Le società partecipate della Regione, “carrozzoni” intramontabili e costosissimi, sono al momento quattordici. Aggiungendo i vari enti in via di dismissione si arriva facile facile a una cinquantina. Secondo l’ultima stretta imposta da Roma, che ha promesso di rateizzare 1,7 miliardi di deficit in dieci anni (anziché in tre) in cambio di un’attenta opera di riduzione degli sprechi, qualcuno dovrà chiudere. Nell’accordo con lo Stato, che persino un parlamentare di centrodestra, Vincenzo Figuccia, ha definito “un cappio al collo per i siciliani” (talmente sono difficili le condizioni da onorare), palazzo d’Orleans dovrà risparmiare 40 milioni nella prima annualità. E di questo gruzzolo, il 20% deriva da due voci in particolare: a) la completa attuazione delle misure di razionalizzazione previste nel piano delle partecipazioni societarie; b) il completamento e la definitiva chiusura delle procedure di liquidazione coatta delle società partecipate e degli enti in via di dismissione. Due condizioni che, in un processo di razionalizzazione della spesa di qualsiasi ente pubblico sarebbero la naturale conseguenza di un iter avviato da anni. Ma che la Regione siciliana, da sempre, ignora. I carrozzoni garantiscono un accesso diretto alle poltrone del sottogoverno, con incarichi e prebende varie che altrimenti sarebbe difficile garantire.

Ma non è più tempo di alimentare l’opulenza della politica. Specie in Sicilia e specie adesso, che il governo dovrà ridurre i trasferimenti all’Ars (col benestare del parlamento, s’intende), sforbiciare i vitalizi degli ex parlamentari e tagliare tutte le spese inutili, e in parte anche quelle utili, per garantire il rispetto degli accordi. In molti, fra cui l’assessore Armao, considerano la conclusione di questo negoziato con Roma un autentico successo del governo regionale. E un modo, come ha ripetuto Musumeci fino allo sfinimento, per lasciarsi alle spalle decenni di “allegra gestione” e “avere finalmente ‘le carte in regola’, come diceva Piersanti Mattarella”. Sull’altare della memoria, insomma, si consuma un passaggio cruciale per le sorti dell’Isola, anche perché – Armao dixit – “ripianare il disavanzo in tre anni avrebbe portato al default della Regione”. Meglio farlo in dieci, garantendo un “approccio virtuoso alla spesa” che va riconvertita “verso investimenti e spese più attinenti ai bisogni dei cittadini, quindi eliminando sprechi e disfunzioni”. Amen.

Capitolo partecipate. Quelle dirette sono quattordici. Ma di una il governo sta per disfarsene. Parliamo di Riscossione Sicilia, l’azienda che si occupa della riscossione dei tributi, che nel 2020 ha vissuto un annus horribilis a causa della contrazione delle entrate (per la pandemia) e la mancata ricapitalizzazione. Una difficoltà che ha portato alle dimissioni il presidente Vito Branca. La Regione ha già seminato alcuni regalini, come i 25 milioni in Finanziaria, a cui ne sono stati aggiunti altri 5 (grazie alla moratoria dei mutui concessa da Roma) allo scopo di garantire uno stipendio agli oltre 600 dipendenti che vi lavorano. Con l’ultima Legge di Bilancio dello Stato, però, il bottino aumenta: i 300 milioni stanziati da Roma, infatti, sono destinati al passaggio di Riscossione sotto l’ala protettiva dell’Agenzia delle Entrate nazionale, da cui verrà “inglobata”. “Adesso però la Regione predisponga la norma da approvare in Assemblea Regionale Siciliana e operi nel totale interesse dei lavoratori”, ha detto Luigi Sunseri, deputato regionale del M5s. Grazie all’impegno del governo Musumeci, Riscossione era già scampata a una liquidazione e resistito fino a oggi.

