Il nuovo libro di Antonio Fiumefreddo, passato agli onori della ribalta quando decise di denunciare i “politici morosi” dai vertici di Riscossione Sicilia (dove fu piazzato da Crocetta), si intitola “Pagano solo i poveri – Il patto criminale”. E’ quanto di più autentico possa emergere da un’esperienza al servizio della politica –intrapresa a Riscossione – da cui Fiumefreddo, noto avvocato catanese, decise di dare la caccia al malcostume, ai potenti che utilizzavano quella leva (la riscossione dei tributi) per arricchirsi, depauperando servizi e dignità (altrui): “Riscossione Sicilia è stato il mio osservatorio speciale – spiega Fiumefreddo – L’obiettivo non è parlare della mia esperienza, già abbastanza pubblicizzata per altri motivi. Però sentivo l’esigenza di raccontare qualcosa che accade nella nostra terra, ma che non è un fenomeno solo siciliano”.
Che cosa?
“Qualunque potere si riconosce anche per la sua capacità di riscuotere. Che alcuni paghino o non paghino non è frutto di casualità o inefficienza, ma talvolta c’è una trama, un’impostazione, una legge non scritta che porta a delle storture. Se queste storture sono gravi e consolidate, il vulnus è del sistema democratico. Se paghiamo sempre io e lei, gli altri finiranno per arricchirsi alle nostre spalle”.
Quali sono i capitoli più interessanti di questa storia?
“Racconto cosa è accaduto quando abbiamo cominciato ad “aggredire” i petrolieri, o a lavorare ai grandi patrimoni e quindi all’evasione, quella vera. E c’è quello relativo alla politica”.
Lei, già nel sottotitolo, parla di “patto criminale”. A cosa si riferisce?
“Alla prima riunione, un sindacalista si alzò in piedi e mi disse: “Lei qui conoscerà qual è il patto criminale in Sicilia”. Lì per lì mi sembrò demagogia, un’esagerazione. Invece aveva pienamente ragione. Non credo che in Italia ci sia un sistema di evasione così diffuso. E ho avuto prova che non riguarda la povera gente (con “povera” intendo non solo i redditi bassi, ma anche quelli che non hanno raccomandazioni e santi in paradiso). I miei problemi nel governo della Riscossione sono nati quando ho cercato di aggredire i grumi che erano lì, congeniti, come patologie, da quarant’anni. Non erano mai cambiati dalla gestione del potere ai tempi dei Salvo, passando per la Banca e la regione. Cambia il padrone, non le regole”.
Esistono zone grigie?
“Le faccio un esempio: nella città di Palermo ci sono posizioni di debito di singoli cittadini, titolari di attività, che superano i 150 milioni. Ma è possibile che nessuno se ne sia mai accorto e che le sale della Riscossione siano piene della povera gente che ha paura delle procedure esecutive e si mette in fila per pagare? E invece, al contrario, c’è sempre chi la fa franca? Il libro racconta questo pezzo di potere degenerato, che si è sempre imposto negli ultimi quarant’anni, al di là dei colori politici. C’è una regola non scritta, questo “patto criminale” resiste a tutto. Chi lo viola, è fuori”.
Quali sono gli ambiti più segnati da questo patto?
“I grandi patrimoni. La più grande difficoltà nell’esigere ciò che è dovuto, proviene da aziende che hanno fatto il botto e che operano nell’ambito della nettezza urbana, del movimento della terra, degli appalti, dell’ortofrutta e dell’ittico. Ambienti – è accertato processualmente – che hanno una enorme infiltrazione della criminalità. La criminalità ruba due volte: sottrae alle aziende oneste e non paga le tasse. In pochi riescono a produrre un altissimo tasso di evasione totale. E se la democrazia viene a mancare nella sua leva fiscale, è ovvio che i servizi scarseggiano”.
In tutto questo che ruolo gioca la politica?
“La politica è ancillare, risponde a dei poteri che non intende affrontare, perché la finanziano, la gestiscono, la governano, la selezionano. E’ una realtà che non ho inventato io, poiché è ben descritta da tante sentenze ed è ben nota a tutti. Combatterla ha significato mettersi contro il potere siciliano e nazionale mettendo in difficoltà anche chi mi ha nominato”.
E’ stato Crocetta.
“Attenzione, non ne faccio una questione legata ai singoli presidenti, che di fronte a questo meccanismo sono dei pesi minimi. Non esiste una classe dirigente pronta a emanciparsi da queste dinamiche e rendere un servizio vero alla gente. Questa volontà di governo non c’è stata in passato, e non mi pare ci sia oggi”.
Ma la politica ha avuto una reazione sconsiderata quando ha capito che lei non era un “amico”.
“Quando ho scelto di fare questo lavoro sapevo a quali conseguenze sarei andato incontro. Non mi aspettavo una reazione meno violenta. Pensi che alcune procedure ho dovuto firmarle personalmente perché non c’era nessuno all’interno della società che voleva assumersi la responsabilità di mettersi contro i potenti. Ma non chiesi il permesso a nessuno, perché quando devi applicare la legge non va fatto. Mi resi conto di aver messo in difficoltà il presidente della Regione, il quale però non ebbe minimamente a condizionarmi. Alla fine, quando lo ricattarono con l’approvazione del Bilancio in cambio della mia testa, fu costretto a prendere una decisione”.
E la cacciò da Riscossione. Cosa le ha insegnato tutto questo?
