Dico sul serio, avete una formidabile capacità di farmi sentire tutto il peso della mia inadeguatezza. Uniti e compatti contro il cattivissimo Salvini e io che magari nutro qualche dubbio – e vabbè, facciamo sto censimento e vediamo che viene fuori – resto col cerino in mano, come l’ultimo fesso sulla faccia della terra.
Mi fate sentire démodé come i Righeira o Mal dei Primitives, non al passo con questi tempi che pretendono modernità e inclusione costi quel che costi. Evocate le leggi razziali, brandite lo spettro del ritorno a quei tempi lì, recitate ormai a memoria la filastrocca che ci vuole indifferenti verso il dolore altrui – prima vennero a prendere gli zingari, poi i gay eccetera eccetera – come se tutto questo dovesse imbrigliare le mie domande, i miei pensieri che ho pure paura a disvelare temendo la reazione furibonda e piccata di amici larghi e stretti.
Ho la consapevolezza, e lo dico a mio demerito, di essere un uomo di pancia e di delegare a questa (alla pancia) i dubbi e le domande di un uomo senza certezze, soprattutto le domande inconfessabili di cui io stesso ho vergogna. Una per tutte. A parte Lumina, la zingara che da anni chiede l’elemosina davanti al mio bar e che ormai considero una sorta di impiegata ad honorem, conoscete un solo rom che abbia un’occupazione lavorativa?
Ha ancora senso farle, queste domande, senza essere assaliti dalla vostra supremazia culturale, dalla vostra misericordia inclusiva, dai vostri distinguo che riducono quelli come me a razzisti tout court, senza via d’uscita? No, in questi tempi del con me o contro di me, in cui si taccia per untore chi non è allineato e coperto, chi si pone domande, non è possibile.
In questi tempi di buoni e cattivi, di maestre che mettono gli alunni dietro alla lavagna, chi nutre qualche dubbio sulla volontà e capacità di integrazione dei rom è razzista. Chi non apre i porti perché per una volta che li aprano anche gli altri, è razzista. Fiutate il razzismo come i cani da tartufo, e il dramma è che credete di trovarlo in chi non partecipa alle vostre messe cantate, ai vostri girotondi, alle vostre fiaccolate, in chi cerca una verità pur sapendo che la verità, intesa come torto e ragione, non esiste.
E poi, ve lo dico col cuore in mano, vi vedo così compenetrati nel dramma dei rom che se non conoscessi la risposta potrei anche pensare che li avete a cena a casa un giorno sì e uno no, che conoscete la vita che si vive nei campi rom, che portate i loro figli al doposcuola. Nessuno di noi fa niente di tutto questo perché semplicemente – a parte ovviamente rare eccezioni a me sconosciute – ce ne fottiamo. Salvo ricordarcene quando è l’ora, qui su Facebook, di fare la lista di chi andrà in paradiso e di chi merita l’inferno.
Ma come fate a non farvi mai domande e a recitare sempre e comunque il ruolo del poliziotto buono lasciando agli idioti come me l’onere di vestire i panni del poliziotto cattivo? Questo io mi chiedo.