Il campo largo ci sta stretto

In auto insieme: da sinistra il sottosegretario del M5s Giancarlo Cancelleri e il segretario Pd Anthony Barbagallo

“Io non credo a un’alleanza organica”. Dino Giarrusso, ex Iena, eurodeputato del Movimento 5 Stelle e candidato in pectore al ruolo di referente regionale dei grillini, è onesto. E nel corso della presentazione del candidato sindaco di Adrano, uno dei dieci Comuni al voto con più di 15 mila abitanti, ammette che i rapporti col Pd vanno e vengono, sono spesso occasionali, quasi sempre gestiti su base territoriale. Dai referenti locali, e Giarrusso – nell’area del Catanese – lo è. Per questo c’era lui, e non altri, a salutare la presentazione di Vincenzo Calambrogio, che, nell’immaginario collettivo, diventa un’altra Maria Terranova, ossia la sindaca che un anno fa, a Termini Imerese, scalzò il centrodestra dal trono. Il segretario del Partito Democratico, Anthony Barbagallo, parla ancora di “modello Termini” (hanno vinto lì, a Barcellona è arrivata una batosta), ma in un anno non si sono fatti troppi passi avanti.

Il “campo largo” della sinistra è tutto da costruire. E i suoi partecipanti, da decifrare. A causa, sicuramente, delle incertezze dei 5 Stelle, fiaccati dal braccio di ferro fra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, che ha spaccato il Movimento in più anime e fatto risuonare l’allarme anche in Sicilia. Qualcuno flirta addirittura col centrodestra più moderato (è noto il feeling tra Cancelleri e Micciché) proponendo una riedizione del modello Draghi (senza la Lega), altri si rifiutano anche solo di pensarlo. E cercano rifugio nel “territorio”. Un palliativo. Anche nel M5s hanno sempre deciso i vertici, solo che i vertici in questa fase non esistono. C’è Cancelleri, il leader in pectore; c’è il gruppo all’Ars, capeggiato da Giovanni Di Caro; e poi ci sono i referenti nelle province e nei comuni, cui ci si affida per collezionare gli accordi elettorali. In queste condizioni è faticoso allestire una coalizione vera. E persino Barbagallo tira per la giacchetta Giuseppe Conte: “Il coordinatore regionale? Spero che lo faccia presto – ha detto a ‘La Sicilia’ -. Per le Regionali c’è tempo, ma già su Palermo dopo l’estate arriverà il momento di scelte delicate sul dopo Orlando”.

In realtà la coalizione dovrebbe ritrovarsi già la settimana prossima per buttare le basi. Per sostituire il professore non basterà una semplice addizione di sigle. Il Movimento 5 Stelle, da cinque anni, si oppone duramente a Orlando. E di recente Giampiero Trizzino, uno dei candidati in pectore, ha fatto emergere un certo fastidio per l’accostamento al sindaco uscente, entrato a pieno regime nella galassia dem. Significherebbe accostare il simbolo del Movimento ad alcune vicende che hanno certificato il fallimento della giunta: lo scandalo dei cimiteri, la rovina dei depuratori, la monnezza sui marciapiedi. Per l’anima più ecologica, ambientalista e – volendo – integralista dei Cinque Stelle occorre un cambio di passo, che non potrà determinarsi se Orlando rimarrà a traino: “In questo caso – si lamenta Trizzino – il candidato se lo cercheranno loro. Io con questa gente non voglio avere a che fare”. Non potendo cucire le bocche o cancellare il passato, bisognerà rammendare in qualche modo il tessuto. Serviranno gli straordinari.

Ma i problemi sorgono anche per le Amministrative del 10-11 ottobre. L’intesa più soddisfacente arriva a Caltagirone, il feudo di Musumeci e di Diventerà Bellissima, simbolo della desertificazione delle aree interne. Dove la sinistra si ritrova attorno a Fabio Roccuzzo (sostenuto anche dall’ex ministro Francesco Boccia), mentre la destra – che non potrà più schierare Gino Ioppolo – è spaccata su tre nomi. E poi viene Adrano, comune di 38 mila abitanti, dove l’esperienza di Pd e Movimento 5 Stelle viene cementata dall’adesione di un paio di liste civiche. Il resto è un labirinto. “Lo scorso anno – ha detto Barbagallo da Adrano, in riferimento all’accordo coi 5 Stelle – abbiamo fatto l’alleanza in due Comuni, Termini Imerese e Barcellona Pozzo di Gotto. Quest’anno abbiamo 10 Comuni con oltre 15 mila abitanti in cui si va al voto e abbiamo un accordo a Caltagirone, Adrano, San Cataldo, Lentini e c’è una grande possibilità di intesa a Favara. Ancora siamo in tempo per trovarla su Rosolini. Non soltanto teniamo il centrosinistra unito, ma lo allarghiamo al Movimento 5 stelle. Il centrodestra non può dire la stessa cosa, anzi”.

