Ma è possibile, dopo quasi un ventennio di tira e molla, di morti aberranti, di promesse millantate, di parole e pinsate a vuoto, che la politica non abbia capito quanto sia necessario dotare la Sicilia orientale di una superstrada che colleghi Ragusa a Catania? Al tema va data enfasi. Perché sulle statali 514 e 194, che scorrono quasi parallele, si è già morto abbastanza. E perché su quei tratti stradali così insidiosi, “curvi curvi”, direbbero i ragusani, e a due corsie, il volume di traffico attuale, con due province in forte espansione economica ai due estremi, non è più sostenibile.
Tutti sanno che si tratta di un’emergenza, che a confronto il ponte di Messina (virtuale) diventa rosso per l’imbarazzo. Ma nessuno riesce a decidere. E così è necessario partire dalla fine. Dagli attori protagonisti di questa farsa che se, non fossimo in Italia, ci farebbe ammazzare dal ridere. La Sacr del gruppo Bonsignore è il concessionario della superstrada che nel 2007 – l’intuizione partì dall’ex sindaco di Ragusa Nello Dipasquale – si aggiudicò il project financing da 1,3 miliardi di euro; il governo nazionale, nella fattispecie il Ministero alle Infrastrutture e Trasporti (Mit) è quello che ha curato, per interposti ministri, il rilascio dei permessi (tutti favorevoli, pare); la Regione, invece, è uno spettatore pagante. Nel senso che, pur non avendo competenza specifica, è entrata in gioco con una quota considerevole (prossima ai 367 milioni di euro, asseriva l’assessore Marco Falcone), per evitare ai siciliani il “salasso” del pedaggio. E, attraverso il medesimo assessore alle Infrastrutture, qualche mese fa, ha fatto sapere di essere disposta a rilevare il progetto dal concessionario e avviare lei i lavori.
Ma restiamo alle cose certe, o rischiamo di perderci. La Ragusa-Catania è una superstrada “fantasma” di 68 km – con quattro corsie, dieci svincoli e l’interconnessione con l’autostrada Catania-Siracusa – in cui i cantieri non sono mai partiti. Un comitato formato dai sindaci della zona – fra cui quelli di Vizzini, Chiaramonte Gulfi, Francofonte, Lentini, Carlentini e Licodia – di recente ha scritto al ministro per il Sud, Barbara Lezzi, chiedendo un incontro urgente: “Perché temiamo – hanno evidenziato nella nota – che l’opera pubblica non rappresenti più una priorità del governo nazionale. Dall’altro lato pensiamo che il governo regionale, con il pervicace tentativo di voler coinvolgere nella realizzazione dell’autostrada il Cas (Consorzio Autostradale Siciliano) che negli anni non ha mai brillato per efficienza e affidabilità, voglia perseguire logiche politiche che nulla hanno a che fare con gli interessi legittimi del territorio”. Premesso che il Cas a fine anno chiuderà (Musumeci dixit), è necessario cogliere il perché del blocco dei lavori.
Dopo oltre dieci anni dall’inizio dell’iter approvativo del progetto della superstrada, il concessionario ha soddisfatto tutte le prescrizioni impartite dal Consiglio Superiore delle Infrastrutture. Lo stesso progetto ha ricevuto tutti i pareri favorevoli da parte di tutti gli organi competenti, compresi quelli espressi dal Consiglio Superiore delle Infrastrutture e della Corte dei Conti (con una fatica che in poche righe non è lontanamente riassumibile). Manca qualcosa però: ossia un “segnale politico” che permetta a Sacr di inviare il dossier completo al Ministero dell’Infrastrutture, il cui compito è quello di inoltrarlo al Cipe (il dipartimento per la programmazione economica del Ministero dell’Economia) per una approvazione definitiva. E sapete da quanto tempo questo progetto attende di approdare al Cipe? Dagli ultimi mesi del governo Gentiloni, quando persino il ministro Delrio – sollecitato dai soliti sindaci incazzati – promise tempi celeri.
Si sono messe in mezzo le elezioni, la formazione ardimentosa del governo, un nuovo ministro (Toninelli) e una nuova ministra (la Lezzi). E tutti i protagonisti di questa strana vicenda – che conferma la regola di una burocrazia inadempiente e di una volontà politica sempre determinante – continuano a rigirarsi i pollici, fra tavoli tecnici che non quagliano e buoni propositi che hanno il retrogusto dell’aria fritta. L’ultimo tavolo lo ha imbandito nelle ultime ore il ministro Lezzi, la quale sembra aver colto – come i suoi predecessori d’altronde – la necessità di “un collegamento che sia al contempo più veloce e più sicuro rispetto a quello attuale” e si è auspicata che questo benedetto incontro “avvenga a breve e, oltre ai sindaci dei comuni interessati dalla tratta Catania-Ragusa, chiederò che prendano parte il Mit, il Mef, la Regione Siciliana e la società concessionaria. Questo allo scopo di avere tutti gli attori seduti al tavolo e di verificare se vi siano ostacoli all’avviamento dei lavori ed eventualmente, fare quanto necessario per rimuoverli”.
Ma come, non mancava solo l’ok del Cipe? Qualora l’incontro si faccia e la quadra si trovi – mettiamo il caso che il concessionario possa arrivare a redigere, stavolta sì, un progetto esecutivo – secondo il comitato dei sindaci passerebbero ulteriori 4-5 per consegnarlo al Ministero delle Infrastrutture e “dare, così, inizio ai lavori, che si concluderebbero entro i successivi 43 mesi”. Più di tre anni e mezzo che, sommati ai circa 18 da cui si attende un cenno reale sulla definizione della Ragusa-Catania, diventerebbero 21. Vista la portata dell’opera, e ammettendo che si arrivi a una conclusione, è come se ogni anno si fossero realizzati 3,2 km di superstrada. Un primato da incubo. Che se non fossimo in Italia ci farebbe ammazzare dal ridere.