Le vacche grasse non ci sono più e in Sicilia, da molto tempo, si è smesso di investire. Eppure resta la terra dei liberi sognatori, che ogni tanto si desta dal suo torpore e con un colpo d’ala prova a tramutare il bruco in farfalla. E i soldini in soldoni. Prendete Palermo e la sua costa sud-orientale. Eurispes, un importante istituto di studi economici, politici e sociali del nostro Paese, ha presentato un progetto di rivalutazione che gli ambientalisti, in fretta e furia, hanno definito di “cementificazione”. Che prevede la costruzione di un porto hub capace di accogliere ogni anno 16 mila container e dare lavoro a quasi mezzo milione di persone (altro che navigator). Per fare di Palermo il centro del Mediterraneo. Laddove la storia non ha resistito, ci pensa Eurispes. Che ha approfittato della venuta a palazzo Reale di Xi Jinping, il presidente cinese, per rilanciare la bontà di un progetto che da solo non può sostenersi. Avrebbe bisogno di una sponda dalla politica – e su questo ci si può lavorare – ma soprattutto di capitali freschi e stranieri (meglio se cinesi). Ma quello del porto hub è soltanto una parte delle ambizioni faraoniche dell’Isola.
Megalomani questi siciliani. L’ultimo esempio arriva da mamma Regione, che non vede più il becco d’un quattrino (a Roma sta cercando di chiudere un accordo con lo Stato per spalmare una “manciata” di milioni di debito, quasi 600), ma nel frattempo firma un piano per l’energia – periodo 2020-30 – che prevede 15,5 miliardi d’investimento per dotare l’Isola di impianti moderni che garantiscano la sostenibilità ambientale. In altre parole: serve più eolico. Il progetto, contenuto in 119 pagine che portano la firma dell’assessore all’Energia Pierobon e del dirigente generale del dipartimento Tuccio D’Urso (tornerà di moda in questa storia) si basa su alcuni punti cardine: potenziamento degli impianti energetici già esistenti, progressiva riduzione dell’impatto ambientale e ristrutturazione delle strutture vetuste: “Un altro passo importante sul piano delle programmazione – ha detto il presidente Nello Musumeci – Con il piano energetico si potrà lavorare nel prossimo decennio, puntando al potenziamento della produzione d’energia e alla contestuale tutela del territorio”.
La Sicilia è al secondo posto della classifica delle regioni italiane per la presenza di pale eoliche (la produzione dovrà crescere fino a raggiungere i 6.117 GWh – giga watt per ore). Ma l’efficienza di un terzo degli impianti è del 10% inferiore rispetto alla media nazionale. In questi mesi sta andando avanti la ricerca di aree dismesse da rendere produttive: fin qui sono state analizzate 51 fra cave e miniere per un potenziale di circa 2000 megawatt. Si proverà a renderle utilizzabili grazie a un lavoro certosino che, nel prossimo decennio, vedrà coinvolti (almeno sulla carta) 400 mila lavoratori, per una media di 35 mila l’anno. Qualcosina meno del porto di Palermo. Troppa grazia, Sant’Antonio. Il piano per l’energia dovrà passare adesso dalla giunta e dalla commissione Attività Produttive all’Ars.
Così come servirà tempo, tanto tempo, per mettere a punto un altro progetto di spessore su cui Musumeci & friends lavorano da mesi. Qui gli investimenti da reperire sono minori (nell’ordine di mezzo miliardo), ma i problemi restano. Stiamo parlando del Pirellone di Sicilia, il mega centro direzionale che il governo avrebbe voluto far nascere in via Ugo La Malfa, a Palermo, sulle ceneri dell’attuale assessorato al Territorio e Ambiente. Tre palazzoni verticali – grattacieli che segnerebbero per sempre lo skyline della città arabo-normanna – per ospitare 4.500 dipendenti regionali. Anche stavolta il progetto è custodito sulla scrivania di Tuccio D’Urso. Ma qui, a differenza del porto e dell’eolico, i soldi li metterebbe la Regione. Che oggi paga 40 milioni in affitti (a volte, di palazzi vuoti e inutilizzati) e potrebbe accendere un mutuo per completare l’opera.
