Partiamo dalla notizia: Gianfranco Miccichè ha rotto gli indugi e accettato di chiudere su Renato Schifani. Sarà lui il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione. Il senatore palermitano era stato selezionato da una terna di nomi offerti da Berlusconi, attraverso Antonio Tajani, a Fratelli d’Italia. Ma dopo una lunga riflessione era stato scartato da deputati e assessori del suo stesso partito, che avevano chiesto a Micciché di rappresentarli. Ipotesi impraticabile per le ormai note divergenze fra il vicerè berlusconiano e Ignazio La Russa. Così, dopo aver visto appassire in poche ore l’ipotesi Barbara Cittadini, il coordinatore di Forza Italia ha deciso di accogliere l’unica proposta ‘non divisiva’ rimasta in campo. Con tutte le conseguenze del caso.
“Sono onorato e commosso dalle parole di Gianfranco Miccichè che mi indica come candidato di Forza Italia alla presidenza della Regione siciliana – sono state le prime parole di Schifani -. Un profondo e sincero ringraziamento va al Presidente Berlusconi, al coordinatore nazionale Antonio Tajani e alla classe dirigente del mio partito che ha voluto questo mio impegno. Ringrazio inoltre tutti gli alleati della coalizione per il sostegno e la fiducia dimostratami – aggiunge -. Lavorerò senza sosta per il bene e la crescita della mia terra, sempre nel rispetto delle varie sensibilità dei partiti della coalizione e della sua unità”.
La scelta di Renato Schifani, però, è figlia delle impuntature, dei ricatti, dei veti. Della volontà di Miccichè di non sottomettersi per altri cinque anni all’arroganza di Musumeci; dell’insolenza di La Russa e Meloni nel tenere la barra dritta e provare a comandare in casa altrui. Non nasce dalla ritrovata unità del centrodestra, ma dalle imposizioni (o imposture?) romane: i partiti, in vista delle Politiche, non potevano concedersi spaccature in Sicilia. Nasce, semmai, dalle macerie di una coalizione che, dalle Amministrative di Palermo in giù, non ha ancora risolto i suoi problemi e, piuttosto, li ha aggravati.
Il punto è che il senatore azzurro, già azzoppato, potrebbe addirittura perdere, vanificando la teoria di Miccichè che contro questo centrosinistra, tuttora alla ricerca di un perimetro definito, ce la farebbe anche un gatto. Il centrodestra, infatti, ha già smarrito il sostegno di una falange: quella degli ultramusumeciani. Gli irriducibili, anche dopo il passo di lato di Musumeci, hanno insistito sul web con appelli accorati affinché fosse lui, Nello, il candidato. Lo hanno fatto con una pervicace convinzione che, al netto della stima per l’uscente (ognuno stima chi vuole), travalica l’integralismo.
Basta dare un’occhiata all’ultimo post dell’assessore al Turismo, Manlio Messina, uno dei “paracadutati” di questo governo. Senza un voto – fu nominato dal partito – ma capace di guadagnarsi spazio nell’inner circle del presidente: “Preferisco un presidente antipatico ma che fa il proprio dovere con scrupolo e coscienza piuttosto che qualche ciarlatano della finta antimafia o qualche altro stravagante personaggio che probabilmente faranno ridere, e tanto pure, ma che farebbero tornare indietro la Sicilia di mezzo secolo”. Lui, come altri, hanno deciso di votare Musumeci comunque. Anche se sulla scheda Musumeci non ci sarà. Come non ci sarà il suo movimento (Diventerà Bellissima). Fagocitato dagli eventi, diventato un agnello sacrificale sull’altare della Meloni.
Basterà la Meloni a sedare gli spiriti bollenti di questa vandea musumeciana, riversando i voti dei suoi membri (incattiviti) sul timido Schifani? Riuscirà a far tornare in sé il deputato ibleo Giorgio Assenza, ultranellista nella prima ora, arrivato a proporre una corsa solitaria “con quelli che ci stanno”? Riuscirà ad accaparrarsi le simpatie di Tuccio D’Urso, il responsabile della struttura tecnica anti-Covid, che ha abbandonato qualsiasi pudore istituzionale, per sostenere l’unico presidente possibile? Riuscirà a far capire al presidente di Airgest, Salvatore Ombra, che l’aeroporto di Trapani sopravviverà al governatore che l’ha riempito di sovvenzioni pubbliche? Sarà capace Giorgia, che è donna di principi e di parola, di consolare le “vedove” più vicine al governatore – Aricò, Razza, Savarino – e farle impegnare in campagna elettorale per un pincopallino qualunque che non sia Musumeci?
