Fuori i nomi. Lo chiede la politica siciliana a Renato Schifani, dopo la denuncia del “balletto inqualificabile” per la selezione dei direttori sanitari e amministrativi di Asp e ospedali. Qualcuno, come l’ex Iena Ismaele La Vardera, applaudendo il governatore per aver fatto il primo passo “verso la conversione”; altri, come il suo leader Cateno De Luca, tacciandolo di ipocrisia. La denuncia di Schifani – è credibile un presidente della Regione all’oscuro di qualsiasi lottizzazione? – al momento rimane contro ignoti. Anche perché il “manovratore”, segnalano gli addetti ai lavori, è più vicino al presidente di quanto si possa immaginare.
Il segretario del Pd, Anthony Barbagallo, ha accennato “ad un presunto incontro tenutosi a Ragalna, a casa della seconda carica dello stato, dove si sarebbe trovata la ‘quadra’”. Fuochino. Sebbene La Russa abbia potuto svolgere un ruolo per mettere d’accordo quelli del suo partito, bisogna guardare più dalle parti di Palermo. Tutti sanno che il “tessitore” della notte cupa della sanità si chiama Marcello Caruso. E’ il segretario particolare di Schifani – risponde alle sue telefonate e accoglie i suoi ospiti a palazzo d’Orleans – ma è anche commissario regionale del partito di maggioranza relativa alle ultime Europee: Forza Italia. E’ a lui, al maggiordomo di Palazzo d’Orleans, che si sono rivolti, in queste ultime settimane, i leader di partito e i deputati della maggioranza per risolvere l’enigma delle poltrone scottanti. E’ in lui che hanno sempre confidato per convocare un vertice di maggioranza e discutere di tutto, soprattutto di nomine. E per risolvere gli intrighi che da mesi tengono il governo col fiato sospeso.
A rendere pubblica una cosa già nota sono stati, tra gli altri, i parlamentari del Mpa di Raffaele Lombardo con un comunicato ufficiale: “Riteniamo che il confronto politico, franco e trasparente, sia necessario per impostare progetti, concordare obiettivi, verificare l’efficacia dell’azione amministrativa, nonché per rendere conto agli elettori. Lo abbiamo richiesto anche di recente (l’11 luglio) al Segretario di Forza Italia perché se ne facesse promotore, indicando almeno tre argomenti da trattare. Nell’ordine: organizzazione della Sanità, manovra finanziaria, enti ed aziende partecipati”.
A quell’invito non è seguita alcuna risposta. Data l’impossibilità di mettere d’accordo più teste e di ricompattare una coalizione delusa da un rimpasto smozzicato (oltre che da mille altri episodi accaduti in due anni), Schifani e Caruso sembrano aver rinunciato da tempo al metodo della collegialità. Così, quando la patata diventa bollente, il presidente evita qualsiasi coinvolgimento diretto, mentre Caruso si porta in avanscoperta: convoca, incontra, riporta e, su mandato del governatore, decide. Diventando il punto di riferimento per gli alleati, che con Schifani faticano a interloquire. Fungendo da coordinatore di processi che, per un modesto gregario come lui, forse si stanno rivelando un po’ troppo. E’ stato Caruso, come raccontato in una recente cronaca su ‘La Sicilia’, a mettere insieme i pezzi del puzzle delle nomine; la sua presenza, tuttavia, non ha evitato l’esplosione del caso, reso manifesto da Schifani medesimo. Che però non può fare i nomi dei responsabili, altrimenti si troverebbe a puntare l’indice contro il suo braccio destro: sarebbe una specie di mea culpa, e lui non ha mai chiesto scusa per niente. Preferisce, piuttosto, cadere dal pero.
Lo stesso Lombardo, in un rapido ma significativo colloquio con ‘La Sicilia’, ha espresso un concetto che non può passare sotto traccia: “Ho chiesto tante volte di introdurre una certa collegialità dei partiti di maggioranza. Invece vedo che si va in un’altra direzione. E non mi piace che a prendere le decisioni sia un club ristretto o una cricca”. Nessuno osa fare nomi, almeno pubblicamente, ma l’identikit è sempre più chiaro. Se ti ergi a controfigura del governatore, è impossibile sfuggire a logiche e ricostruzioni di questo tipo: il pizzino veicolato da Palazzo d’Orleans ai manager per la scelta dei loro collaboratori, non obbediva a logiche meritocratiche né all’autonomia professata dai referenti di piazza Ottavio Ziino; bensì a indicazioni di partito, mediate da una grande regia. Il cui compito primario, manco a dirlo, era quello di evitare che il giocattolo si rompesse.
Più volte ci si è andati vicini nel corso della legislatura, a partire dalla mancata approvazione della “salva-ineleggibili” e della riforma delle province – entrambe affossate col voto segreto – lo scorso inverno: segno che la maggioranza è tenuta insieme da uno sputo e che il federatore non funziona, non è in grado di governare la crisi. Le crisi. Né di arginare i franchi tiratori e i malpancisti (come quelli denunciati da Edy Tamajo ieri in un post su Facebook, rei di voler aizzare Re Renato contro di lui). Questa verità inconfessabile si fa largo tra i corridoi del potere e sarebbe il motivo per cui il presidente della Regione avrebbe evitato di additare chicchessia dopo la notte cupa della sanità.
Infatti ha aspettato che tutto finisse e che le caselle si riempissero di yesman, per sparare il nero come accade alle seppie, abilissime nel confondere le acque e sfuggire ai predatori. Finendo per infettare tutti, ma senza assumersi la responsabilità di una svolta decisa, netta, autorevole. Il fatto che Caruso sia stato al centro delle trattative delle ultime settimane, lo pone in profondo imbarazzo. Anche i bambini capirebbero che il capro espiatorio è dentro casa e che, qualsiasi premessa (della serie “Non mi faccio condizionare da nessuno”), di conseguenza suona ridicola. Ma si andrà avanti con la stessa solfa finché qualcuno, dotato di coraggio o di buonsenso, non decida di far saltare il banco.