Il termine massimo per la realizzazione del centro è stato fissato in una ventina d’anni. L’articolo 2 del “collegato” alla Finanziaria, che un mese fa i grillini minacciavano di sopprimere (e oggi si è scoperto che avrebbero pure i numeri) è stato notevolmente modificato rispetto all’inizio. Alcuni emendamenti di carattere tecnico sono stati apportati da Marianna Caronia, deputata autonomista a Sala d’Ercole: “Perché sull’effettiva ubicazione deve pronunciarsi il Consiglio comunale di Palermo”. Così la trafila sarà più lunga e non è affatto scontato che l’opera venga realizzata in via La Malfa dove, secondo il pentastellato Sunseri “rischia di stravolgere il traffico in un’area non servita dal tram”. Gli ha fatto eco il collega Trizzino, secondo il quale imporre il centro “con legge regionale, in deroga alle norme in materia edilizia, addirittura bypassando il piano regolatore generale, è un affronto”. Così l’articolo 2 del “collegato” ha subito un netto ridimensionamento: toccherà alla giunta approvare un testo preliminare del progetto, che poi dovrà passare al vaglio della commissione Bilancio, della commissione Ambiente e infine del Consiglio comunale di Palermo (e non solo del sindaco Orlando), che dovrà esprimersi entro 120 giorni. Poi l’iter potrà riprendere il suo cammino. Ammesso che qualcuno – ora o nella prossima legislatura – non decida di stopparlo.
Infine, torniamo al porto hub. Era la fine di luglio quando Eurispes ha annunciato un progetto avveniristico da 5 miliardi per riportare Palermo al centro dell’Europa e degli scali commerciali del Mediterraneo. L’opera, da finanziare con capitali prevalentemente privati (e come, sennò?) sarebbe un’opportunità più unica che rara. “Per le sue caratteristiche tecniche – ha spiegato Giovan Battista Rubino, componente del comitato scientifico di Eurispes – farebbe di Palermo il porto più importante del sud Europa, in grado di movimentare 16 milioni di container all’anno, contro i 5 del porto di Valencia, i 3 milioni di quello di Gioia Tauro e i 2 milioni circa dei porti di Barcellona e Genova”.
A fiancheggiare l’operazione c’è anche Saverio Romano, che in attesa di rientrare in politica dalla porta di Bruxelles (è candidato alle Europee con Forza Italia) sta sponsorizzando al massimo l’investimento: “I tempi di realizzazione – osserva il Responsabile del Dipartimento Mezzogiorno dell’Eurispes – sono di tre anni dal rilascio delle autorizzazioni, legate all’inserimento dell’opera nel piano di quelle nazionali e di carattere strategico. Ovviamente sarà necessaria una forte collaborazione tra le istituzioni, ma il ritorno economico che se ne avrebbe inciderebbe positivamente non solo su Palermo e sulla Sicilia ma su tutto il Mezzogiorno”. Ad essere interpellati fin qui sono stati i cinesi – ecco perché la visita di Xi Jinping ha assunto un’importanza cruciale – e gli arabi. Due rappresentanti della Mohammad Omar Bin Haider (Mobh), una holding di Dubai con 5 mila dipendenti e 60 filiali nel mondo, hanno incontrato a Palermo i vertici di Eurispes per prendere visione del progetto. E i colloqui potrebbero proseguire.
E in fondo alla lista dei desideri, c’è sempre il Ponte sullo Stretto. Un’opera, anch’essa faraonica, diventata teatro di una battaglia (più che altro) ideologica. Per il governo regionale è propedeutica allo sviluppo dell’Isola, per i grillini totalmente inutile. Un accordo non si troverà mai. E il progetto originario, che giace impolverato nei cassetti di Palazzo d’Orleans, rischia di finire carta straccia. Giocare al risparmio, ora che le vacche grasse sono scappate via, è il modo più facile per non farsi male. Anche se in Sicilia c’è sempre qualcuno che ogni giorno si sveglia con la voglia di strafare.