Dopo l’impugnativa del condono edilizio, che avrebbe permesso di sanare gli edifici ricadenti in aree a vincolo relativo, l’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro ha evocato i “nemici ra cuntintizza”: “Chi oggi gioisce è nemico dei siciliani, ai quali finalmente, dopo venti anni, avevamo ridato certezza del diritto”. Il rappresentante del governo Musumeci ce l’aveva coi partiti di opposizione e con le associazioni, tipo Legambiente, che già da mesi avevano predetto la “sentenza” di palazzo Chigi. Ma la prospettiva, per un attimo, andrebbe ribaltata. Non è la prima volta, infatti, che la scure di Roma si abbatte sul governo della Regione. E poco importa che il premier sia Giuseppe Conte o Mario Draghi. O a quale partito appartengano i ministri. Il martellamento è incessante e ha convinto la deputata dei Verdi (ex M5s) Valentina Palmeri a lanciare un messaggio a Micciché per evitare forzature: “L’impugnativa della sanatoria boccia per l’ennesima volta il merito e il metodo dell’azione del governo Musumeci e della sua maggioranza. Inviterei il presidente Miccichè a volere prevedere meccanismi migliori per l’esame delle obiezioni di costituzionalità sollevate in aula”.
Le punture di Roma, nel corso dell’ultimo anno, sono state frequenti. Persino la riforma Urbanistica, il vanto di Musumeci & Co. in questa legislatura, e condivisa dalla stragrande maggioranza del parlamento, è stata impugnata per ben due volte. L’ultima ad aprile, dopo che l’Ars aveva provato a rimediare in corsa a dubbi di legittimità costituzionale già sollevati dal governo Conte-2 (relative alla tutela del paesaggio). La correzione, con una “riforma della riforma”, non è stata fortunata. Palazzo Chigi, infatti, ha deciso di impugnare i commi 5 e 6 dell’articolo 12: nello specifico, il comma 5 riguarda la soppressione dell’articolo 10 (“Attività edilizia”) della legge regionale n. 16 del 1996, che prevedeva il divieto di nuove costruzioni all’interno dei boschi e delle riserve entro una zona di rispetto variabile da 50 metri fino 200 dal limite esterno dei medesimi; il comma 6, invece, è relativo alla soppressione della lettera e) del comma 1 dell’articolo 15 della legge regionale n.78 del 1976, che prevedeva l’arretramento delle costruzioni di 200 metri dal limite dei boschi e delle fasce forestali. Cordaro, all’epoca, individuò altri responsabili: “Le norme che il Consiglio dei ministri ha impugnato sono frutto di due emendamenti presentati dal Pd. Fa specie – aggiungeva l’assessore – che a proporre l’impugnativa sia stato un ministro dello stesso partito”.
La vera doccia fredda, però, è più recente. Riguarda l’impianto della Legge Finanziaria 2021. In primis l’articolo relativo alla stabilizzazione di 4.571 lavoratori Asu. Un risultato salutato con giubilo da parte di tutti gli schieramenti politici, che aveva ispirato a Musumeci e Scavone un pensiero stupendo: aver superato una volta per tutte il problema del precariato. “Ai Comuni e a tutti gli enti utilizzatori, come ad esempio le Asp, verrà concesso un contributo per consentire la stabilizzazione di tali lavoratori con un contratto a tempo indeterminato”, disse l’assessore al Lavoro. Che s’è dovuto ricredere di fronte all’offensiva romana. Mentre il collega Armao – lavandosene le mani – riferì che su 46 norme sospette, soltanto 10 non avevano passato il vaglio di palazzo Chigi, di cui il 90% di natura parlamentare.
Assieme a quella sugli Asu, tuttora congelati, ottennero l’altolà altre norme: una fissava le regole per gli stipendi dei dipendenti della Centrale unica degli acquisti, un’altra attribuiva retroattivamente un’anzianità aggiuntiva al personale dell’Agenzia per le acque. Stoppati, inoltre, lo stanziamento per i progetti a favore degli studenti disabili e di sei interventi in ambito sanitario (cannabis terapeutica, terapia per l’endometriosi, terapia genica Zolgensma, l’istituzione dei centri per i test prenatali non invasivi, il contributo al programma di ricerca Remesa per le malattie trasmesse da animali a uomo, e un incremento di ore lavorate per i veterinari). Uno stillicidio.
