Il giugno nero di Nello & C.

“E’ stato massacrato”. Dall’anfiteatro de ‘Le Ciminiere’ di Catania, dove qualche centinaio di persone, martedì pomeriggio, sotto l’afa, ha assistito alla presentazione del libro di Giorgia Meloni, fuoriesce uno spiffero. Riferito a un ospite “indesiderato”, ma che alla fine, grazie a un’ottima rete di contatti, è riuscito a strappare un posto in prima fila: Nello Musumeci. Il governatore attende la Meloni, si sofferma a parlare con lei (marcato stretto dal sindaco di Catania, Salvo Pogliese), infine si rifugia in platea per ripassare l’escalation di Giorgia. Che durante il suo discorso accenna “a un partito inchiodato sul 4-5%”, che però “non ha mai smesso di seminare. Oggi raccogliamo i frutti”. Dalle prime file si spellano le mani. Tutti, tranne Musumeci. Probabile che nelle parole della Meloni abbia colto un segnale: era stato lui, il presidente della Regione, a snobbare la federazione con “il partitino del 2-3%” alla vigilia delle ultime elezioni Europee: un momento storico (marzo 2019) che ha segnato la rottura con Raffaele Stancanelli, co-fondatore di Diventerà Bellissima, e che da lì a poco sarebbe diventato deputato a Strasburgo per FdI.

Un altro jab dritto al mento del governatore arriva a metà della discussione con Mario Barresi e Pietrangelo Buttafuoco, i due moderatori dell’evento: “Se c’è una cosa che abbiamo imparato a destra – dice la Meloni -, è che tutti sembrano indispensabili ma nessuno lo è”. Il messaggio viene subito camuffato col riferimento alla parabola discendente di Gianfranco Fini. Infine, di fronte ai giornalisti, altre dichiarazioni che si rivelano una doccia gelata per le ambizioni del governatore: “Siamo leali con il presidente della Regione e lavoriamo per concludere al meglio questa legislatura”, ma “quello che accadrà è ancora presto per dirlo”. Sembra di risentire gli sherpa leghisti: non è il momento. Il sospirato endorsement non arriva, e difficilmente arriverà. Come abbiamo avuto modo di raccontarvi nei giorni scorsi Fratelli d’Italia è un partito diviso: l’assessore Messina, componente della giunta di Musumeci, tifa per il bis; gli altri, invece, restano guardinghi. Compresa la Meloni, che discutendo coi suoi al termine della giornata, è ancora risentita per “come” Nello “si è comportato con noi”.

Il passato non si dimentica, specie quando puoi disporre di sondaggi così favorevoli come la Meloni negli ultimi giorni. Musumeci – nonostante i mille problemi della sua amministrazione, esplosi come bubboni – sta cercando di mettere a punto l’organizzazione di sabato, allo Spasimo. Primo appuntamento del tour estivo, per dire ai siciliani cosa è stato fatto in tre anni e mezzo di legislatura. Difficilmente compariranno le slide con il dispositivo della sentenza della Corte dei Conti, che ha bocciato senz’appello – pur dando il via libera alla parifica – il Bilancio della Regione. Non è materia da comizi. Musumeci parlerà delle “cose belle”, e lancerà la volata per una ricandidatura che in questo momento è assai ostica e piena di pregiudizi. Per sabato ha invitato tutti i segretari di partito, garantendo che non ci sarà nessuna fuga in avanti. E ci mancherebbe: da Lega e Fratelli d’Italia è già arrivata una ‘diffida’ non ufficiale (con la prospettiva che sarà un tavolo romano a decidere il nome del prossimo candidato), ma anche da Forza Italia i messaggi sono sibillini.

Miccichè ha gradito poco i modi e i tempi imposti per il ritorno dell’assessore Razza. Ha gradito ancora meno la gestione di alcune nomine (l’ultima, alla Foss) e la virata Catania-centrica dell’esecutivo. Non ha perso occasione di ribadire che “Musumeci potrebbe essere il prossimo candidato alla presidenza, io non ho nulla in contrario”, anche se la decisione va “presa insieme”. Le autocandidature, rispetto al 2017, non sono ammesse. Pena lo sfilacciamento della coalizione, come è già avvenuto in più occasioni all’Ars. Dalla bocciatura dell’articolo 1 della legge sui rifiuti, a fine 2019, al ritorno in aula di Ruggero Razza, dopo i due mesi di “sospensione”, non sembra cambiato granché: il clima è rigido, i numeri per fare le riforme non ci sono, così ci si accontenta di sopravvivere. Di tirare avanti per inerzia, tanto c’è il Covid a ‘mascherare’ la realtà. L’emergenza sanitaria, i vaccini, le inaugurazioni (lunedì un padiglione all’Istituto Roosevelt, martedì il mercato ortofrutticolo di Caltanissetta, ieri la presentazione dell’Ismett 2 di Carini, infine la Fiera mediterranea del Cavallo ad Ambelia) sono ciò che resta di un mese nero sotto il profilo amministrativo.

