Sebbene Schifani provi a tirare la coperta dalla sua parte, in Sicilia non è il solo che comanda. E’ quello che firma gli atti più importanti, che si adira e che cazzia (come è avvenuto di recente per il “balletto inqualificabile” delle nomine); che si imbroda in pubblico quando c’è un risultato da esibire, e fa perdere le due tracce quando le cose vanno male, mandando in avanscoperta qualcuno dei fedelissimi (prendete la Volo). Ma non è il solo a determinare le fortune o le disgrazie di una terra dove la classe dirigente fatica a rinnovarsi.
In prima linea, oltre al presidente in carica, ci sono altri due santoni che lo surclassano per mestiere, che hanno molti più voti di lui, e che tuttavia lo affiancano, senza mai sopravanzarlo. Sono due fontanelle d’acqua in un mare di gramigna ed entrambi vanno per la settantina: si tratta di Totò Cuffaro, che venne eletto per la prima volta all’Ars nel 1991 ed è stato governatore per ben due volte, anni 66; e Totò Cardinale, che appartiene all’era dell’analogico, pur essendo stato Ministro per le Comunicazioni nei governi D’Alema e Amato a cavallo del 2000. Primavere 76. Erano spariti dalla scena: uno per motivi giudiziari, l’altro per questioni anagrafiche.
Cuffaro si è riavvicinato alla politica per gradi, ma è rimasto estraneo a qualsiasi incarico elettivo nonostante la riabilitazione da parte del Tribunale di Sorveglianza di Palermo. Ma conta, eccome se conta. Ha riportato la DC sulla scena regionale (e nazionale), fatto incetta di amministratori e di parlamentari e oggi si gode la vista dall’alto. Consapevole che senza i suoi voti alle Europee, Forza Italia non avrebbe eletto Caterina Chinnici. Ha fatto un assist a Tajani, nonostante il vicepremier lo avesse stoppato sulla via dell’apparentamento alla vigilia della campagna elettorale, impedendogli di diventare un affiliato. Ma è tornato utilissimo all’amico Schifani, che anche grazie a lui ci ha rimediato un figurone nazionale: il 23 per cento.
E’ uno dei pochi che non ha dato di matto per le condizioni irreversibili in cui questo governo – tra emergenze e lottizzazioni – ha ridotto la Regione. Auspica un secondo mandato per Re Renato, pur essendo consapevole che è difficile, quasi impossibile ottenerlo. E’ stato uno dei pochi, Cuffaro, a non inquinare il pozzo della sanità con bugie irripetibili e tentativi di scaricabarile: “La politica non deve lottizzare, ma consigliare. Io stesso, in questa occasione, mi sono limitato a dare qualche consiglio su bravi professionisti, rispettando sempre l’autonomia del direttore generale”, ha detto a Live Sicilia, ridimensionando la sua influenza (senza però negarla). Altro che “non ne sapevo niente”. Non arretra sui diritti civili – favorevole allo Ius Scholae – ed è libero di dire ciò che crede anche sull’autonomia differenziata. Cosa che non è concessa ai giovani rampanti come Tamajo, tacciato di eresia per aver aperto a una riflessione sui generis e “tradito” la posizione del capo.
Tamajo è l’anello di congiunzione fra Schifani e Totò Cardinale, anche se negli ultimi giorni è quasi si è quasi trasformato in un motivo di scontro. Dalle critiche sull’autonomia, si è generata una valanga che ha travolto tutti: Schifani non ha concesso il direttore sanitario del ‘Civico’ – questa la ricostruzione ufficiosa di Repubblica – perché Tamajo, in un messaggio vocale indirizzato ad alcuni fedelissimi, avrebbe spiegato di essere il prossimo candidato alla presidenza. Apriti cielo. Non è bastata una foto insieme sui social né l’ennesima smentita del diretto interessato (“I suggerimenti da parte di qualche ex forzista, o forzista incattivito, ad alcuni giornalisti, sono frutto di cattiveria e di parassitismo”). E’ servito l’intervento di Cardinale per placare l’ira funesta del governatore. L’ex ministro è uno che negli ultimi anni non si spostava da Roma neppure a cannonate, che aveva deciso di intraprendere la carriera di “padre nobile” , dispensando consigli a chiunque glieli chiedesse (e sono in tantissimi, di tutti gli schieramenti). E invece, grazie al suo allievo, si ritrova a muovere i fili della politica siciliana; a offrire soluzioni (è stato il primo a suggerire a Tamajo di rinunciare al seggio all’Europarlamento); a costruire carriere e prospettive.
Anche lui, come Cuffaro, si è rivelato determinante per il risultato di Forza Italia alle Europee (l’assessore alle Attività produttive ha portato a casa 121 mila preferenze) ed è l’unico in grado di far ragionare Schifani quando va fuori di grazia. Con la sua flemma e la profonda esperienza di governo; con la sua formazione e la sua rete di conoscenze. E’ stato e continua ad essere uno dei maggiori interpreti della politica siciliana, architettando da Mussomeli ogni singola mossa. Non importa se da destra o da sinistra (la figlia Daniela era stata eletta col Pd prima di tirarsene fuori). Sa ancora come indirizzarla, anche se non ammetterà mai di averci provato. Un nonno irredimibile.
Dalla sua saggezza e da quella di Cuffaro dipenderà il cammino di Schifani durante gli ultimi tre anni di questa legislatura. A renderlo particolarmente impervio, nelle ultime settimane, ci ha pensato il quarto santone. L’unica voce fuori dal coro, pur partendo dalla stessa coalizione e dalla medesima maggioranza. Si tratta di Raffaele Lombardo, 74 candeline nel prossimo ottobre, che continua a digrignare i denti di fronte alle ingiustizie (specie nei suoi confronti). Critico sulla sanità, sul rimpastino, su Cuffaro, sull’autonomia differenziata, sulla gestione degli aeroporti e della monnezza; e soprattutto sull’Ast, l’Azienda siciliana dei trasporti. La Regione – dopo le dimissioni di Giammarva e Parlavecchio – aveva convocato il Cda della partecipata per eleggere il nuovo presidente, e poi non s’è nemmeno presentata. Un segnale di sfida al Mpa, che nel tempo l’ha trasformata in un feudo ma che purtroppo – con il bando di nove anni predisposto dalla Regione – la vedrà confinata verso le tratte meno remunerative. A un passo dal fallimento.
I capricci sono diventati più serrati da quando Micciché – il più detestato dei 70 deputati dell’Ars per il governatore – s’è iscritto al gruppo parlamentare autonomista. Ha rappresentato l’inizio della fine. Le cose potrebbero ulteriormente peggiorare se il Mpa si vedesse riconoscere il settimo parlamentare in Assemblea (Luigino Genovese) e restasse con un solo assessore in giunta – Di Mauro – per di più bistrattato. Ecco: se c’è qualcuno in grado di arrecare disagio al governo di centrodestra, quello è Lombardo. Un “ex” che non è mai diventato tale e che assieme agli altri tre costituisce un limite e un patrimonio, allo stesso tempo, della politica siciliana.