Domattina – anzi, lunedì, visto che la Santuzza ci ha graziati quest’anno anche col ponte del weekend – torneremo ad occuparci di “scaffe”, di perpetui cantieri stradali, di linee di tram che sono un po’ come l’aratro che traccia il solco del progresso tranne che poi non intervenga qualche studio particolareggiato o qualche inoppugnabile scadenza finanziaria europea a spuntare la spada della demagogia che dovrebbe difenderlo, di servizi pubblici fermi al palo, quello dei capolinea, sotto le pensiline, di centro storico e di periferie abbandonati al loro destino affidato solo al volenteroso volontariato.
A questo oramai annoso cahier de doléances i media opporranno la rituale foto sorridente dell’assessore Carta che è una sorta di salvacondotto, di lasciapassare, di tessera d’accesso al circolo dell’ottimismo, un ruolo assegnatogli forse perché urbanista stimabile, professionista credibile, figura più d’intellettuale che di politico ma insomma gli si fa quasi un torto, oramai, a piazzarlo sempre lì, iconografico contraltare alle lentezze burocratiche, alla malavolontà figlia di diatribe partitiche e di piccole baruffe di Palazzo, ai sudati affanni del sindaco Lagalla per tener tutto in piedi, buono, fra l’altro – l’assessore Carta – anche come trait d’union, cavallo di Troia, ambasciatore della giunta destrorsa presso la borghesia illuminata (?), progressista (?), avvertita (?) dell’urbe (minuscola), la stessa borghesia (?) che dice peste e corna di Sala delle Lapidi ovunque, tranne che al segue buffet.
Ma tant’è: ieri, tutto in una notte, Palermo ha avuto come ogni 14 luglio quello che voleva, il massimo che poteva, gratis ovviamente: simboli e conforto, rassicurazioni e raccomandazioni, appelli mistici e promesse secolari, preghiere e anatemi (qualcuno dovrà pur farlo il lavoro sporco della scomunica: ed ecco intervenire il più titolato, l’arcivescovo Lorefice, leit-motiv di quest’anno la droga, a un passo da casa sua, fra l’altro).
Sono sfilati i simboli, lungo il Cassaro: la Santuzza, il beato Puglisi, il missionario laico Conte, familiarmente detti, anche dalle gazzette, Rosalia, Pino e Biagio, come un trio di cabarettisti, con quella familiarità proterva e snervante come fossimo tutti compagni di tocco alla taverna, nemmeno appellarli “zio” con termine di mafiosesca riverenza. Simboli (“sventurata la terra che ha bisogno di eroi”) come il prossimo da celebrare a giorni, sul quale già si litiga a destra e a sinistra, quel Paolo di Giovanni-e-Paolo (da qui partì l’insopportabile, irriverente ostinazione onomastica) sui soliti giornali affannati a capire, come tutti, quali pezze d’appoggio autenticano la vera antimafia.
Qui, lungo corso Vittorio Emanuele, tra Porta Nuova e Porta Felice, si celebrava invece la speranza, ci si chiedeva della veridicità della rinascita o riscatto (così si dice ogni anno) su un Carro che sembrava più prosaicamente un Banana Split (con quella falce di luna e quelle sbuffanti nuvole ai pie’), in una serata affollata d’attori (mulùni et circenses) che incarnavano appunto, nella recita, la distanza siderale tra rappresentazione e realtà, tra farsa e vita, tra finto e vero, nell’unica sera in cui Palermo s’imbelletta nonostante il caldo che scioglie ogni biacca e la città inalbera pennacchi che non ha.
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Nella foto in alto l’assessore all’Urbanistica e al Centro storico di Palermo, Maurizio Carta