Renato Schifani continua a fingere che l’allarmismo (“immotivato”) sull’autonomia differenziata provenga da sinistra e basta; e, inoltre, sorvola sulla richiesta di chiarimenti dello stato maggiore di Forza Italia, che non sembra aver gradito la presenza di troppi affluenti esterni rispetto al lusinghiero 23% ottenuto in Sicilia, tanto meno la bocciatura nelle urne di Caterina Chinnici. Si riparte, quindi, da un regolamento di conti che mette il presidente della Regione sulla graticola: si dovrà fare sintesi sui ruoli (che fa Tamajo?) e sulle opportunità (mandare o meno la Chinnici in Europa), ma anche sul metodo adottato alle ultime consultazioni elettorali, dove lo schema del partito “inclusivo” è diventato una forma di esperimento “ad excludendum” (come l’ha ribattezzato Raffaele Lombardo).

Il fascicolo è bello corposo e se ne discuterà nel corso del primo Consiglio nazionale – presieduto peraltro dallo stesso Schifani – in programma l’8 luglio. Ad annunciare i temi è stato Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera dei Deputati, il quale non difetta di onestà intellettuale. A tal punto da ammettere che se la metà dei deputati azzurri non ha votato il regionalismo differenziato di Calderoli “è la sentinella di un disagio evidente che va ascoltato e indagato”. Inoltre, dice Mulè a ‘La Nazione’, “va esaminato il voto in Sicilia: lì sono confluiti i voti di Cuffaro, Lombardo, di personalità di Noi Moderati che non hanno nulla a che vedere con FI ma con i giochi in giunta. La nostra capolista delle Isole, Caterina Chinnici, è arrivata terza solo perché le è mancato l’appoggio di un pezzo del partito che faceva un gioco diverso”.

Chiaro ed evidente il malessere. C’è chi è andato in campo per rilanciare Forza Italia, chi per accaparrarsi posizioni di rendita in vista del rimpasto. Che pertanto è direttamente collegato alle discussioni e ai chiarimenti romani. Non che rimangano troppe giustificazioni a Schifani & Caruso. Tanto più dopo che molti voti della Democrazia Cristiana sono finiti a Edy Tamajo, “falsando” la sfida con Marco Falcone. I due assessori non lottavano soltanto per accaparrarsi un seggio a Bruxelles – alla fine sono riusciti a ottenerlo entrambi – ma soprattutto per far emergere la linea prevalente nel partito. Ma il patto non scritto è che a decidere questa linea fossero soltanto i forzisti, tanto da far misurare Cuffaro e Lombardo sui ‘fuoriquota’: da una parte Massimo Dell’Utri, dall’altra Caterina Chinnici. Qualcuno, però, si è infiltrato nel derby fratricida, rafforzando – almeno in apparenza – la tenuta di Schifani, che del ras di Mondello era lo sponsor principale.

Probabile che Tamajo resti a Palermo e ottenga un upgrade, passando dalle Attività produttive alla Sanità; e che la Chinnici possa volare a Bruxelles per far felice il segretario nazionale; ma quella fetta del partito che ha portato 100 mila voti a Falcone, “tutti voti nostri”, non potrà accontentarsi soltanto di una staffetta tra l’uscente e un sostituto. Vorrebbe una legittimazione almeno pari rispetto a quella degli ex Sicilia Futura – i Cardinale, i D’Agostino, eccetera – che non hanno mai rappresentato una continuità con la storia del berlusconismo e del centrodestra moderato. E che provengono, semmai, da esperienze più vicine ad altri mondi: prima con Crocetta, poi con Renzi e via discorrendo. L’equiparazione – sulla carta – è inaccettabile. A Roma l’hanno capito e, nonostante la considerazione che si deve a Tamajo (quasi 122 mila preferenze), vorrebbero evitare che Forza Italia si trasformi davvero in un taxi disposto a imbarcare chiunque. Specie se quel “chiunque” non ha agito secondo logiche di partito e ha fatto il possibile per ostacolare la corsa della Chinnici, ch’era stato Tajani in persona a indicare come capolista.

Solo negli ultimi giorni di campagna elettorale Schifani è comparso ad un paio di appuntamenti elettorali in sua compagnia, provando a recuperare la malcapitata in qualche terzina. Per il resto, è stato Lombardo – il suo sostenitore della prima ora – a rivelare il “gioco diverso” di cui disquisisce Mulè: “Siamo stati, di gran lunga, i maggiori sostenitori della scelta del segretario nazionale Antonio Tajani di affidare all’onorevole Chinnici il posto di capolista nel collegio della Sicilia e della Sardegna – ha detto il leader del Mpa, visibilmente scocciato, commentando il risultato delle urne – Mentre va tenuto presente che a cercare di intaccare il valore di quella scelta si è operato mettendo in campo certe terzine ‘ad excludendum’ della capolista”. Totò Cuffaro – che la Chinnici non ha fatto nulla per tenersi amico – non si sente direttamente responsabile, perché lui ha chiesto di contarsi su Dell’Utri, e certe iniziative isolate, assunte da alcuni dei suoi compagni di partito, l’hanno amareggiato fino a ferirlo. Mentre Totò Cardinale, che di FI non si sente più ospite ma interprete, ha lodato Schifani perché “fautore di questo modello di aggregazione”.

La patata bollente resta in mano al governatore, che non vive di rapporti sempre idilliaci con Tajani. L’8 luglio dovrà dargli qualche spiegazione. Così come potrebbe rassicurare il diffidente Roberto Occhiuto sulle prospettive dell’autonomia differenziata, che ha aperto un ulteriore squarcio, specie nel Meridione, fra gli accoliti di Berlusconi. Fin qui i tentativi sono apparsi blandi: “Tutta questa preoccupazione del presidente Occhiuto non la condivido – ha detto Schifani a Rai News 24 – anche perché da tempo si discute all’interno del partito di questo tema. Lui stesso si è vantato nel passato come FI avesse apportato delle modifiche positive sul testo iniziale di Calderoli”.

“Chi sostiene che l’autonomia differenziata spacchi l’Italia – ha rimarcato ieri – fa terrorismo politico. Mi rifiuto di pensare che questo o altri governi approvino intese pericolose per il Sud. Sarebbe pura follia. L’allarmismo della sinistra è infondato”. Ma non è solo la sinistra: o Schifani ha una bassa considerazione di chi la pensa diversamente da lui, od ogni tanto si distrae. Piccola postilla finale: Occhiuto, secondo l’ultima rilevazione SWG, è al quinto posto, per livello di gradimento, fra i presidenti di Regione; Schifani è ultimo. Che sia anche questo un segnale da sottovalutare? Ai piani alti ci riflettono…