Basterebbe rileggere l’intervista di Claudio Fava a Repubblica ed evitare di scarabocchiarci sopra. Restituisce un concetto di ‘questione morale’ su cui nessuno – in politica – s’interroga (“Non significa processare i mafiosi e piangere i nostri morti” ma risiede “nella qualità di comportamenti che hanno perduto coerenza, verità, civiltà”). E poi spiega il fenomeno Sammartino come andrebbe fatto coi bambini, segnando il confine tra bravura e furbizia, fra ideali e ingordigia: “Si porta dietro alcune inchieste pesanti ancora prima di questa – analizza l’ex presidente della Commissione antimafia dell’Ars -, ma tutto ciò non gli ha impedito di transitare da una parte politica all’altra conservando la sua dote di voti. Mai un imbarazzo nei partiti in cui è sbarcato, semmai l’apprezzamento per la sua scaltrezza”.
La politica oggi s’è ridotta a mero opportunismo. La casta pensa a sbarcare il lunario, mentre là fuori ci si dispera. E la campagna elettorale assume un’importanza che l’attività di governo si scorda. Altrimenti non ci si soffermerebbe così tanto sulla composizione delle liste e così poco sulle riforme da approvare in parlamento (sono zero in questa legislatura). A dare la stura a ogni ragionamento – di morale e di prospettiva – è però il trasformismo. Di cui non ci si stupisce nemmeno più. Quello di Sammartino, capace di cambiare quattro partiti, passando dalla sinistra a Salvini, è forse il caso più clamoroso. Ma nemmeno l’unico: solo Forza Italia, da quando regna Schifani, ha accolto tra le proprie fila Gaetano Armao, che un minuto prima s’era schierato col Terzo Polo; Caterina Chinnici, finita (suo malgrado) nelle carte dell’inchiesta Sammartino, ex europarlamentare del Pd; e addirittura Giancarlo Cancelleri, che durante i suoi anni nel Movimento 5 Stelle aveva sputacchiato su Berlusconi e Forza Italia, additati come i nemici da abbattere.
“La cosa che mi imbarazza di più di queste vicende – ribadisce Fava – è il modo in cui il consenso si è fatto potere personale: un piccolo feudo elettorale che si può trasportare, perché te lo consentono, da un partito di sinistra a uno di destra, transitando per formazioni del centro. Come se in politica non ci fosse più bisogno di identità né coerenza”. I personaggi citati prima non hanno in dote gli stessi voti di Sammartino, anzi. Ma è sul concetto di coerenza – e taluni ne dimostrano meno di zero – che la democrazia rischia di ammaccarsi. “Se Caterina Chinnici passa dal Partito democratico a Forza Italia bisognerebbe chiedere non a lei, ma ai partiti che la ospitano come sia stato possibile derubricare questi cambi di rotta come dettagli privi di valore”, dice Fava.
E in effetti non sembra avere alcun valore la “fuga” di una moralista dal Pd (dove da candidata governatrice aveva escluso Giuseppe Lupo dalla lista per presunta “impresentabilità”) a un partito come Forza Italia, dove vige(va) il garantismo più assoluto, e forse qualcosina oltre. Il senso delle battaglie comuni, se esiste, non è riuscito a spiegarlo neppure Antonio Tajani, che pure l’ha presa a bordo. Perché evidentemente, grazie al peso di un cognome importante e stimato, figlio di una memoria drammatica e lacerante, la Chinnici è riuscita a fare sempre la sua parte alla vigilia delle Europee, pur assentandosi dal ring della campagna elettorale. Quando c’è stato da sgomitare, per le Regionali del 2022, è andata com’è andata.
E Cancelleri? Cresciuto a pane e forca, amico di Giggino e Dibattista, è rimasto folgorato sulla via di Silvio (quand’era ancora in vita). Disse di aver apprezzato le lusinghe di Schifani, che però non gli ha mai concesso una vetrina d’eccezione. Neppure un’occasione per mettersi in mostra, come poteva essere quella delle Europee. Eppure, al Politeama, non tutti l’avevano accolto con la puzza sotto il naso. Molti lo avevano osannato, rimarcando il suo impegno da viceministro e sottosegretario alle Infrastrutture. Guai, però, a parlargli d’incoerenza: Cancelleri ha sempre rivendicato la propria scelta di libertà, anche se certi valori, in politica, finiscono per essere persino più pregnanti. Anche alcuni dei suoi compagni grillini, tutti forca e distintivo, hanno provato a rifarsi una verginità altrove: chi con Fratelli d’Italia (l’assessore Elena Pagana) chi con De Luca (l’ex viceministro Laura Castelli) e chi con è +Europa (Federico Pizzarotti). Ma senza i classici “vaffanculo” non hanno più un voto.
Il segretario del Pd Anthony Barbagallo, reduce dalle disgrazie pugliesi del suo partito, ha offerto la sua chiave di lettura. “Forze politiche disposte a imbarcare senza remore trasformisti, signori delle preferenze e satrapi di consorterie nelle amministrazioni comunali, rappresentano il terreno ideale in cui attecchisce la pianta della corruzione”. Ma in pochi possono vantare un armadio senza scheletri. Qualche giorno fa Cuffaro, un altro succube del moralismo (ma non ancora del trasformismo), gli ha rinfrescato la memoria: “Forse non ricorda di essere cresciuto nella DC/PPI, per poi passare nel Mpa e, ancora, candidarsi alle regionali nel Pd soltanto perché allora nel Mpa valutò di non trovare le condizioni per la sua elezione che, invece, avvenne a danno dei comunisti di sempre”.
In politica non esistono santi, e non sono tutti diavoli. Ma questa arte sopraffina di riciclarsi, come avviene alla carta e alla plastica, oggi è diffusissima. Sono in tanti a farlo e in troppi a permetterlo. Gaetano Armao, dopo essersi presentato alla guida del Terzo Polo, e aver fatto comitiva con Carlo Calenda (ricavando un misero 2 per cento nelle urne), è tornato in auge a Palazzo d’Orleans con la giunta di centrodestra: Schifani, ingaggiandolo da consulente per le questioni extraregionali, in pratica ha ratificato la sua investitura a vicegovernatore occulto. E i valori? E la coerenza? E il merito? Hanno ceduto il passo all’opportunismo dilagante.
Sammartino, passato dalle 32 mila preferenze ottenute col Pd alle 20 mila cristallizzate con la Lega, ha finito per mettere nei guai anche Salvini. Che non questi scandali non c’entra nulla. Non direttamente. Eppure è stato il segretario della Lega a dargli il benvenuto dopo i trascorsi renziani, piddini, centristi (con l’Udc). Garantendogli “pieni poteri” nel partito, fino al punto di soppiantare gli ex segretari: Candiani, Minardo, la Tardino. Forse perché Sammartino è scaltro e ha i voti, o forse per qualcos’altro: abilità di governo e di relazioni? Però questo Carroccio claudicante si ritrova a scontare una pena amara – a livello d’immagine – per aver scortato al potere un uomo ch’era già di potere. Ma che rimarrà ai box tutto il tempo necessario per aver provato a fare miracoli (elettorali). Per chi, poi? Per un’ex europarlamentare del Pd, transitata da poco in Forza Italia. Che beffa.