Dopo sette mesi di chiusura, il Teatro Biondo di Palermo è il primo a ritrovare il suo pubblico. Lo farà con un cartellone estivo itinerante, fra il palazzo Belmonte Riso e l’atrio della biblioteca comunale di Casa Professa. Ma il primo appuntamento, da venerdì 4 giugno (e fino al 13), è al palazzo Steri Chiaramonte, dove va in scena la prima nazionale di “A noi due”, ispirato al romanzo Le Menzogne della Notte (1988) di Gesualdo Bufalino. Si tratta del primo lavoro di prosa in Italia interamente basato su tecnologia binaurale: gli spettatori saranno connessi al palcoscenico mediante cuffie bluetooth, che indosseranno nel corso della rappresentazione. In questo modo potranno sentire le voci e lasciarsi trasportare nel mondo sonoro costruito da Alessandro Librio. La regia è affidata a Giulia Randazzo, membro di Fabbrica Yap (la fucina di giovani talenti del Teatro dell’Opera di Roma). In scena noti attori come Vincenzo Pirrotta e Paolo Briguglia, ma anche Mauro Lamantia, Giuseppe Lino, Alessandro Romano. Le scene e i costumi dello spettacolo sono di Giulia Bellé.
L’ex sede palermitana dell’inquisizione siciliana diviene metafora di una biblioteca della memoria, dove lo spettatore è invitato a entrare in contatto con la parte più intima del pensiero del professore di Comiso. Di cella in cella – tra labirintici riferimenti biografici e bibliografici – affiorano ritagli frammentati e sospesi tra realtà e finzione, che si condensano e, infine, prendono vita in una riflessione sulla morte, o meglio, sugli istanti che la precedono. Accade, così, che le verità e le menzogne della vita dell’autore si intreccino – per svago o per passione del regista – a quelle di un gruppo di condannati, che trascorre l’ultima notte in un’isola penitenziaria.
L’azione si svolge da un tramonto all’alba successiva, quando quattro dei protagonisti (Corrado Ingafù, detto il Barone; Saglimbeni, detto il Poeta; Agesilao Degli Incerti, detto il Soldato; Narciso, detto lo Studente) verranno giustiziati con l’accusa di sedizione e attentato alla monarchia. Il governatore dell’isola concede ai condannati di trascorrere una notte confortevole, durante la quale, se uno di loro svelerà il nome del capofila dei rivoluzionari nell’anonimato di una confessione scritta, tutti saranno salvi. Un tempo sospeso, da dividere con le verità di ogni prigioniero, fra equivoche confessioni e angosce d’identità.
Il senso di reclusione e di controllo vissuto dai personaggi plasma lo spazio fisico: nel cortile esterno dello Steri viene ricreata la sensazione di uno spazio interno grazie a un gioco di posizioni tra palcoscenico e pubblico. L’impianto scenico si ispira al carcere panottico (ideato nel 1791 da Jeremy Bentham e presente nell’isola bufaliniana), ma ne inverte le prospettive. “Nel panottico – spiega Giulia Randazzo – è il vigilante a controllare tutti i prigionieri da un punto di osservazione centrale, mentre nello spettacolo sarà il pubblico a trovarsi a spiare il palcoscenico da ogni direzione. Un sistema binaurale di cattura e trasmissione dei suoni permetterà di sorvegliare da vicino i protagonisti: seppur in uno spazio aperto e nella distanza necessaria al rispetto delle norme Covid, si avrà l’illusione di essere molto vicini agli attori. Questo perché “A noi due” rappresenta tanto la sfida di una generazione animata dal desiderio di dialogare con la grandezza del genio comisano; quanto l’affettuosa intimidazione che, come compagnia, rivolgiamo allo spettatore, chiamato a mettersi in gioco in un rapporto uno a uno con il palcoscenico, alla ricerca di nuove forme di intimità nella distanza”.
“Mi sono divertita a seminare indizi, come faceva il professore nei suoi romanzi – riflette la scenografa, Giulia Bellè -. Ho scelto di giocare con piccoli oggetti e ricombinarli tra loro, immaginando che la scena e l’installazione fossero un testo bufalianiano e gli elementi che le compongono delle parole. La scelta di ogni elemento non è pensata per la distanza (come è consuetudine in teatro), ma è intrisa di minuscoli dettagli che raccontano qualcosa di lui”. La novità più grande, come racconta il sound artist Alessandro Librio, è però l’esperienza sonora: “Abbiamo immaginato lo Steri Chiaramonte come il corrispettivo di un grande labirinto mentale in cui il tempo presente si confonde e si sovrappone a quello del ricordo. Gli ambienti sonori che abbiamo realizzato sono paesaggi della memoria in cui si combinano elementi legati tanto al passato dell’autore, quanto a quello dei personaggi del suo romanzo. Dal punto di vista del suono ho cercato di rendere percepibile a livello uditivo l’ambiguità della verità e la sua relatività – centrale nel testo di Bufalino – lavorando sull’integrazione tra suoni distorti e suoni realistici, registrati in presa diretta”.
(foto Rosellina Garbo)