Giugno è stato rovinato da alcune ferite che rischiano di non cicatrizzarsi più. La parifica, intanto. Cioè il check-up completo sui conti della Regione, che ha dato esito negativo. La Corte dei Conti ha accertato irregolarità per circa un miliardo, oltre a un potenziale disavanzo da 449 milioni che va ‘spalmato’ in qualche modo. Dal giorno della sentenza, venerdì scorso, la Regione non ha ancora emesso un comunicato ufficiale per spiegare come intende far fronte a questi numeri impietosi. Si limita a prendere atto “dell’auspicata parifica del rendiconto generale della Regione Siciliana per il 2019” e “si riserva di svolgere le considerazioni di merito appena sarà disponibile il dispositivo della decisione con le relative motivazioni”. Fra i numerosi rilievi presentati dai magistrati contabili, la bocciatura del Conto economico e dello Stato patrimoniale: a palazzo d’Orleans non hanno mai completato una ricognizione del patrimonio, né conoscono il valore dei propri immobili.

E non è mancata una stoccata nei confronti dell’assessorato alla Salute, e del suo comandante in capo, Ruggero Razza: “È grave la mancata conoscenza del saldo di cassa della gestione sanitaria” ha detto il procuratore generale della Corte dei Conti, Pino Zingale, rilevando che “la incomprensibilità, gravità e assurdità di una simile situazione denota il livello di approssimazione che caratterizza la gestione delle risorse pubbliche e una totale mancanza di visione e controllo strategico”. Razza è reduce da un ritorno di basso profilo ai vertici dell’amministrazione regionale. Poche parole e (si spera) tanti fatti. Non è stato accolto con toni trionfalistici delle opposizioni – ma questo c’era da aspettarselo – ma nemmeno della maggioranza, che ha salutato il suo rientro a Sala d’Ercole, per un dibattito sulla gestione della pandemia, quasi con indifferenza. Il delfino di Musumeci non è soltanto l’assessore alla Salute del governo della Regione, ma un asset di Diventerà Bellissima in vista delle prossime contrattazioni per far tornare il colonnello Nello a palazzo d’Orleans. E’ suo lo zampino sul tour itinerante che scatta domenica da Palermo. Ha inondato Musumeci di miti consigli per evitargli un’esposizione eccessiva, che avrebbe mandato in frantumi i rapporti con gli alleati.

L’altro dioscuro del governatore, Gaetano Armao, è invece alle prese con un momento delicatissimo. Dei conti e delle perdite, abbiamo già detto. Musumeci, però, pretende che sia lui (e non altri) a tirarlo fuori dal guado. A rammendare una situazione difficile, anche per l’impugnativa di Roma che si è abbattuta su alcune norme dell’ultima Finanziaria. In primis, quella che avrebbe garantito dopo 25 anni la stabilizzazione degli Asu, una platea di 4.571 precari. Armao, assieme a Scavone, ha istituito un tavolo permanente, e si dice pronto a chiedere allo Stato l’ennesimo “favore”: ossia l’approvazione di una norma ad hoc per superare i motivi dell’impugnativa che parlano di “sconfinamento” delle prerogative della Regione. Poi c’è la vicenda dei Comuni, che vedrà impegnato l’assessore al Bilancio in un altro tavolo convocato al Ministero dell’Economia dalla viceministra Castelli: l’obiettivo è impedire il tracollo finanziario degli enti locali, mai così trascurati a tutti i livelli istituzionali. E poi c’è un fiume di ristori, tuttora congelati, da accreditare alle attività colpite del Covid.

L’ultima disdetta della Regione, inoltre, arriva da un altro tribunale: la Corte d’Appello di Palermo, infatti, ha respinto il ricorso contro una sentenza del Tribunale del Lavoro che dichiarava “illegittimo” il conferimento di posizioni apicali a dirigenti di “terza fascia”. Anche qui un vulnus da sanare, e per il quale non basterà qualche passerella. O qualche comizio improvvisato fra gli astanti di Ambelia, un’altra manifestazione che Musumeci sta smussando nei piccoli dettagli, e che verrà celebrata dal 2 al 4 luglio nella stazione equina a due passi da casa (Militello). Il tentativo di presentare la stagione del suo governo come quella della rinascita, dei fiocchi e dei lustrini, è già confutato in partenza. Giugno ha presentato al governatore un conto salatissimo. Che nessuno ha voglia di pagare.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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