La storia è piena di figli e figliastri. Quella che stiamo per raccontarvi non fa eccezione. Riguarda il mito delle università siciliane di “serie b”. Ossia degli otto poli che fanno capo a Palermo, Catania e Messina e che, se da un lato vorrebbero (e dovrebbero) garantire il diritto allo studio decentrando l’offerta formativa, dall’altro diventano un carrozzone insostenibile per le sedi centrali, che appena possono se ne sbarazzano.
E’ quanto sta avvenendo ad Agrigento, dove il consorzio universitario locale ha contratto negli anni un debito di 12 milioni di euro con l’Università di Palermo. Il rettore Fabrizio Micari, dopo una sfortunata parentesi politica, ha deciso che forse può bastare. Convocato d’urgenza per un consiglio comunale straordinario, nello scorso mese di aprile, non ha usato giri di parole: “L’unica mossa che un amministratore prudente può fare quando ci dicono che non ci sono risorse da Agrigento, è quella di mettere il motore al minimo e non continuare con corsi onerosi che diventano impossibili da sostenere”. Il polo di Agrigento, fino a qualche mese fa, ospitava un corso legato ai Beni Culturali (quale miglior piazza se non la Valle dei Templi?) che da settembre risulta dirottato su Palermo, con conseguente aumento degli iscritti da 30 a 160. Architettura e Giurisprudenza, invece, verranno mantenuti fino ad esaurimento. L’anticamera della rassegnazione. L’unico corso a non essere intaccato è quello che costa meno: i Servizi Sociali.
Che il Consorzio Universitario (CUA) non navighi in buone acque è intuibile dal numero degli articoli di stampa dedicati alla questione – alcuni paventano la chiusura immediata -, dalle parole di Micari, dall’esistenza di una lite giudiziaria pendente con l’ateneo di Palermo, dal fatto che alcuni ex membri del consiglio di amministrazione del Consorzio si siano macchiati di un’accusa precisa: danno all’erario. E’ il caso di Giuseppe Vella, l’ex direttore amministrativo, per un periodo anche segretario generale del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che all’epoca dell’università (anno 2010) avrebbe percepito compensi extra non giustificati. Così come altri due ex presidenti del CUA, l’imprenditore maltese Joseph Midsuf e Maria Immordino. Per un totale di quasi 180mila euro. Una parte risibile dei soldi che mancano all’appello. Seicento iscritti s’interrogano sul futuro.
Sono un po’ meno a Priolo – ci spostiamo sull’asse della Sicilia Orientale – che da qualche mese ha ricevuto un avviso di sfratto da parte dell’Università di Messina, la quale ha revocato una convenzione valida fino al 2024. “La loro sede non è accreditata alla normativa vigente” si è giustificato il prorettore vicario di Unime, Emanuele Scribano. A Priolo, con effetto immediato, sarà chiusa la sede distaccata di Scienze Giuridiche, che verrà trasferita a Noto (figli vs figliastri, si diceva nell’incipit). Il Consorzio promette battaglia in tutte le sedi e sponsorizza una class action fra gli iscritti che non hanno alcuna intenzione di trasferirsi.
Una delle succursali di Messina è Modica. Nella città della Contea si fa Scienze dei servizi sociali. Mentre negli ultimi anni sono sparite alcune facoltà prestigiose, ma diretta emanazione di Catania, come Scienze del Governo. A Ragusa, che è il settimo polo distaccato dell’Isola, resiste solo la Facoltà di Lingua e Letterature Straniere. Il nuovo sindaco Cassì vorrebbe però rilanciare l’università: lo ha dimostrato tenendo per sé la delega al ramo e nominando come assessore un ex componente del consorzio universitario ibleo, tra i quali da qualche anno è rientrato pure il Comune di Modica dopo aver maturato un forte passivo nella gestione precedente.
Infine Siracusa, un caso emblematico della sofferenza universitaria decentrata. Le iscrizioni alla Scuola d’Architettura, nell’ultimo periodo, hanno fatto segnare un picco storico, ovviamente in negativo: 80 allievi. La città in cui si fondono l’arte greca e il barocco ha perso interesse per la sua creatura. Già a inizio anni 2000 un paio di corsi legati ai Beni Culturali furono riassegnati a Catania, ma adesso quell’humus di sapere e conoscenza è andato completamente defunto.
“In tutta la penisola da qualche anno si osserva un calo nel numero di alunni delle facoltà di Architettura. A Siracusa, in particolare su cento posti messi a bando, riusciamo ad avere, per quest’anno accademico, ottanta iscritti” ha detto qualche giorno fa Caterina Carocci, una docente associata di Restauro. “Sono cambiate molte cose dal ’97. Lo sviluppo turistico di Ortigia, con il conseguente aumento dei prezzi delle locazioni, ha scoraggiato la residenzialità studentesca nel centro storico, contribuendo da un lato alla diminuzione delle iscrizioni e dall’altro all’assottigliamento, nello stesso centro storico, di un segmento di popolazione residente portatore di vitalità culturale e di carica innovativa”. Perché l’Università non è solo badge e distintivo. Ma un mondo pieno di vitalità che, quando manca, genera sconforto.