La soluzione Schifani è figlia, ovviamente, delle solite impuntature. Quella di Ignazio La Russa, ad esempio, che ha privato il centrodestra del polso di Raffaele Stancanelli: un uomo apprezzato da tutti i partiti, ma col difetto di avere un pessimo giudizio sul Musumeci politico e governatore. Avrebbe vinto a mani basse. E quella di Miccichè nel dire ‘no’ a Musumeci per risolvere un quinquennio di tensioni sociali e personali. Il risultato dell’intera operazione – con FdI che si concede il lusso di scegliere il candidato in casa d’altri (dopo che la Russa ha contestato lo stesso principio, bocciando l’europarlamentare) – non rappresenta una vittoria per Forza Italia. Tutt’altro.
Lo dimostra la nota di venerdì con cui una enorme fetta del partito, dopo il veto posto da Meloni sulla Prestigiacomo, ha scaricato anche Schifani invocando la discesa in campo di Micciché. Lo stesso Micciché che i “falchi” (compresi Falcone e Zambuto, transitati a un certo punto tra i filomusumeciani) avevano rinnegato, fino a chiederne la rimozione. ‘Ma chi è La Russa per imporre un nome a casa nostra?’, è stata la reazione di pancia. Già: chi è La Russa per condizionare la vita di un (altro) partito e spingerlo a un passo dal guard-rail rischiando di farlo schiantare? La Sicilia è l’ultimo feudo forzista. Fratelli d’Italia non vede l’ora di annetterlo.
Come? Il piano-A prevedeva di farli fuori tutti, da Stancanelli in giù, per arrivare all’ultimo miglio con l’unica proposta possibile: Musumeci. Ciò avrebbe permesso a Giorgia, Ignazio, Nello e il suo cerchio di spodestare Forza Italia e riprendersi la Regione. FdI, che non ce l’ha fatta ad arrivare a tanto, potrebbe accontentarsi di aver puntato sul cavallo peggiore, che depotenziato dall’entusiasmo degli ultrà musumeciani e della stessa Forza Italia, rischia di andare a sbattere su un risultato elettorale sempre più incerto. Con una sconfitta passerebbe il messaggio che il candidato espresso da Berlusconi non era abbastanza forte. Non quanto Musumeci. E quindi, viva la sconfitta.
Musumeci: noi di FdI i primi a indicare Schifani
“Ho ricevuto in serata una piacevole telefonata da Renato Schifani. Gli ho rinnovato il sentimento di amicizia e stima che ci lega da tanto tempo. L’ho ringraziato per avere sempre difeso le ragioni del mio governo, in coerenza col suo profilo istituzionale. Siamo stati i primi, con Fratelli d’Italia, a proporre ieri il suo nome e saremo leali con lui anche in questa non facile ma esaltante competizione elettorale regionale”. Lo ha scritto sui social Nello Musumeci, governatore dimissionario.
Minardo (Lega): “Schifani ottima soluzione”
“La convergenza di tutto il centrodestra sulla candidatura di Renato Schifani alla presidenza della Regione Siciliana è un’ottima notizia e chiude nel migliore dei modi una discussione lunga e accesa. Al presidente Schifani mi legano rapporti di grande stima e amicizia reciproca; la sua competenza e la sua esperienza politica e istituzionale sono indiscutibili. Adesso il centrodestra ha la grande occasione di presentarsi ai siciliani con un progetto serio e convincente sostenuto da una vasta area politica e che potrà davvero dare risposte concrete alla grandi sfide strutturali e di riforme che attendono la nostra Regione. Da parte mia e di tutta la Lega Sicilia – Prima l’Italia garantisco il massimo impegno e la totale lealtà in campagna elettorale con l’obiettivo di portare Renato Schifani a Palazzo d’Orleans con un ampio consenso e una solida maggioranza all’ARS”. Lo dice l’on. Nino Minardo, segretario regionale Lega Sicilia – Prima l’Italia