L’arrivo al governo di Giorgia Meloni, un anno e un bimestre fa, è stato il culmine di un percorso spettacolare, cominciato al servizio di Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, proseguito con la fondazione di un partito cui non si sarebbe data una lira, caratterizzato da un decennio d’opposizione durissima a qualsiasi presidente del Consiglio, compreso Mario Draghi, spesso feroce, non di rado nutrita da complottismi planetari e mitologie rigeneratrici. Più che un partito, Fratelli d’Italia è stata una tribù, e la sua fortuna è una miscela di identità, costanza, congiunture politiche e pure astrali, e una ottima capacità di muoversi nel mercato liberista del consenso. Il carattere della premier – fumantino, bellicoso, recriminatorio ai limiti dell’incomprensibile, poiché lei e molti dei suoi avevano già ricoperto rilevanti cariche istituzionali, e tutti vengono da una storia sdoganata trent’anni fa, quindi animato da una sindrome dell’accerchiamento ridicola in chi abbia vinto le elezioni, e da un’inesauribile, ma scomposta perché ingiustificata ansia di rivincita – ha fatto il resto. Lo ha scritto molto bene pochi giorni fa Ernesto Galli della Loggia: la leadership di Meloni poggia sull’idea della nazione come presupposto di un cammino comune e, per paradosso, sulla prassi di uno scontro quotidiano preludio di una potenziale guerra civile.

Molti governi del passato sono stati trascinati in campo aperto a incrociare le sciabole, ma di rado, e mai con questa sfrontatezza, avevano rinunciato preventivamente e programmaticamente a favorire una conciliazione dopo le asprezze della campagna elettorale. Agli oppositori, interni ed esterni, non pare vero. E per obiettivi collimanti: la Lega, Forza Italia, Pd, Cinque stelle e altri più piccoli trovano così il modo più facile di dare un senso alla loro esistenza. Mi indigno dunque sono. Fin qui sono riusciti soprattutto a darlo a Fratelli d’Italia, accreditato dai sondaggi di una tenuta imprevedibile. Non regala un voto a nessuno. Quando una forza identitaria ha un tale successo, stimola gli avversari a contrapporre un’identità altrettanto forte e, se siamo rimasti alla fase del preludio della potenziale guerra civile, è perché le identità contrapposte hanno la portata di un petardo di capodanno. Continua su Huffington Post