Se fosse soltanto una questione d’intenti, la cosa più facile sarebbe stare insieme. Riempire le liste di contenuti, ancor prima che di nomi, e portare un bel gruzzolo di parlamentari a Bruxelles. In nome della moda più diffusa del momento: l’antipopulismo. Ma la politica è anche questione di numeri e di campanili. Di sottilissimi equilibri che nessuno, in chiave siciliana, si sogna di mettere a rischio. Così, del patto di Cefalù sbandierato ai quattro venti un mesetto fa, adesso restano le parole di Gianfranco Micciché, a Buttanissima fra l’altro: “Una lista unica del centrodestra alle Europee? Ci stiamo lavorando, ma al momento la escluderei”. I voli pindarici di Saverio Romano subiscono una battuta d’arresto. Così come il tentativo, difficile ma non impossibile, di far confluire nel polo moderato anche uno che di moderato e composto (a parte il carattere) ha ben poco: Nello Musumeci.
Ma veniamo ai fatti, e ai ricorsi storici. “Noi del Cantiere Popolare abbiamo avanzato una proposta politica, cioè presentarci con una lista unica alle Europee. La nostra iniziativa è stata raccolta sia da Musumeci che da Miccichè. Vogliamo coltivare questo disegno per realizzare una prospettiva popolare, con una lista che si contrapponga a quella dei populisti”. Era il 25 novembre scorso. Saverio Romano si allontanava dall’hotel Costa Verde di Cefalù, dove aveva riunito il suo Cantiere Popolare, carico di prospettive (“Stanotte dormirò più sereno. Ho piantato un seme che va annaffiato con cura” disse). Una lista unitaria alle Europee come rampa di lancio per un programma ambizioso che rimetta insieme i pezzi del centrodestra siciliano. Lui potrebbe. Il movimento è il suo. Ma è chiaro che quando tenti di coinvolgere in questa avventura partiti di tradizione nazionale, come Forza Italia e Udc, qualche paletto devi metterlo in conto.
Così, l’entusiasmo iniziale pian piano scema. In Sicilia il coordinatore regionale del partito di Berlusconi, Gianfranco Miccichè, è stretto nella morsa di un progetto ambizioso: costituire un campo nuovo per contrastare l’avanzata grillo-leghista. Un po’ quello che diceva (e dice) Romano. Ma, tornando ai forzisti, il cavaliere di Arcore non ha ancora emarginato la Lega (semmai, nelle urne, è stato il contrario): perché, pur rimanendo arrabbiato con Salvini per la scelta di un entrare in un governo gialloverde, vede nel Carroccio un potenziale alleato del presente e del futuro. Qui si staglia la contraddizione: come fa Forza Italia, a Palermo, a fare qualcosa di diverso che a Roma? Miccichè, che ha anche aperto un confronto con l’ala moderata del Pd (rappresentata da Faraone, ma anche qui i propositi sono a lungo raggio), la Lega non vuole sentirla neanche nominare. E il fatto che alle Europee non servano coalizioni di certo lo facilita. La strategia iniziale, quella di Cefalù, si scontra però con l’impossibilità di stravolgere il simbolo (Berlusconi si è limitato a dire che lo ritoccherà e basta). Pertanto l’idea di una grossa federazione, almeno per ora, sembra precludere la partecipazione di Forza Italia, nonostante Miccichè in Sicilia sia stato il più genuino dei no-populist. Nel caso in cui gli azzurri dovessero andare da soli, anche gli alleati (potenziali) dovrebbero rivedere i piani.
La ragazza di paese più corteggiata del momento è Diventerà Bellissima, il movimento di Nello Musumeci che alle ultime Regionali ha sfondato. E che, nonostante l’avvenenza, non ha voglia di concedersi. Prima attende il responso della direzione, che dovrebbe tenersi a febbraio. Anche se ha un paio di soluzioni (o persino tre) in canna. La prima, che è andata a spegnersi lentamente dopo Cefalù, è rappresentata dalla Lega, un partito che in Sicilia ha intenzioni bellicose e vuole spazzare via chiunque, tranne Musumeci, per il quale Igor Gelarda, responsabile enti locali del partito di Salvini, nutre “profondo rispetto”. E lo rimarca a ogni occasione. Poi, sullo sfondo, c’è la presenza poco ingombrante di Giorgia Meloni e dei suoi Fratelli d’Italia. Poco ingombrante perché i numeri e gli amministratori sono quelli che sono, ma le idee collimano e una somma è meglio che una sottrazione. E infine, la terza ipotesi che non esclude la seconda, è quella di un partito “sicilianista”, capace di “raccogliere fra il 35 e il 40%”, che Musumeci ha rispolverato dai cassetti una decina di giorni fa, partecipando a un incontro degli autonomisti di Lombardo, l’ex Mpa. Parole non di circostanza, pronunciate proprio di fronte all’ex presidente della Regione, mischiato alla platea dell’Università Kore di Enna (a suoi chiede di non venire esposto). Questo papabile accostamento non dispiacerebbe nemmeno ai popolari di Romano (che all’Ars sono riuniti con i lombardiani sotto le sigle dei Popolari e Autonomisti) e all’Udc di Cesa, che dall’istituto Orione, giusto qualche sera fa, ha rilanciato la centralità dell’Udc in questa sommossa gentile e anti-populista. E qui potrebbe rientrare la Meloni, che altrimenti rischia l’isolazionismo. Da sovranismo a regionismo non c’è alcuna convenienza. Sarebbero tanti galli nel pollaio, ad eccezione di Forza Italia. Ma siamo ancora alla fantapolitica.
In questo scenario frastagliato, c’è la Lega che gioca una partita a parte. Da sola. Emarginata. Schifiata. Ma per niente doma. Sul carro del Carroccio provano a salire tanti, ma in tanti vengono respinti. Per il partito di Salvini, quello delle Europee, sarà un bel banco di prova anche in Sicilia, dove alle Amministrative più recenti i risultati non furono esaltanti. Anche qui la geografia è diversa che a Roma. E diversissima rispetto al Veneto, alla Lombardia o alla Liguria. Candiani e Miccichè non si parlano, ma si insultano. Non si cercano, ma s’ignorano. Ecco, in questo lungo viaggio elettorale, a metà fra la proposta e la strategia, una cosa è lapalissiana: Lega e Forza Italia non si troveranno mai. Non in Sicilia.