Ma è vero pure che in certi Comuni il “campo largo” si restringe. L’esempio migliore è Vittoria, la città più popolosa tra quelle al voto. Dove con la campagna elettorale cristallizzata da circa un anno, il Pd fa quadrato attorno all’immarcescibile Ciccio Aiello, già sindaco ed ex assessore regionale con Lombardo. I Cinque Stelle, invece, sostengono Pietro Gurrieri. A Canicattì, l’uscente Ettore Di Ventura (Pd) ci riprova con la sinistra, ma senza il Movimento 5 Stelle che si schiera a fianco del suo antagonista Fabio Falcone (in attesa di ufficialità); ad Alcamo, l’uscente Domenico Surdi, grillino, corre senza il Pd (che vira su Giusy Bosco) e la sinistra; a Misterbianco l’ex sindaco Nino Di Guardo corre col sostegno del Partito Democratico contro l’ambientalista Massimo La Piana (appoggiato da M5s e sinistra). Nessuna pax a Porto Empedocle, dove l’uscente Ida Carmina (M5s) si ricandida ma senza l’appoggio dem. In questi giorni si è palesato in città anche l’assessore alla Salute Ruggero Razza, che aveva promesso di non fare più politica, per lanciare la volata a Calogero Lattuca.

Tornando al centrosinistra, però, è chiaro che una linea comune ancora manca. I grillini si giustificano dicendo che è la prima volta in coalizione. Il Pd, che tanta di mediare, dà la sensazione di procedere con le ganasce. Una quadra bisognerà trovarla al più presto, dato che il 2022 rappresenta l’anno zero. O quello della ripartenza. L’obiettivo principale è riprendersi la Regione, cancellando la stagione di Crocetta che pesa ancora sotto il profilo della credibilità. Musumeci ha dato una bella mano, è vero, ma la zavorra della scorsa legislatura, di quattro governi e una miriade di assessori, dei comitati d’affari che ruotavano attorno all’esecutivo, restano una macchia da sgrassare via. Il Pd ci sta provando con la costruzione dal basso, tornando fra la sua gente. Ma prima o poi servirà chiarire un paio di questioni fondamentali: la prima riguarda il perimetro della coalizione.

Fino a qualche giorno fa, dalla Festa dell’Unità celebrata a Marina di Ragusa, l’ex ministro Boccia ha rivolto un messaggio a Micciché e Forza Italia: “Non c’entrano nulla con la destra sovranista, decidano cosa fare”. Mentre Barbagallo, che ha sentito spesso il presidente dell’Assemblea e lascia un varco ai “moderati”, ha strizzato l’occhio pure a Cateno De Luca, sindaco di Messina e arcinemico dell’attuale governatore. Questi due canali vanno scrutati a fondo, anche se rischiano di creare perplessità e frizioni all’interno del partito. Mentre l’interesse nei confronti di Italia Viva va scemando. Lo ha ammesso lo stesso segretario del Pd in un’intervista a Meridionews: “Senza Sammartino – ha dichiarato Barbagallo – ho l’impressione che questa forza politica, in Sicilia, si sia politicamente dissolta”.

E poi c’è l’altra questione: il candidato. Da qui passa la convergenza con Fava, che si era proposto in prima persona. Non tanto perché pretenda di essere lui in lizza per Palazzo d’Orleans – ogni pretesa è politicamente legittima – ma perché si individui un nome in fretta. Partire dalla ‘persona’, secondo il leader dei Cento Passi, sarebbe un modo per accumulare vantaggio sulla coalizione di centrodestra che, nel frattempo, studia una soluzione per liberarsi di Musumeci. Il metodo della scelta, però, resta un enigma: basterà un incontro fra i capi delegazione, o serviranno le primarie? Ciò che non servirà è fare melina.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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