A bocce ferme si ragiona meglio. A liste chiuse pure. Se c’è stato un filo conduttore di questa prima parte di campagna elettorale è senz’altro il grande rito dell’ipocrisia. Che ha scelto un soggetto – Totò Cuffaro – e vi ha costruito intorno una narrativa di cattivo gusto, potendo contare (peraltro) su attori e comparse perfettamente in grado di reggere la scena. Il risultato finale di questo mese di isteria collettiva è che i voti di Cuffaro (120 mila alle ultime Regionali, che l’ex governatore pensa di poter moltiplicare fino a 250 mila) sono lì sul tavolo. In attesa che il miglior offerente si presenti in gran segreto e offra a Totò – che magari s’è mosso in maniera un po’ avventata, ma conosce bene la politica – una copiosa contropartita.

Il trucchetto di queste elezioni non è “contarsi” e vedere “quanto valgo”. Ma saldare un’alleanza in cambio di una contropartita (di governo?). Cuffaro vanta sei deputati a Palazzo dei Normanni, ma per il “grande rito” di cui è sopra, è logico averlo come alleato a Palermo, piuttosto che nella corsa a ostacoli verso Bruxelles. Vuoi mai che il Calenda di turno decida di usarlo come una pignatta… E’ la politica del doppio binario: in segreto i suoi voti profumano, in pubblico puzzano. Per questo la Santa Inquisizione della politica ha “costretto” un paio di candidati vicini al segretario della Dc, l’ex sindaco di Agrigento Marco Zambuto e la moglie dell’ex assessore-magistrato Massimo Russo, Laura Abbadessa, ad ammainare la bandiera e ritirare la candidatura. Con l’accusa di commistione “politico-familiare”.

Si sono defilati dicendo di voler preservare la propria sfera privata. Nel caso di Zambuto, la compagna Ida: persona di spiccata intelligenza e magistrato di rango, ma per sua “sfortuna” figlia di Cuffaro. Nel mondo all’incontrario siamo arrivati a tanto: “Io ho lavorato per le loro candidature – è stato il mea culpa di Davide Faraone, luogotenente siciliano di Matteo Renzi – li ho convinti io, avevo superato le loro resistenze, preoccupati di quello che sarebbe potuto accadere ed effettivamente è accaduto. La loro rinuncia mi ha distrutto innanzitutto umanamente, mi dispiace solo di essere stato responsabile del linciaggio che hanno dovuto subire”, ha detto a Live Sicilia.

Il fatto è che i voti di Cuffaro rimangono lì, a disposizione di chiunque. Potevano finire in Forza Italia per direttissima, ma Tajani e Chinnici hanno scelto – deliberatamente – di osteggiare qualsiasi forma di apparentamento pubblico: temendo che la DC schierasse ai nastri di partenza un proprio candidato o che riversasse le proprie preferenze su Luisa Lantieri, in corsa fino all’ultimo. Ma non è escluso che le preferenze dei democristiani (o presunti tali) finiscano comunque per arricchire il bottino azzurro, anche e soprattutto a beneficio di Santa Caterina dei Misteri, schierata nel ruolo di capolista: resta molto in voga il nome di Massimo Dell’Utri, in quota Noi Moderati. Chi avrebbe da ridire se Forza Italia, come per magia, si trovasse al 18% anziché al 15? Perché Tajani non ha fatto un appello per invitare il popolo della Dc – Rita Dalla Chiesa aveva parlato di “voti inquinati” – a dirottare le preferenze su altri partiti e altri candidati?

Peraltro Forza Italia è lo stesso partito che, in spregio a qualsiasi concetto di “radicamento” (citato a sproposito dal commissario Marcello Caruso) ha imbarcato nella propria lista transfughi e trasformisti: dalla Chinnici in giù. E che anche all’interno dei palazzi – nel ruolo di consulente e vicepresidente occulto – ha ingaggiato il sempreverde Gaetano Armao, che Giuseppe Maria Del Basto, in un pezzo qui a fianco, definisce “un mestierante della peggiore politica”. Ma Santa Caterina non ha avuto niente da ridire, forse perché l’ex assessore all’Economia non sarebbe in grado di aggiungere al granaio un solo voto. O perché il suo nome è meno roboante di quello di Cuffaro che, pur essendo stato condannato per favoreggiamento alla mafia, ha già scontato il suo debito con la giustizia ed è stato ampiamente riabilitato.

