Il corteo dell’imperatore

Da sinistra: l'assessore alla Salute, Ruggero Razza, e il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci

La Meloni spera di sottrarre a Salvini il primato nell’Isola, ipotecando la leadership del centrodestra. Così ha ripiegato su Nello Musumeci. Il presidente della Regione non vanta numeri da leggenda (Diventerà Bellissima alle ultime Regionali si è fermata sotto il 6%), ma ha allevato attorno a sé un nucleo di potere, sedimentato nel Catanese, che a Giorgia farà certamente comodo. Tutto ruota attorno a uno studio legale sito in viale Regina Margherita, dove, secondo Repubblica, “passano tanti degli snodi-chiave in vista delle elezioni, dagli aiuti Covid agli investimenti nel digitale”.  E’ lo studio Pcgr, in cui la ‘r’ finale sta per Razza, attuale assessore alla Salute. Mentre la ‘g’ per Gargano, presidente dell’Irfis e capo della segreteria tecnica di Musumeci. L’Irfis è la banca della Regione che gestisce gli aiuti per le imprese danneggiate dalla pandemia: l’ultimo bando, pubblicato qualche giorno fa, mette in palio 73 milioni tra finanziamenti agevolati e contributi a fondo perduto. Un bel malloppo, ispirato – come sempre accade per le misure attuate dall’Irfis – da un altro assessorato chiave: quello all’Economia, dove regna il vicepresidente della Regione, Gaetano Armao. L’unico palermitano del giro, ma con una sfera d’influenza in espansione.

Ma torniamo a Catania. Ruggero Razza, che dal suo rientro in giunta (dopo la bufera giudiziaria) avrebbe dovuto occuparsi solo di amministrazione, lasciando agli altri la politica, ha seguito Musumeci nella sua missione romana. E poco importa che fino a qualche mese fa tifasse per un accordo con la Lega. Le cose cambiano in fretta e Fratelli d’Italia è un treno che rischia di non passare più. Ben venga l’accordo. Soprattutto se – come sembra – sarà garantita al ‘delfino’ di Musumeci una ricca exit strategy. Se la coalizione dovesse andare in frantumi, e non ci fossero più le condizioni per aspirare a palazzo d’Orleans, per il presidente e l’assessore si spalancherebbero le porte di Roma. Un’assicurazione sulla vita (politica) di entrambi. E non soltanto la loro. Anche Enrico Trantino, assessore al Comune di Catania e figlio del capostipite Enzo (tra i personaggi più influenti della destra catanese, da cui i “giovani turchi” hanno ereditato prestigio e ideali), sarebbe in lizza per un seggio a Montecitorio. Che poi Trantino figlio è l’avvocato di Razza nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura di Palermo sui dati falsi Covid, che aveva portato all’arresto di tre persone (tra cui l’ex dirigente del Dasoe, Maria Letizia Di Liberti). Certi amori fanno giri immensi e poi ritornano.

Non che in questi anni ai vertici della sanità Razza sia riuscito a farsi molti amici. L’assessore, al contrario, rappresenta l’ostacolo principale nei rapporti fra Musumeci e gli alleati. A partire da Micciché: “Si crede un imperatore”, ha sottolineato il presidente dell’Ars in un’intervista. E anche di recente non sono mancate le polemiche all’interno della maggioranza per il metodo utilizzato da Razza nella strategia di pianificazione degli 800 milioni utili a finanziare, con fondi europei, la missione 6 del Pnrr: quella che riguarda la sanità. Dopo aver audito i manager delle Asp, Razza ha spedito al Ministero una “ricognizione” delle strutture di prossima apertura. Lo ha fatto senza consultare il parlamento, ma nemmeno sindaci e sindacati. Si è giustificato dietro il “parafulmine” della ricognizione, ma molti – compresa la presidente della commissione Salute dell’Ars, la forzista Margherita La Rocca Ruvolo –  temono i soliti giochetti delle appartenenze. Che, ad esempio, potrebbero portare a Bivona, minuscolo comune dell’Agrigentino amministrato da un musumeciano, un ospedale di comunità che in centri ben più blasonati e popolati (a partire da Sciacca) manca.

