Alla base del litigio, poi ricomposto (?), fra il presidente Schifani e il ministro Salvini non c’è soltanto un “errore di comunicazione” bensì di prospettiva; c’è la grande quantità di chiacchiere sorte attorno alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, che hanno annebbiato la vista degli addetti ai lavori e persino dei diretti interessati. Chiacchiere e piccioli. Anche se questi non è Salvini a gestirli, bensì il Ministro della Coesione territoriale, Raffaele Fitto.
Sempre più frequente, in questi giorni, è l’immagine di lui, l’ex berlusconiano transitato sotto le insegne di FdI, che controlla il forziere e nasconde le chiavi. Che decide cosa fare di questa enorme quantità di risorse extraregionali legate alla programmazione 2021/27. Schifani, insomma, non avrebbe di che arrabbiarsi con Salvini: il vicepremier è il solito guascone che accentua frasi e soluzioni. Ma è Fitto, il ministro fidatissimo dalla Meloni, ad aver ritagliato una parte consistente del plafond siciliano: circa un miliardo e trecentomila euro a valere sui fondi di sviluppo e coesione (Fsc). Una parte considerevole rispetto ai 6,8 miliardi di partenza.
La previsione di spesa e di investimento della Sicilia si è abbassata notevolmente, senza tener conto del fatto che altri 700 milioni “imputati alle Amministrazioni centrali” (e che comunque potrebbero riguardare la progettualità per Sicilia e Calabria, come per tutte le altre regioni) sono state virtualmente scorporate per coprire il fabbisogno economico di un’opera costosissima. Sempre in attesa che si possa rimpiazzarli, negli anni, con coperture meno dispendiose, magari a carico dell’UE. Gli unici soldi che non torneranno indietro sono quelli “prelevati” dal fondo di Palazzo d’Orleans, con un atto d’arroganza politica di cui Salvini è stato un interprete. Ma che è ascrivibile direttamente al magico mondo di Giorgia.
Fratelli d’Italia, dopo aver coccolato Schifani, averlo fatto eleggere e, infine, inchiodato di fronte ai doveri del ruolo (uno su tutti? Nominare due assessori graditi allo stato maggiore di Via della Scrofa) gli ha giocato un tiro mancino che il presidente, senz’altro, si ricorderà a lungo e per il quale, sbagliando obiettivo, aveva agitato lo spauracchio del “conflitto istituzionale”. Se la Sicilia sarà costretta a contribuire con 1,3 miliardi alla realizzazione del Ponte sulle Stretto, e depredata dei suoi averi più cari, è colpa – o comunque responsabilità – del Ministro pugliese che aveva già effettuato uno “scippo” al momento dell’insediamento: quello nei confronti di Nello Musumeci, che da Ministro per il Sud in fieri, era stato privato della delega alla Coesione territoriale, con la conseguente rinuncia ad amministrare i fondi comunitari (compresi quelli legati all’attuazione del Pnrr).
Il Ministro del Mare e della Protezione civile, nei giorni scorsi, è stata l’unica voce semi critica nei confronti di Fitto, e l’ha fatto da Atreju, sede della grande festa meloniana prima di Natale: “E’ giusto che le due Regioni partecipino alla realizzazione del Ponte – aveva detto l’ex governatore siciliano – ma è anche giusto che lo Stato dia il suo contributo, senza nulla togliere alle legittime attese dei territori. Il problema è anche in funzione degli obiettivi che ogni regione intende raggiungere”. Una diplomazia di facciata che non riesce a mascherare fino in fondo la legittima tentazione di dire ciò che avrebbe voluto dire: cioè, giù le mani da quei soldi. Musumeci, che non ha mai sbandierato il vessillo del Ponte come ha fatto Schifani, non può però andare contro il suo governo e non può certo apparire come il rancoroso di turno. Le sliding doors della politica non ci consentiranno – mai – di sapere come si sarebbe comportato lui al posto di Fitto.
