Da qui al 31 dicembre saranno due mesi palpitanti: non c’è soltanto una Legge di Stabilità da approvare entro i termini, per evitare l’ennesimo esercizio provvisorio; ma ci sono anche dei fondi europei da spendere e rendicontare, quelli che fanno capo alla programmazione 2014-20, e che altrimenti andrebbero persi. Non sempre, però, i tempi della politica coincidono con quelli della realtà. Tanto meno con le aspettative dei siciliani, la cui coscienza critica è costretta a fare a pugni, e talvolta arrendersi, di fronte al ritmo elefantiaco della Regione e di tutte le sue diramazioni. Compresa la burocrazia.
Spesso si rischia di fare confusione perché i politici se la prendono coi burocrati – definiti non a caso “burosauri” – per ogni singolo ritardo. Ad esempio, qualche settimana fa Schifani ha incolpato alcuni dirigenti generali per non essersi presentati a un incontro convocato a Palazzo d’Orleans per discutere di programmi UE (chi c’era, invece, è stato redarguito per il look poco istituzionale); ma è altrettanto vero che l’indirizzo di governo è dato dal presidente della Regione e dalla giunta, e che se non si dovesse arrivare a smaltire i quasi 2 miliardi di arretrato entro il 31 dicembre, sarebbe una pessima figura anche per loro.
Di recente è stata la commissione UE dell’Ars a recarsi a Bruxelles per conoscere lo stato dell’arte: “Siamo in ritardo e non si sa se riuscirà a spendere tutte le risorse a disposizione”, ha detto il presidente Luigi Sunseri. Nelle scorse settimane è arrivata la tirata d’orecchie da parte della commissaria europea Elisa Ferreira, che ha sollecitato il governo regionale “ad assumersi la responsabilità di rafforzare il potere di coordinamento dell’autorità di gestione per i mesi finali del periodo 2014-2020 e per l’attuazione del programma 2021-2027” poiché la chiusura del programma Sicilia potrebbe essere a rischio. Sui fondi europei manca all’appello oltre un miliardo e mezzo: gli assi nevralgici sono ambiente, rifiuti ed energia, ma Schifani ha detto più volte di essere al lavoro per disimpegnare le cifre da progetti inattuabili (o non cantierabili) e rimpinguare altre economie. Di recente ha confermato che “il nostro piano è stato approvato da Bruxelles”. Basterà attendere 60 giorni per capire com’è andata.
Nel frattempo, però, bisognerà fornire risposte certe sull’approvazione della Finanziaria. La giunta ha esitato il Ddl Bilancio, ma s’è presa altro tempo per la Legge di Stabilità. Che pure sembrava “chiusa”. Invece no: Schifani è alla ricerca di un tesoretto da 25 milioni da destinare ai servizi anti-incendio, anche se la pratica non dovrebbe andare troppo per le lunghe: il via libera è atteso alla prossima riunione di giunta, poi la discussione si trasferirà nelle commissioni di merito all’Ars, e infine in commissione Bilancio prima del dibattito in aula. I tempi sembrano un po’ strettini, ma il disco verde potrebbe arrivare a ridosso di Capodanno, col rischio (calcolato) di stralciare alcune proposte e farle diventare proposte autonome (robe da “collegato”). La fretta non è direttamente proporzionale alla qualità della manovra, ma a qualcosa bisognerà rinunciare.
La giunta ha già rinunciato alla nomina dei nuovi direttori generali delle Aziende. Accampando la scusa che gli elenchi per i direttori sanitari e amministrativi, utili al completamento della “triade”, non sono aggiornati. Ebbene, da quando si è aperto l’Avviso, non si è tenuto neppure un colloquio. Servirà del tempo anche per rompere l’incantesimo fra partiti: sul metodo da adottare (e qui siamo di fronte a una disputa infinita fra Lombardo e Schifani) e sulla spartizione, anche territoriale, fra contenders. Prerogative strutturali che hanno poco a che fare col bisogno di salute di cinque milioni di persone, e che hanno finito per prolungare il commissariamento di Asp e Aziende ospedaliere da 4 a 8 mesi (almeno). Con le elezioni europee alle porte, non è detto neppure che i nuovi manager potranno insediarsi dal primo febbraio…
Un’altra questione rimasta pendente è la sanatoria delle villette a meno di 150 metri dal mare – quelle costruite fra il 1976 e il 1983 – che una proposta di Fratelli d’Italia vorrebbe “condonare”. Fra l’ipotesi di scempio ambientale e la pretesa di regolamentare l’esistente, si va avanti a spizzichi e bocconi. Il pressing del centrodestra, dopo l’ok all’emendamento, si è attenuato a un passo dall’ultimo chilometro. Inutile indispettire le opposizioni e complicarsi la vita in sede di Finanziaria. Ne riparleranno a bocce fredde, probabilmente a gennaio, quando a Palazzo dei Normanni si sarà esaurita la sessione di bilancio.
Anche sull’altro pallino di Schifani – la reintroduzione delle province e dell’elezione diretta dei loro rappresentanti – è tutto fermo. Il presidente della Regione in una recente intervista ha rilanciato l’ambizione: “Abbiamo ricevuto delle rassicurazioni dal ministro Calderoli e inoltre Palazzo Chigi non ha mai manifestato alcuna contrarietà al ddl di cancellazione della Delrio in esame da parte del Parlamento nazionale. C’è un via libera implicito”, ha detto a Live Sicilia. Ma di fatti l’abrogazione della Delrio è ferma perché l’esecutivo nazionale ha altre emergenze e il via libero “implicito” è una lettura un po’ troppo superficiale, almeno secondo il principale azionista della maggioranza: Fratelli d’Italia. Bisognerà attendere. Sembra quasi del tutto tramontata l’opzione del voto in primavera, e difficilmente si riuscirà a organizzare un election day in corrispondenza delle Europee (il 9 giugno). Bisognerà tenere a freno la fame dei partiti, che già avevano cominciato a opzionare le 300 poltrone di vecchia/nuova istituzione. Intanto sono stati nominati altri commissari alla guida dei Liberi Consorzi, anche in questo caso a lunga scadenza: 31 dicembre 2024.
C’è lo zampino della politica, stavolta di quella romana, sulla mancata assegnazione dei poteri speciali al presidente Schifani in materia di rifiuti e di autostrade (nel dettaglio: l’A19 Palermo-Catania). Forse hanno imparato da noi, o semplicemente non si fidano abbastanza. Come biasimarli…