I “carrozzoni” diventeranno tredici, anche se l’assessore all’Economia, nel corso dell’ultima conferenza stampa di sabato, ha parlato di “altri percorsi virtuosi già avviati”. Uno di essi porterà alla fusione di Sas e Resais, due società che si occupano di personale e garantiscono la sopravvivenza a numerosi precari illusi, in passato, dall’abilità della Regione nel creare lavoro e occupazione. Poi verranno accorpate altre tre società: la Società degli interporti siciliani, che si sarebbe dovuta occupare della nascita e la gestione degli interporti di Catania e Termini Imerese; il Parco Scientifico e Tecnologico, che segue la ricerca e lo sviluppo sperimentale nel campo delle scienze naturali e dell’ingegneria; ma soprattutto Sicilia Digitale, uno degli enti più costosi e inutili, a cui era stato affidato il compito di informatizzare la Regione (ma che oggi non riceve più commesse ed è una enorme, gigantesca scatola vuota). Rosario Crocetta c’aveva piazzato al vertice l’ex magistrato Antonio Ingroia, che da Sicilia e-servizi – è così che si chiamava prima la società – ha ottenuto solo una marea di delusioni e una condanna in primo grado a 1 anno e 10 dieci mesi per una storia di rimborsi non dovuti (è caduta, invece, l’accusa più grave: quella di essersi appropriato delle indennità di risultato). La fusione di queste tre partecipate, come aveva illustrato in passato l’assessore Armao, è “finalizzata alla creazione di una società in house in grado di progettare e gestire l’infrastrutturazione fisica e digitale della Regione siciliana, unitamente alla gestione aggregata degli acquisti di beni e servizi”. Vedremo che significa.

Le due aggregazioni, con tanti di saluti a Riscossione, secondo il vice-Musumeci consentiranno di raggiungere l’obiettivo di riduzione della spesa già al primo anno. Ma restano in campo una serie di partecipazioni che la Sicilia dovrà razionalizzare al più presto: l’Ast, la società dei trasporti, che a sua volta controlla per il 51% Jonica Trasporti (l’altro 49% era riconducibile ad Antonello Montante) e per il 100% Ast Aeroservizi. Entrambe delle partecipate “indirette”. Poi c’è l’Irfis, la banca della Regione che da qualche mese si è trasformata in una società in house. I Mercati Agro Alimentari (Maas), per la “costruzione e gestione di aree mercatali all’ingrosso” e il cui Consiglio d’Amministrazione, presieduto da Emanuele Zappia, porta a casa 100 mila euro l’anno (nell’accordo Stato-Regione è prevista “la riduzione dei compensi degli organi di amministrazione e controllo e della dirigenza, nonché delle spese per consulenze ed incarichi professionali degli enti e società”). Ma nella black list compaiono pure Seus (il 118 siciliano, che garantisce i servizi di emergenza e urgenza), Siciliacque (partecipata, però, solo al 25%), e Airgest (la società di gestione dell’aeroporto di Trapani, che necessita di continue ricapitalizzazioni).

Ma non è tutto. Nella galassia delle partecipate e degli enti pubblici vigilati, esistono delle società in liquidazione – i cosiddetti enti in via di dismissione – dove i costi di mantenimento dei commissari liquidatori, per non parlare dei quattrini che “finanziano” avvocati e contenziosi, si perdono nella notte dei tempi. Di esse si occupa l’ufficio legale per la chiusura delle liquidazioni, costituito sotto l’assessorato all’Economia. Per citare i casi più clamorosi: c’è l’Eas, ente acquedotti siciliani, in liquidazione dal 2004, che grava sul bilancio regionale per quasi 34 milioni di euro; poi viene l’Espi, l’ente siciliano per la promozione industriale, in liquidazione dal ’99, che nell’ultimo quinquennio si è auto-alimentato grazie a una singola causa di risarcimento civile; tengono alto il prestigio pure l’Ems, l’ente minerario siciliano, e Spi, Sicilia patrimonio immobiliare.

Nel collegio dei revisori dei conti dell’Ems, si “perdono” ogni anno oltre 18 mila euro di compensi. Mentre il liquidatore di Sicilia Patrimonio Immobiliare è il dottor Fabrizio Escheri, che ha un trattamento economico di 60 mila euro l’anno (ma guadagna bene anche il presidente del Comitato di Sorveglianza, 15 mila euro, mentre Vito Branca, in qualità di revisore legale, ne porta a casa 4 mila). Spi è la società collegata all’avventuriero Ezio Bigotti, protagonista dello scandalo da 110 milioni per la realizzazione di un censimento fantasma del patrimonio immobiliare della Regione. Finito a lungo sotto chiave e oggi dichiarato “inservibile” dai pochi – tra cui l’assessore Armao, ex consulente del Bigotti – che l’hanno visionato. Tra le partecipate in liquidazione, ce ne sono alcune in cui la Regione è socio unico: come le Terme di Sciacca e di Acireale; o Inforac, una società di ricerca e sviluppo sperimentale nel campo delle scienze naturali e dell’ingegneria, con due liquidatori a libro paga (per 40 mila euro annui). Di tagli da fare ce ne sarebbero eccome. Ma adesso, a differenza del passato, non si può più procrastinare. Bisogna agire subito, o quel miliardo e settecentomila euro di deficit continuerà ad essere un fardello per tutti i siciliani. Il fardello del fallimento.