Il governo dell’assenza

Claudio Fava, deputato dei Cento Passi, è il presidente della commissione regionale Antimafia a palazzo dei Normanni

Una analisi impietosa, e con qualche orpello per ribadire meglio i concetti. Il presidente della Commissione Antimafia, Claudio Fava, non fa sconti alla giunta Musumeci. Il leader dei Cento Passi, candidato governatore alle ultime elezioni Regionali, siede in Assemblea fra i banchi del gruppo misto. Racconta ciò che vede con disinvoltura, senza nascondere il dispiacere per come poteva andare. E per come, invece, sta andando: “Perché io non ho mai lavorato per pregiudizi – spiega Fava – ma qui a mancare è la materia su cui giudicare. Dal 30 aprile siamo bloccati, con zero voti d’aula, perché il “collegato” alla finanziaria viene rimbalzato in commissione, viene accarezzato, allisciato e rispedito al mittente. Non c’è stata occasione di confrontarsi sui grandi temi, sulle riforme annunciate a più riprese come fossero i titoli d’apertura di un telegiornale. Non c’è stata occasione in cui queste idee – dal ciclo dei rifiuti alla sicurezza del territorio, dai trasporti alla viabilità – siano arrivati in aula per essere discussi nel merito e votati. Sono rimaste citazioni politiche autoreferenziali”.

Le responsabilità, quindi (e per buona parte), vanno ascritte al governatore e alla sua squadra?

“Magari l’assemblea non brucerà dalla voglia di lavorare, ma non si può parlare sempre e solo del “collegato”. Così si opprimono i lavori del Parlamento”.

Cosa succede all’interno della maggioranza di governo?

“Musumeci, per usare le parole del poeta, è “ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. E’ ostaggio di una maggioranza che si diletta a chiamare partitocrazia, ma che in realtà si chiama maggioranza. I partiti del centrodestra che lo hanno sostenuto in campagna elettorale, e che dovrebbero farlo anche adesso, in realtà lo sostengono a giorni alterni. Le divisioni esistono dal primo giorno di scuola”.

Dovute a cosa, secondo lei?

“Non spetta a me dirlo. Potrebbero avere a che fare con temperamenti, caratteri e prospettive politiche diverse, forse anche con uno sguardo meno disattento del solito al quadro politico nazionale. Da Musumeci mi aspettavo una reazione: ma non prendendosela coi partiti, con la politica, con la Regione delle “vacche da mungere”. Questa è coreografia e letteratura. Ma affrontando in aula la sua maggioranza, per chiedere un voto di sostanza sul programma di governo. Affronti la sua parte politica e non tenti di ottenere stampelle dall’opposizione”.

Quale riflessione suggeriscono i risultati delle Amministrative in Sicilia?

“Che nessuno ha voti in banca. L’idea che gli elettori siano fidelizzati e trattati come una mandria al pascolo non funziona più. Come è successo a Messina, e in parte a Siracusa, vincono quelli che sparigliano. Anche l’idea che occorra premiare il centro-destra perché a Roma governano Lega e Cinque Stelle mi pare troppo semplicistica”.

Salvini non le sta simpatico.

“Ha già misurato il temperamento dei siciliani quando, nella sua prima visita da Ministro, è arrivato a Catania ed è stato accolto da una piccola pletora di sostenitori di fronte al suo albergo. Si era convinto di aver conquistato le Gallie, ma la Lega a Catania ha preso l’1.2% dei voti. La gente lo acclama perché alle feste si partecipa sempre, ma dentro le urne le cose cambiano. La Lega è tornata a casa con un prefisso telefonico al posto del voto”.

Come sta gestendo l’emergenza migranti?

“Io sono dell’idea che Dublino vada rivisto. L’Europa deve farsi carico di una questione sociale che inciderà, a livello geopolitico, per i prossimi 50 anni. Ed è impensabile che se ne facciano carico solo l’Italia o la Sicilia. Detto questo, occorre trovare gli strumenti politici e non criminalizzare ogni giorno le ONG, oppure dicendo di voler rispedire a casa centinaia di migliaia di immigrati irregolari. Salvini, su questo piano, sta giocando una partita sporca perché dice cose non verificate. Fino a quando lo faceva da leader di partito, erano affari suoi e del suo elettorato. Ma quando lo fa da rappresentante istituzionale del popolo italiano e da garante della sicurezza, starei un po’ più attento. Specie se, sull’altro fronte, non spende una parola su questioni più perniciose, ma che non portano voti, come ad esempio la criminalità organizzata. Siamo di fronte a un bivio: o Salvini agisce in buonafede, e sarebbe un pericolo, oppure rischia di diventare il peggior Ministro della storia repubblicana”.

Dopo le elezioni regionali del novembre scorso, qual è in Sicilia il rapporto fra le due sinistre?

“Io ne conosco soltanto una, lei mi deve dire qual è l’altra… Io conosco quella che si è mossa attorno ai Cento Passi, che non voleva essere una sinistra d’assedio, ma un modo per far partecipare tutti e raccogliere le idee. Al Partito Democratico, invece, è difficile in questa fase assegnare una topografia precisa nella geografia latente del centrosinistra. E’ una somma di anime indefinibili. Non penso che le politiche del governo Renzi o dei suoi successori siano state delle politiche di sinistra. E credo che in Sicilia il Pd abbia pagato questo pedaggio, oltre ad alcune scelte del governo Crocetta e al consociativismo con Lombardo. Molte cose che diciamo magari coincidono: ma il loro resta spesso un canto degli angeli, utile solo a farsi belli”.

Piano rifiuti: rimane contrario agli inceneritori?

“E’ un dibattito esaurito a livello europeo, un tema archiviato. Oggi tutte le economie circolari si muovono nella direzione di un incremento della raccolta differenziata, che i comuni virtuosi dovrebbero garantire al 70%. Invece, si parla tuttora di inceneritori perché basiamo il nostro sistema di smaltimento sulle discariche. Che, fra l’altro, restano appetibili perché generano profitto. Se intervenissimo seriamente su questo tema, molti privati rischierebbero di perdere la loro miniera d’oro”.

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