“Ci sono alcuni fili che in questo Paese non si devono toccare. La politica in quella occasione ebbe una reazione per conto proprio e una reazione per l’interesse altrui. Per conto proprio, perché non accettava l’idea di essere trattata alla stregua di qualsiasi altro cittadino. Mise in campo una forma di autodifesa, a tratti scomposta, tipica di una casta. L’11 agosto 2017 fecero una legge per cacciarmi, dicendo che avrebbero liquidato la società. Ma sono trascorsi due anni e la società non è ancora stata liquidata, perché non ce n’è motivo, e all’epoca non c’erano nemmeno le condizioni. Per la prima volta avevamo chiuso il bilancio in attivo dopo 21 anni”.
E quale fu la reazione per l’interesse altrui?
“Il sistema di potere fu spaventato, la politica disse ai propri mandanti: ‘Se questo si permette di pignorare noi, guardate che i prossimi sarete voi che avete i patrimoni e che negli anni avete vissuto di prescrizioni, di silenzio’. Ricordo che un deputato in commissione Bilancio mi disse ‘noi ti diamo i soldi’, come se si trattasse di un fatto personale e non di una legge dello Stato. Ecco: la politica e il governo venivano e vengono vissuti come l’esercizio di prerogative personali che nessuno deve infrangere”.
Riscossione oggi ha un debito di 400 milioni, è un carrozzone che si trascina in attesa di capire se dovrà confluire nell’agenzia delle Entrate o resterò in vita, magari con un altro nome. Secondo lei cosa avverrà?
“Non siamo più bravi degli altri a riscuotere i tributi, quindi non c’è un solo motivo per cui la Sicilia debba avere una riscossione autonoma. Ma la politica siciliana può privarsi di un potere così forte? Ritengo che questo carrozzone – che potrebbe essere una azienda formidabile – non verrà liquidata mai da nessuno. Magari se ne farà uno nuovo”.
Lei è stato per poco tempo presidente del comitato di sorveglianza di Sicilia Patrimonio Immobiliare, la società mista pubblico-privata che ha effettuato un censimento da 110 milioni che nessuno ha mai visto. E’ vero, alla luce dell’apertura di un’inchiesta da parte della commissione regionale antimafia, ha chiesto a Fava di essere audito?
“E’ vero. Io fui nominato dal presidente Crocetta, ma in tre mesi non riuscii mai ad insediarmi. Chiesi ripetutamente la documentazione relativa a questo famigerato censimento, e alla cessione degli immobili a prezzi irrisori, che poi furono riaffittati dalla Regione a prezzi impressionanti. Non ho mai avuto nulla e per questo ho avuto uno scontro feroce col presidente del comitato di gestione. All’epoca c’era un governo duale della società”.
E poi cos’ha fatto?
“Ho preso carta e penna, ho scritto una denuncia documentata e ben circostanziata, e l’ho depositata alla Procura della Repubblica. Dato che la commissione antimafia ha appena aperto un’inchiesta, credo sia mio dovere riferire. Ho da dire molte cose sull’affare della Spi, sul socio privato e sul colpo criminale inflitto alla Sicilia. Spero si trovi il tempo per ascoltarmi”.
Quali sono le anomalie che riscontra nello scandalo del censimento?
“Il suo prezzo scriteriato. E che la Regione abbia pagato suon di milioni a un privato, pur avendo la possibilità di effettuare la ricognizione attraverso i propri uffici”.
Ha mai letto quel censimento?
“Quando venni nominato, ho chiesto di poterlo visionare. Ma fu impossibile. La Regione non ha mai avuto una password per accedervi. Un lavoro inutile. Questo censimento avrebbe potuto dar luogo a un programma di dismissione, di cartolarizzazione e, in generale, a una forma di arricchimento per la Sicilia. Invece chi creò la società, consentì a un privato di avere la maggioranza. Ma la cosa più strabiliante – ne vorrei parlare in commissione antimafia – fu accorgermi che di questo patrimonio non facevano parte solo gli edifici, ma anche i beni demaniali. I beni culturali siciliani, che per quantità sono i terzi al mondo, appartengono di fatto a questa società. E’ stata ceduta sovranità a una società privata, è una follia. Io ebbi un confronto molto aspro con questo Bigotti”.
L’ha conosciuto personalmente?
“No. So che è stato raggiunto da vari provvedimenti da parte di autorità giudiziarie italiane. Mi sorprende, però, che in Sicilia continui a non succedere nulla. Questo è uno scandalo di proporzioni enormi. Qualcuno ha svenduto la Fontana di Trevi come ha fatto Totò”.
Ci sono, secondo lei, responsabilità politiche?
“Gigantesche. Non credo esista uno scandalo di uguale portata in altre regioni italiane, dove si consenta che il patrimonio naturale, archeologico e culturale finisca a una società controllata da un privato. La Regione che ci sta a fare? Il suo compito è controllare il privato, ma non può farlo perché il privato non risponde e non fornisce i documenti”.
A Taormina, nel suo ultimo incarico come capo di una municipalizzata, dovrà chiudere la fase di liquidazione di Asm che va avanti dal 2011. E le hanno concesso otto mesi. Ce la farà?
“Quando il sindaco mi ha chiamato, mi disse di avere per me un’impresa impossibile. Una società in liquidazione dal 2011, che gestisce funivia, parcheggi, acqua e un sacco di altre cose, che produce utili e per questo non può restare in liquidazione. Prima ho detto no. Poi ho trovato lusinghiera e coraggiosa la richiesta di una persona perbene come il sindaco e il consiglio comunale che mi ha dato ampio potere, così ho accettato. E’ un compito difficilissimo. Taormina merita di recuperare la propria municipalizzata e che i soldi pagati dai turisti servano a migliorare i servizi. Ci metterò il massimo impegno. Certamente sono un inquilino molto precario anche perché la mia vita è l’avvocatura. E viene prima di tutto il resto”.