Il campo delle ipocrisie però è largo e sconfinato, e investe tutti coloro i quali declamano concetti alti per giustificare sostegni interessati. Come nel caso di Raffaele Lombardo e del Mpa, che dopo aver rotto i ponti con la Lega e con Salvini, hanno subito trovato un’occasione di ripartenza. Sposando la causa più nobile: la miracolata Chinnici. “E’ una persona indipendente che non appartiene ad alcuna corrente – ha detto l’ex governatore, che la ebbe come assessora fino al 2012 – è lei la nostra candidata e per lei il nostro impegno deve essere forte e grande. Viviamo questa scelta come un grande onore per noi. Abbiamo meno di due mesi di duro, durissimo impegno elettorale”. Ma in cambio di cosa?

Chinnici è una di quei politici che, una volta eletti a Bruxelles, chiudono la serratura dall’interno. L’impegno di Lombardo per Forza Italia, al contrario, prevede qualcosa in cambio. E sono svariati gli interessi del Mpa: dalla politica energetica al sottogoverno nazionale (già la Lega non ha saputo garantirgli una posizione di prestigio), senza dimenticare l’appiglio più logico. Un secondo assessore in giunta (dopo Di Mauro, che ha già dovuto subire sin troppe umiliazioni). L’ha detto apertamente il leader autonomista: “Il voto per le Europee vale perché dopo queste consultazioni bisognerà rivedere le cose anche all’interno del governo regionale. Non ci si potrà limitare a dire che bisogna cambiare tre o quattro assessori. Si dovrà guardare ai numeri”. Insomma, la corsa di Caterina non è soltanto nobiltà e grandezza d’animo; non è solo impegno per una persona che vale (e che rappresenta un presidio di legalità) e per un’Europa migliore. Tutto questo non c’entra (quasi) nulla. E’, soprattutto, un’ipoteca sul secondo assessore e sui futuri assetti sui quali Forza Italia avrà l’ultima parola. Consegnare un grande risultato ai berluscones, significherà passare all’incasso. E’ lecito, ma basterebbe ammetterlo.

Un’altra grande ipocrisia si nasconde dietro la federazione fra Lega e Udc. Uno stratagemma per tenere in vista il baldo scudocrociato – che non è quello di Cuffaro bensì di Cesa – e consentire a personaggi in cerca d’autore, altri miracolati di professione, di proseguire la propria corsa nelle istituzioni. L’Unione di Centro era sparita dalla scena: alle ultime regionali ha dovuto chiedere ospitalità a Cuffaro per far eleggere un paio di deputati (una, la moglie del segretario regionale Terrana, con appena 25 preferenze, grazie al “listino”), e a Montecitorio non aveva neppure rappresentanza. Finché Matteo Salvini, con una bontà d’animo smisurata, ha deciso di salvare la baracca: e così ha schierato il deputato Nino Minardo al fianco di Cesa, con la promessa di nuovo innesto da qui a breve.

Hanno fatto passare questa operazione come una nuova possibilità per i militanti cattolici e moderati che non trovano più riferimenti nell’arco politico attuale: ma cosa potrebbe garantire, in termini di rappresentanza, l’Udc più di quanto non facciano gli altri cespuglietti di centro (tipo un Renzi qualunque)? E in Sicilia saranno così sensibili al tema da votare Lega al solo scopo di rafforzare Cesa (e la Ester Bonafede, candidata nella circoscrizione Isole)? O assisteremo all’ennesimo crollo dell’affluenza, che mai nessuno sente proprio? Nel caso, anche l’ipocrisia avrà fatto la propria parte.