Fra quelli che hanno chiesto la verifica al sindaco di Palermo Roberto Lagalla, c’è anche il suo vice, Giampiero Cannella di FdI, che qualche giorno prima si faceva fotografare al Parco della Favorita assieme a Schifani per una competizione di cavalli. Oggi è diventato uno degli alleati più servizievoli del presidente della Regione. Assieme a lui gli esponenti minori dei partiti di centrodestra, che hanno approfittato dell’intervento di Faraone per aprire il fuoco su un sindaco che si sono scelti qualche anno fa, nonostante la concorrenza spietata: assieme a Lagalla si erano candidati la Varchi, Cascio, Scoma e compagnia cantante. Ma la coalizione ha riparato sull’ex Rettore, già assessore regionale all’Istruzione. Forse ritenendolo il più fragile.
Lagalla non ha un partito alle spalle – si era avvicinato a Tajani ma Caruso e Schifani lo hanno messo in fuga – e col passare delle ore somiglia sempre di più all’asino di Buridano, che non sapendo scegliere fra paglia e fieno, resta fermo e muore di fame. E così utilizza il lessico della vecchia politica, e la ritualità della prima repubblica, per sfuggire al forcing: inizialmente si pensava a un rimpasto (con la sostituzione dell’assessore ai Lavori Pubblici, Totò Orlando, di estrazione renziana), previsto non prima di gennaio; poi ha preso corpo l’azzeramento della giunta; ora si parla di tagliando. Mentre il centrodestra continua a chiedere una verifica, anche se, probabilmente, tutto si ridurrà a un vertice – una sorta di “caminetto” – da cui Lagalla uscirà con le orecchie basse e un’unica soluzione: bere o affogare. E’ già un sindaco dimezzato, e lo sa bene: da qui in avanti, anche se a farlo non dovesse essere il governatore, basterà alzare un dito per mandarlo in tilt. La reazione più logica, e anche la più coraggiosa, per uscire da questa impasse, sarebbe stata rinunciare al posto, dimettersi, e vedere come se la sarebbero cavata questi scienziati. Invece no.
La Lega con l’amministrazione c’entra poco o nulla da quando la forte corrente dei Figuccia’s è stata messa fuori gioco. Anche se sul documento che impone una riflessione a Lagalla, c’è anche la firma del senatore messinese Nino Germanà, la cui unica occupazione è il Ponte sullo Stretto. Di Palermo conoscerà a stento il Teatro Massimo, senza avere idea dell’odore di fritto che ammorba via Maqueda, delle strade dissestate, dei cantieri infiniti, dell’acqua razionata, delle cataste di rifuti, delle periferie invase dal crack. Eppure Germanà ha voluto metterci la faccia (e la firma), a costo di bloccare l’azione amministrativa per un periodo più o meno illimitato. E’ il reggente del Carroccio finché Luca Sammartino sarà sfiancato dalle note vicende giudiziarie (due accuse di corruzione). E, per la proprietà transitiva, amico e alleato fedele di Renato Schifani, che alla Regione ha nominato un tecnico al posto dell’ex assessore all’Agricoltura dopo averne accolto le dimissioni.
Schifani ha saputo esercitare il suo fascino nei confronti della Lega, ponendo una pregiudiziale sulla giunta di Palermo a seguito di una critica – rivolta a lui – da un parlamentare della Repubblica. Sembra follia, ma è una forma di narcisismo, tramutata in pratica quotidiana. E nel tranello sono caduti tutti quelli che – forse – sperano di poter approfittare della situazione. Compresi i Fratelli d’Italia, che esprimono il vicesindaco e, rivolgendosi al sindaco, chiedono una verifica “non più rinviabile”. Con che faccia… Della contesa fa parte pure Stefano Cirillo, segretario regionale della Democrazia Cristiana. Il partito di Totò Cuffaro che, a Palermo, vorrebbe ottenere il secondo assessore: uno è un po’ troppo poco. La DC non avrebbe potuto abbandonare Schifani in questa ennesima forzatura: deve salvaguardare un’alleanza che ha già dato qualche frutto alle Europee, consentendo agli azzurri di superare il 20 per cento e di far eleggere la Chinnici.