Anche sotto il profilo dell’azione, però, l’operato di Razza è apparso scadente. L’ultima polemica scatenata da Cracolici a proposito dell’attivazione dei posti letto Covid (compresi i 17 del Policlinico di Palermo) si unisce a una sequela di lagne provenienti da tutte le latitudini. Dal Pd ai Cinque Stelle alla Lega. La Sicilia è in zona arancione perché il potenziamento degli ospedali, che prevedeva la creazione di 571 posti letto di intensiva e subintensiva, è in alto mare. Perché nonostante tremila assunzioni, le Usca sono a corto di personale; perché le vaccinazioni in farmacia sono partite a scoppio ritardato; perché i medici di famiglia non sono stati coinvolti abbastanza; perché troppi appalti sono stati affidati con procedure dirette, in barba alla trasparenza. Eppure la corte di Razza è sempre più numerosa: ne fa parte anche Roberto Sanfilippo, direttore del Cefpas, il centro di alta formazione per medici e operatori della sanità finanziato dalla Regione. Un centro di potere indiscusso che si troverà a gestire una montagna di soldi per la digitalizzazione degli ospedali. Sanfilippo, al contrario del direttore del Dasoe Francesco Bevere (che ha un piede fuori dalla porta), è stato inserito nella cerchia dei 15 fedelissimi che Razza ha coinvolto nella task force per la gestione delle risorse del Pnrr. Altro atto prevaricatorio che ha irritato i partiti della maggioranza.

Non tutti, perché un altro assessore ha fatto esattamente come Razza. Trattasi di Gaetano Armao, che mesi fa, finendo per scontentare buona parte dei colleghi della giunta, creò il “suo” gruppo di lavoro per la pianificazione e il monitoraggio degli investimenti che il Pnrr avrebbe garantito all’Isola. Ne fanno parte uomini e donne chiave dei suoi dipartimenti. I poteri ombrosi dell’assessore all’Economia, nel cui ufficio – di recente – è stato visto un ex faccendiere di Lorenzo Cesa, imperituro segretario dell’Udc, si ramificano fino a Roma. Dove Armao, sponsorizzato dal cerchio magico di Berlusconi (un’assicurazione che non lo mette a rischio nemmeno in ottica rimpasto), è stato designato quale componente del comitato direttivo dell’Agenzia per la coesione territoriale, a cui la recente legislazione ha assegnato un ruolo chiave nell’attuazione del Pnrr. Lavora, per intenderci, sotto il ministro Carfagna. E’ tra i primi ad avere accesso alle informazioni. Ciò ha finito per accrescerne l’ego in maniera smisurata.

Questo titolo si aggiunge ai tanti altri maturati grazie a una fitta rete di relazioni: ad esempio, quello di coordinatore della Commissione per gli affari europei e internazionali della Conferenza delle Regioni e Province autonome, e di membro del Comitato europeo delle Regioni (CdR) dove è anche presidente del gruppo interregionale per l’insularità. Scatti di carriera senza meriti evidenti. Sappiamo benissimo – ce lo dice espressamente la Corte dei Conti – come il Bilancio della Regione sia stato bistrattato negli ultimi tempi. E non basta l’annuncio dell’accordo di finanza pubblica, con la promessa di liberare 500 milioni da reinvestire nella prossima Finanziaria, per riscattare una stagione opaca di gestione dei soldi e del potere. Che non è ancora finita, sebbene Armao abbia promesso che il suo impegno politico terminerà con questa legislatura.

E perorare la causa di un Musumeci-bis, al netto del suo vice e del fidatissimo Razza, è rimasto l’ambasciatore Messina. Manlio di nome, catanese di provenienza. E’ fuori dal giro della Razza Corporation, anche se la Meloni gli ha fatto credere di essere il tessitore siculo, assieme a Ignazio La Russa, di questo accordo tra Fratelli d’Italia e Diventerà Bellissima. Così Messina si è arrogato il diritto di volare anch’egli a Roma, nella settimana del Quirinale, per annunciare il presidente della Regione alla corte di Giorgia. E’ riuscito nel suo intento e ora, impettito, attende la ricompensa: magari un seggio alla Camera. Peccato che in Sicilia non sia riuscito a risolvere una sola grana fra quelle che attanagliano gli operatori turistici. E, al contrario, abbia curato gli interessi di pochi (a partire dai Cairo di turno). Questo è ciò che esprime la Sicilia al governo e che Giorgia Meloni, forse, non sa ancora di doversi sobbarcare. Il 6% portato in dote da Diventerà Bellissima è solo un diversivo.

Costantino Muscarà :

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