Ma è probabile, anzi verosimile, che Giorgia si fidi maggiormente del suo scudiero. Elevato ai ranghi di protagonista già durante la precedente legislatura in Europa, quando divenne presidente del gruppo ECR (quello dei conservatori cui aderisce Fratelli d’Italia). E siccome Fitto decide il destino della Sicilia – era stato lui a proporre l’impugnativa di alcune norme della Legge di Stabilità 2023, per circa 800 milioni che non trovavano la copertura di risorse extra – Schifani, con un bel bagno di realtà, avrebbe dovuto recarsi dall’amico La Russa non per denunciare il prelievo forzoso di Salvini, bensì per additare il comportamento del ministro di Fratelli d’Italia (il suo stesso partito), che a questo punto rischia di giocare una partita importante: non solo per la realizzazione del collegamento stabile con la Calabria, o nella gestione di 5,5 miliardi strategici per il futuro dell’Isola; ma anche nella tenuta dei rapporti fra governi, meno solida che all’inizio.
Il Partito Democratico, da parte sua, ha provato ad accendere un’altra miccia. Accentuando le distanze su un altro tema cruciale per lo sviluppo infrastrutturale della Sicilia. “Il governo Schifani ad oggi non ha posto in essere le procedure di appalto di una delle opere più significative della nostra terra, la Modica-Scicli (si tratta del prossimo lotto della Siracusa-Gela). La delibera del Cipess di finanziamento per l’importo di circa 350 milioni è del febbraio 2022 (…) Da allora alla Regione Siciliana, si sono girati i pollici per quasi due anni, ed ancora oggi non hanno messo in gara l’opera. Un’occasione da cogliere al balzo per Meloni e Fitto, per definanziare l’opera al 31 dicembre e destinare ad altri territori queste risorse. Nulla di nuovo per un governo contro il Sud e contro la Sicilia”, ha denunciato Anthony Barbagallo, capogruppo Pd in Commissione Trasporti alla Camera.
“Quel finanziamento è il frutto di anni di impegno – aggiunge il deputato regionale ragusano Nello Dipasquale -. Non permetteremo che il nostro territorio venga oltraggiato con l’ennesimo scippo. Il centrodestra, al governo a Roma e Palermo, non solo non finanzia un km in più dei lotti fino a Gela, ma nel silenzio dei suoi pretoriani, trama per l’ennesimo insopportabile scippo sottraendo risorse certe già destinate specificamente per la realizzazione del lotto 9 dell’autostrada. In assenza di formali e certe rassicurazioni, a gennaio scenderemo in piazza, per protestare contro questo tentativo di furto”.
Forse è il classico esempio di quando si mette il carro davanti ai buoi. Ma nei prossimi giorni un’altra verità, sull’asse Schifani-Fitto, sarà inevitabilmente svelata. E riguarda altri fondi europei, quelli relativi alla vecchia programmazione 2014-2020, che la Sicilia avrebbe dovuto spendere e rendicontare entro il 31 dicembre di quest’anno. La scorsa estate è partita una corsa contro il tempo per la rimodulazione di alcune risorse che non erano arrivate a destinazione (vuoi perché mancavano i progetti, vuoi per l’insipienza della politica e della burocrazia). Così ci si è rivolti al superministro Fitto per predisporre “una manovra correttiva da oltre 800 milioni di euro che da un lato – riferisce Palazzo d’Orleans – risponde alla necessità mettere in sicurezza i fondi a rischio utilizzando al meglio le risorse non impiegate nel poco tempo rimasto, dall’altro è orientata a inserire alcune misure correttive di compensazione in favore di cittadini e imprese, per dare risposte strategiche al territorio. L’intervento proposto e approvato è frutto di una serrata cooperazione con il ministro delle Politiche europee, Raffaele Fitto, i suoi uffici e la Commissione europea” e, a quanto pare, avrebbe superato con successo lo scoglio di Bruxelles. Nei prossimi giorni sapremo se quest’asse ha generato profitti o, come indica l’evoluzione dei rapporti tesi sul Ponte, solo l’ennesima fregatura. A quel punto ci sarebbe davvero da preoccuparsi.