown e a causa del precipitarsi dalle regioni del Nord: “A questo punto non ci rimane altra soluzione che chiedere l’impiego dei soldati dell’esercito – disse Musumeci –. I prefetti sono già nella disponibilità dei soldati per l’operazione “Strade sicure”. Si tratta solo di modificare gli assetti e di destinare una parte di questi uomini ai controlli nei punti di arrivo. Così facendo determiniamo un deterrente e, al tempo stesso, consentiamo al personale sanitario di continuare negli accertamenti“. Il principale obiettivo del presidente della Regione era affiancare i militari agli uomini del Corpo Forestale, che stoicamente provavano a resistere all’avanzata sullo Stretto di Messina: “Non si tratta di mettere i carri armati sulle strade – aveva chiarito Musumeci – ma di coadiuvare le Forze dell’ordine, nello scoraggiare gli arrivi dal Centro-nord, ma anche da altri Paesi del Mediterraneo, visto che la Sicilia è una regione di frontiera”.
Ma di quella presenza massiccia, tanto auspicata, non rimase alcuna traccia. Anzi, più volte, Musumeci rinfacciò al Viminale di non aver fatto abbastanza. E siccome la pazienza ha un limite, il governatore l’ha oltrepassato. Arrivando a formulare, il 3 aprile scorso, una proposta che lasciò allibita la maggior parte del parlamento siciliano e tutti gli addetti ai lavori: ossia “l’attuazione dell’articolo 31 dello Statuto, con specifico riferimento agli strumenti necessari per affrontare con efficacia e tempestività eventuali situazioni di emergenza statali o limitate al territorio regionale, che determinino refluenze sull’ordine pubblico, la sanità e la sicurezza nel territorio della Regione siciliana o in parte di esso”. Agendo, ovviamente, “di concerto con il Ministro della Difesa”. Musumeci voleva mettersi a capo delle forze di polizia e dell’esercito di stanza in Sicilia. Una richiesta mai avanzata in settant’anni, dettata dalla paura del virus e dalla frenesia del momento, e che rimane tuttora impelagata in un complesso iter procedurale: prima serve l’approvazione della Conferenza Stato-Regioni, poi quella del Consiglio dei Ministri (ci vogliono almeno sei mesi).
Anche il governo della Regione, non dormendo col manuale della pandemia sotto il cuscino, non aveva chiara la mission. Non sapeva come sbarrare le porte d’accesso alla Sicilia, e controllare la diffusione del contagio (che per fortuna a Messina si è arrestata). Ora l’ha capito, ma nel frattempo è emersa dalle pagine tremende di questo 2020 un’altra piaga: l’ondata migratoria, che rischia di ridurci nel “campo profughi d’Europa”. Ci trattano “da colonia” ha detto Musumeci. E quindi, perché non ricorrere ai soldati?