C’era una volta il cinema di cartapesta che offriva alle platee eroi indimenticabili. C’era Maciste, che con i suoi muscoli possenti e implacabili riusciva a sollevare un tempio di pietra, colonne comprese. C’era Ursus, capace di sgozzare in tre minuti, nell’arena del Colosseo, tre leoni e una tigre; e anche il gladiatore nero e nerboruto che tentava con ogni mezzo di ucciderlo. E c’era Ercole, un mito in carne e ossa, che discendeva direttamente da Giove ed era in grado di sottomettere con un ruggito e una clava un intero esercito di nemici. Quel cinema, ahimè, è morto, ma gli eroi sopravvivono. Il miracolo si deve a Forza Italia.
Il partito di Silvio Berlusconi – diciamolo – subisce il fascino dell’uomo forte e invincibile. Periodicamente crea un modello e lo offre all’adorazione del popolo azzurro. Ricordate le elezioni amministrative del 2001, quelle in cui il centrodestra sbaragliò quasi tutti gli avversari e Palermo incoronò Diego Cammarata. La vittoria baciò decine, anzi centinaia di comuni. Fu il rinnovamento. Ma i sindaci che man mano entravano nei municipi avevano bisogno – un disperato bisogno – di un esperto che li guidasse nel nuovo e difficile percorso, che indicasse i pericoli e le insidie, che li prendesse per mano e li assistesse nella nuova e gloriosa avventura. Diego Cammarata individuò l’avvocato buono per tutte le stagioni e per tutte le consulenze: Gaetano Armao. Un fedelissimo di Forza Italia, ammirato da Gianfranco Miccichè, plenipotenziario del Cavaliere in Sicilia, e bene ammanigliato con logge e confratelli di ogni genere e qualità. Nel giro di un anno, il nuovo Maciste della giurisprudenza fu incoronato – dietro congrua parcella, va da sé – da una sessantina di comuni. Ma il centro del suo improvviso paradiso rimase comunque Palermo. Cammarata lo piazzò al Teatro Massimo, all’Amat, persino all’Iacp. Non c’era ente o partecipata del Comune che non si affidasse alla maestria di Armao. Come se non ci fossero a Palermo altri avvocati. Le consulenze gli venivano assegnate con un ritmo così frenetico che – è successo all’istituto delle case popolari – gli uffici hanno dimenticato di scrivere e sottoscrivere la delibera d’incarico.
Passata la stagione di Maciste, entriamo nell’era di Ursus. L’anteprima viene proiettata quando, caduto Cammarata, bisogna pensare al successore. Ed è nella magnificenza del cinemascope e nello splendore dei trentacinque millimetri che Forza Italia lancia il nome di Gianni Puglisi, allievo di Armando Plebe alla facoltà di Filosofia e professore all’Università. Anche lui incrocia il favore delle logge e dei confratelli, su di lui spira il vento del Grande Oriente d’Italia. Non accetta la candidatura a sindaco ma nel giro di pochi mesi scala tutte le rampe del sottogoverno. Come se Forza Italia non avesse altri candidati se non lui. Come se al mondo non esistessero altri intellettuali se non lui. Svetta nel consiglio di amministrazione del Teatro Biondo; il capo del governo Berlusconi e il ministro degli Esteri, Frattini, gli affidano la presidenza della commissione nazionale dell’Unesco; entra nel consiglio di amministrazione della Enciclopedia Treccani; Raffaele Lombardo lo assume come consulente del suo governo in Sicilia. Ma il salto – come Ursus, oltre le teste di tutti i gladiatori del potere e del sottopotere – avviene nel 2005 con la nomina a presidente della Fondazione Banco di Sicilia che detiene le azioni di Unicredit. Puglisi è ormai nel gotha della finanza. Il suo è un film senza i titoli di coda: te lo ritrovi ancora al Biondo, ancora alla Fondazione, ancora rettore prima allo Iulm di Milano e ora alla Kore di Enna. Un puntiglioso cronista ha elencato tutti suoi incarichi: ne ha collezionati ventisette. Non avrai altro Puglisi al di fuori di me.
E arriviamo a Ercole, ultima serie cinematografica girata in Sicilia dal partito di Forza Italia. Il nuovo uomo della provvidenza è Andrea Peria che, manco a dirlo, è un uomo di cinema – gestisce due sale a Palermo: l’Ariston e l’Arlecchino – e anche uomo di Teatro: ha prodotto la Medea di Luciano Violante, con la regia di Giuseppe Di Pasquale e anche il Barbablù festival di Morgantina, finanziato da Alberto Samonà, assessore regionale ai Beni Culturali. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. Toni Scilla, assessore all’Agricoltura, gli ha affidato la comunicazione alla Fiera del Vino di Verona; il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha messo nelle sue mani sante e miracolose il Festino, Palermo e Santa Rosalia; Renato Schifani, candidato alla presidenza della Regione, se lo porta in giro come spin doctor; e nel frattempo Gianfranco Miccichè, che non poteva sapere dell’incarico dato da Schifani, lo incorona come presidente del Corecom, il comitato regionale che dovrebbe vigilare sulla par condicio durante la campagna elettorale. Siamo all’ingorgo: troppa grazia, Sant’Antonio. Lui annusa le polemiche e si fa guardingo. Accetta ma, come si usa tra i presidenti del Consiglio incaricati di formare il nuovo governo, scioglierà la riserva dopo le elezioni del 26 settembre. Dissolvenza. Si spengono le luci. Si riprende dopo la pubblicità.
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Nella foto: Renato Schifani