Mentre nell’ultimo provvedimento del Consiglio dei Ministri – che in passato aveva bocciato anche il ricalcolo dei vitalizi (al ribasso) fatto dall’Assemblea – rientrano altre due norme: una riguarda la proroga dei termini per la richiesta delle concessioni demaniali, l’altra addirittura il ddl sulla ludopatia, che consta di un solo articolo e imponeva il distanziamento da luoghi sensibili come scuole e parrocchie. “Ero stata l’unica a votare contro questa legge assurda, che sembrava fatta per favorire il gioco d’azzardo piuttosto che combattere le ludopatie – ha detto Marianna Caronia, deputata regionale della Lega – Mi spiace vedere che né il governo né la maggioranza hanno mostrato la sensibilità necessaria su un tema tanto delicato, che colpisce migliaia di famiglie, di tutti i ceti sociali. Purtroppo anche questo scivolone espone l’Assemblea Regionale alla critica sulla sua capacità di legiferare e, soprattutto, di farlo per il bene dei siciliani”.
Negli ultimi anni di legislatura le norme impugnate non si contano. Ma ci sono verdetti, anche più recenti, che dimostrano tutte le difficoltà della Regione a legiferare e offrire soluzioni adeguate. L’episodio più concreto, che è costato proteste (nei confronti dell’assessore competente, Toni Scilla) e persino minacce di morte (verso Giampiero Trizzino, deputato del M5s), riguarda l’apertura della caccia. Il Tar Catania, una prima volta, aveva sospeso il calendario venatorio il 1° settembre, a ventiquattr’ore dal via; giorno 8 è stato costretto a intervenire nuovamente, dato che la Regione aveva deciso di perseverare. Da più parti era pervenuta la richiesta di sospendere tutto, anche a causa del disastro ambientale provocato dagli incendi estivi, con la conseguente distruzione di flora e fauna. Per restare in tema, a febbraio il governo Conte aveva impugnato l’allargamento del concorso per il Corpo Forestale, approvato dall’Ars qualche mese prima: prevedeva l’estensione dei posti disponibili (da 46 a 180). Il Consiglio dei Ministri ha detto no perché la norma è “in contrasto con la normativa vigente in materia di copertura finanziaria delle leggi di spesa”. Cordaro ebbe da ridire: “L’ultimo colpo di coda di un governo nazionale che non ha mai amato la Sicilia”.
Fuori dai provvedimenti d’impugnativa, rimangono altre questioni aperte. Ad esempio col Garante della Privacy, che nei mesi scorsi ha stoppato due ordinanze del governo Musumeci in materia di emergenza sanitaria: con la prima era prevista una ricognizione completa e aggiornata di tutti i dipendenti pubblici, del personale preposto ai servizi di pubblica utilità e ai servizi essenziali, degli autotrasportatori, del personale delle imprese della filiera agroalimentare e sanitaria, degli equipaggi dei mezzi di trasporto per censire chi non è ancora stato sottoposto a vaccinazione e invitarlo formalmente a provvedere (gli impiegati a contatto con il pubblico sarebbero stati ‘spostati’ ad altra mansione); con la seconda – contestata anche da Lega e Fratelli d’Italia – l’introduzione del Green pass obbligatorio per frequentare gli uffici pubblici. Quest’ultimo esperimento fallì dopo 24 ore, anche se di recente è stato in parte “riabilitato” dalla decisione del governo Draghi di estendere il ‘certificato verde’ sui luoghi di lavoro a partire da metà ottobre. L’estate scorsa, invece, la proposta di sgomberare i centri d’accoglienza e chiudere le frontiere – per evitare il dilagare del contagio – fu bocciata sonoramente dal governo romano e rinchiusa in un cassetto dal Tar.
Ma c’è un’ultima evidenza a cui questo governo non può sottrarsi: le mille beghe contabili che hanno trascinato Armao in un fitto contenzioso con la Corte dei Conti. La parifica del 18 giugno scorso, ottenuta per il rotto della cuffia, aveva consegnato alla Regione un faldone pieno di irregolarità, di cui si sarebbe dovuto discutere – ancora – coi magistrati contabili (ma questa volta a Roma, di fronte alle Sezioni riunite in composizione speciale). Prima dell’udienza, però, l’assessore all’Economia ha accelerato la pratica: approvando il documento in giunta e trasmettendolo all’Ars, dove è già incardinato per la votazione. La procura generale della Corte dei Conti non ha apprezzato questo atteggiamento frenetico e ha ribadito che Palazzo d’Orleans – se vuole fare un buon lavoro – deve prima rispondere ai rilievi segnalati con la matita rossa. Si rischia un’altra crisi diplomatica. L’ennesima.