I racconti di un giovane della Prima Repubblica

Totò Cardinale è stato tre volte ministro delle Comunicazioni. Ma anche uno dei fondatori del Partito Democratico

“Un conto è urlare, un conto è governare”. Parla Totò Cardinale, natìo di Mussomeli, classe ‘48, democristiano fino al midollo, che è cresciuto nella Prima di Repubblica e ha capitalizzato nella Seconda, toccando le alte sfere del Ministero delle Telecomunicazione in una fase cruciale per lo sviluppo digitale. Proprio in questi giorni l’ex diccì ha dato alle stampe un libro-intervista (“Un giovane della Prima Repubblica”, edito da Rubbettino) con il giornalista parlamentare dell’Huffington Post, Giuseppe Alberto Falci. Un pamphlet che a tratti somiglia a un viaggio, una ricca e sorprendente traversata in oltre cinquant’anni di storia italiana. Incontriamo il giovanotto della Prima Repubblica nel bar della Galleria Alberto Sordi della Capitale, a pochi passi da Palazzo Chigi e Montecitorio.

Ecco Cardinale, il governo giallorosso, il Conte-2, ha riesumato alcune espressioni tipiche della Prima Repubblica: l’agenda, il cronoprogramma, la verifica. Per non parlare di chi ricaldeggia la proporzionale. Ed è come se in un attimo la Terza Repubblica volesse non solo voltare le spalle ma dare ragione ai protagonisti di una stagione che non c’è più.

“A parte il fatto che noi abbiamo lasciato in ogni angolo i ricordi di un tempo esaltante. C’era anche più ottimismo, i giovani sapevano che avrebbero avuto un futuro migliori di quello dei loro genitori. Tuttavia si ripescano termini che non ci sono più perché alla fine quella stagione è stata indimenticabile”.

Eppoi c’è Conte, l’inquilino di Palazzo Chigi che nasce garante di un contratto, era “solo” l’avvocato del popolo, e poi si trasforma in un politico di razza. Non a caso i suoi tic, le sue digressioni vengono spesso associate alla tradizione democristiana. Ricorda o no un diccì?

“Un conto è urlare, un altro è governare. Conte ha fatto di necessità virtù per mantenere alto il livello dell’esecutivo. Da parte sua c’è stato uno sforzo alla mediazione che in un certo qual modo rimembra quella stagione. Alla commemorazione di Fiorentino Sullo, leader della Base, il premier ha preso parte e ha lasciato intendere che non disdegna di immaginarsi come possibile continuatore di quella politica. Ma c’è un “ma”. Perché se volesse dare vita a un suo partito ciò gli sarebbe impedito dal ruolo che riveste in questa fase. In sintesi, dico che Conte somiglia o ricorda un democristiano ma solo per necessità”.

Lei ha scritto un libro sulla sua vita che di fatto è un viaggio nella Prima Repubblica. Cosa le manca di quella stagione?

“Prima di tutto l’autenticità. Poi il rispetto che si aveva delle regole democratica”.

La Prima Repubblica era un sentimento.

“Sì, è vero. Al punto che oggi molti convinti detrattori hanno cambiato idea. C’era la necessità di raccordare il cittadino con le istituzioni. I partiti erano luoghi dove si educava. E poi c’è un altro elemento da non sottovalutare: la gente si recava alle urne e sapeva per chi votare. Oggi invece è tutto rovesciato, si cerca il malessere per governare”.

Nel frattempo il Censis dice che gli italiani cercano l’uomo forte, vale a dire Matteo Salvini. Toccherà prima o poi di vedere a Palazzo Chigi il leader leghista?

“Se si votasse oggi vincerebbe certamente lui. Ed è in fondo questa la ragione che tiene insieme i gialli e i rossi. Eppure qualcosa sembra muoversi nei territori e va nella direzione di affievolire il rapporto tra il Paese e Salvini. Detto questo, il rischio è che il livello di disperazione superi una soglia e si abbozzi uno scenario del tipo: tornare all’antico non è male. Ma questo Paese ha già sperimentato…”.

Alberto Quaranta :

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