Peccato che ogni mossa del presidente della Regione, più che dall’azione di governo, sia dettata dal tentativo di irrobustire la propria squadra di seguaci, ed epurare chi esprime un dubbio o solleva una critica (non è un caso che il Mpa di Lombardo non abbia aderito alla congiura in atto). Cosa c’entri lui con l’Amministrazione di Palermo si fa davvero fatica a capirlo. E Faraone, nel frattempo, non molla il colpo. Assumendosi la paternità di un’azione che non ha neppure sfiorato l’attuale (pseudo)opposizione di Palazzo d’Orleans. “Abbiamo posto, in maniera un po’ singolare, il problema dell’emergenza idrica, dei cittadini di Agrigento e Caltanissetta senz’acqua da cento giorni – ha ribadito ieri il capogruppo di Italia Viva alla Camera -. E anche quello di un presidente di Regione incapace, che non risolve i problemi ma moltiplica le poltrone, costituisce le cabine di regia che girano a vuoto”.
“Abbiamo chiesto conto di tutto questo – aggiunge Faraone – e Schifani, anziché dimostrare cosa abbia fatto in questo anno per preparare la Sicilia a una crisi ampiamente annunciata, dedica il suo tempo a chiamare segretari di partito, servi di palazzo e lacchè per chiedere teste e abiure nei confronti di chi ha osato far emergere le sue chiarissime mancanze. I pozzi avrebbe dovuto trovarli o requisirli all’inizio di quest’anno, non a luglio o agosto, quando l’emergenza era già scoppiata. Dall’opposizione ci saremmo aspettati una parola di sostegno. Noi continueremo con più veemenza a parlare di crisi idrica mentre loro blaterano sul nulla”.
Il potere di Schifani non è più in discussione: è riuscito a costruirselo non muovendo un dito, facendo al massimo qualche telefonata, incaricando Caruso di tessere i rapporti, mostrando gratitudine e ricambiando (per cotanta vicinanza) durante le sessioni finanziarie. Così facendo è riuscito ad anestetizzare persino i partiti di minoranza. La questione non è tanto chi comanda, ma “come” si comanda. Nel caso di Schifani, attraverso il dogma dell’infallibilità. Un tempo spettava al Papa, oggi è prerogativa del governatore.
Forza Italia pensa di aver vinto il braccio di ferro
“Grazie alla forte presa di posizione di Forza Italia a tutti i livelli, si è finalmente sciolto un arcano e fatta chiarezza sulla composizione della coalizione che sostiene l’Amministrazione comunale di Palermo. Come si evince dalle dichiarazioni dell’assessore Orlando e del consigliere Chinnici, della coalizione di governo, non fa evidentemente parte Italia Viva, i cui esponenti, confermando distanza culturale e politica ed incompatibilità col centrodestra, hanno usato parole e tenuto posizioni inaccettabili nei confronti del Presidente Schifani, al quale il Gruppo consiliare esprime ancora una volta la più totale vicinanza personale e politica. C’è finalmente oggi un punto fermo, che sarà elemento di chiarezza nella discussione e nel confronto che, come già programmato, avremo con il Sindaco e i rappresentanti dei partiti del centrodestra, dal quale verranno proposte e soluzioni per proseguire l’esperienza di Governo della città di Palermo”. Lo dichiarano i consiglieri comunali di Forza Italia, insieme al coordinatore regionale Marcello Caruso, al termine di un incontro avuto ieri per valutare l’evoluzione della situazione politica cittadina.
Totò Orlando e Dario Chinnici avevano spiegato che “condividiamo valori e programmi del sindaco per la nostra città. Tra i primi, abbiamo deciso di aderire pienamente al programma politico e al progetto civico del Professore. Tutto questo è avvenuto senza alcun legame con partiti politici nazionali. Abbiamo sempre dimostrato, nei comportamenti e nei fatti, massima lealtà e spirito di collaborazione nei confronti della coalizione che sostiene il sindaco e della quale ci sentiamo di fare parte, a seguito del risultato elettorale di giugno 2022, a pieno titolo”.