Le randellate dei franchi tiratori sul governo Musumeci sono il tratto distintivo di questa Finanziaria, ma anche le cicatrici destinate a rimanere in evidenza più a lungo. Fin qui se ne contano un paio: sull’articolo 8, quello dell’accordo con la Banca Europea degli investimenti, dove un soppressivo del Pd – che cancellava il milione e mezzo per “attivare” la convenzione – ha trovato la sponda del voto segreto. Stesso epilogo (e stesse modalità) sull’articolo 19, relativo all’attività ispettiva e di controllo sulle società partecipate: una norma voluta dall’assessore Armao che l’aula ha bocciato per 36 voti a 16, con una contro-maggioranza quasi bulgara.

Il ‘voto segreto’ non è lo strumento di chi scappa o di chi non vuole metterci la faccia. Ma come ha dichiarato Claudio Fava qualche giorno fa, “è una norma del regolamento parlamentare a tutela della libertà di chi voglia esprimersi in dissenso verso la propria parte politica. La maggioranza pretende che tutti i propri parlamentari votino alla luce del sole? Nessun problema, lo aboliscano”. Cosa che fra l’altro non sono mai riusciti a fare. Musumeci l’aveva preteso dopo che l’Assemblea, nel novembre 2019, affossò l’articolo 1 della legge sui rifiuti, minacciando di non tornare più in aula. Ma la commissione regolamento ha lasciato correre.

Oggi il governatore, con modi meno irruenti ma per nulla convincenti, sta provando a smussare la resistenza di Sala d’Ercole su alcune questioni di principio (ha parlato amorevolmente di randagismo per convincere l’aula a rimborsare il 70% delle tasse a chi svolge attività venatoria). Ma fin qui i codici del suo governo non sono cambiati di una virgola rispetto al passato: della serie, siamo noi che governiamo e decidiamo. A costo di scapparci qualche sgambetto. Il problema, ancora una volta, è stato evidenziato dal capogruppo del Movimento 5 Stelle, Giovanni Di Caro: “Quello che abbiamo riscontrato è un certo irrigidimento delle posizioni dell’assessore regionale all’Economia Gaetano Armao dopo che ci siamo opposti al fatto che la Regione volesse mettere le mani in tasca ai pensionati della Regione. L’assessore Armao – ha dichiarato il deputato M5s – ha praticamente congelato ogni forma di negoziazione per modificare in meglio la Finanziaria”.

La prerogativa delle opposizioni – fare ostruzionismo – oggi ha trovato nuovi interpreti. Così, all’Ars, c’è ancora un muro invalicabile: da un lato il governo, fedele nei secoli alle ricette di Armao (che spesso alla Corte dei Conti non sono piaciute); dall’altro il parlamento, che prova a far valere le sue prerogative, nonostante i frequenti episodi di arroganza manifestati dall’assessore all’Economia. Talmente evidenti che venerdì scorso, a seguito di un post su Facebook in cui Armao bollava come “farisaico” l’emendamento del Pd sulla BEI, i tre capigruppo (Di Caro, Lupo e Fava) hanno rifiutato di partecipare a un incontro col governo per il “comportamento offensivo” del vicepresidente della Regione: “Riteniamo non ci sia spazio per alcun confronto fuori dall’aula”. E che ieri, stavolta a Sala d’Ercole, ha scatenato l’attacco dell’ex sindaco di Ragusa, Nello Dipasquale: “Sono personalmente infastidito dal comportamento dell’assessore. Ha insultato il Partito Democratico per aver assunto una posizione diversa dalla propria. E ha reso la Finanziaria una bagarre, trasferendola sui social. Questo rivela la sua totale inadeguatezza”.

Un concetto rimarcato da Claudio Fava a Buttanissima: “L’idea che l’opposizione debba limitarsi a svolgere una funzione da cancelliere – mettendo quattro bolli e un po’ di cera lacca – solo per aver ricevuto qualche regalia ad personam, è un’idea malata della democrazia parlamentare”, ha detto il deputato dei Cento Passi E persino dai banchi della maggioranza c’è un diffuso sentimento di avversione al ‘bullismo’, come manifestato qualche giorno fa dall’on. Danilo Lo Giudice: “Si agisce con una gravissima superficialità, aggravata dal comportamento dello stesso assessore (Armao, ndr) che non fornisce a noi deputati alcuna informazione. Qui non siamo al mercato, siamo al Parlamento e i parlamentari meritano rispetto”.

Bisogna avere doti nascoste per saper scontentare tutti. Questo atteggiamento, però, non ha riflessi solo sulle dinamiche d’aula; bensì, sulle leggi approvate e, di conseguenza, sul risultato dell’attività di governo agli occhi dei siciliani. Se, ad esempio, l’articolo 8 sulla BEI fosse stato uno strumento serio di sostegno alle piccole imprese non bancabili, il fatto di aver insistito con il milione e mezzo, senza fornire i dettagli che l’aula si aspettava, ha determinato il fallimento della proposta (come sostiene Armao). Ma scaricare la colpa sulle opposizioni irresponsabili, fingendo che non esista un problema di franchi tiratori (tanti o pochi non importa) è la riprova di un modo di fare presuntuoso, e disconnesso dalla realtà. La maggioranza di Musumeci, dopo la scissione dei Cinque Stelle, ha acquisto i cinque deputati di Attiva Sicilia – molto vicini all’assessore Razza – e dato profondità al proprio organico. Eppure continua a perdere partite agevoli, almeno sulla carta. Vuol dire che esiste, all’interno dei gruppi, un fortissimo imbarazzo di fondo che va al di là delle dichiarazioni di rito. E nell’allenatore, Musumeci, una difficoltà a capire, o ad ammettere, di che male soffre la sua squadra.

Il disorientamento del centrodestra emerge, fra l’altro, anche sulle pensioni dei regionali e sul tentativo, per nulla convincente, di difendere l’accordo Stato-Regione che è stato lo stesso governatore a firmare. L’assessore Zambuto s’è già fatto promotore di un incontro col ministro Brunetta per modificarlo. Ma nel frattempo un segnale andava dato. Come? Forse, approvando l’articolo 16 della Legge di Stabilità, che prevedeva l’applicazione di un contributo di solidarietà ai dipendenti regionali in pensioni. Intaccando, ancora una volta, un diritto acquisito. La Regione, che voleva far contento lo Stato, nella prima bozza aveva determinato un taglio minimo anche sulle pensioni più basse; dopo le proteste iraconde di sindacati e opposizioni, in Commissione Bilancio aveva deciso di limitare la sforbiciate agli assegni superiori ai 3.500 euro; ma di fronte a una ulteriore levata di scudi (dalla Lega, oltre che dalle opposizioni), Micciché – nonostante la resistenza del governo – ha ufficializzato la soppressione dell’articolo. E chi s’è visto, s’è visto.

Il messaggio che arriva da palazzo dei Normanni è di altro tenore: cioè che l’Assemblea non è un mero ornamento dell’azione di Musumeci e Armao. Rappresenta, tuttora, il baluardo dell’espressione popolare. E il dissenso è un’arma della cultura democratica che – a differenza del comma di un articolo – non può essere soppressa. Come il diritto di cronaca, e persino di critica. Conquiste che la politica non può revocare, sospendere o minacciare. E nemmeno calpestare con l’arroganza di chi crede di sapere tutto, ma quando il gioco si fa duro… improvvisamente sparisce.