A ricordarci quant’è stata scadente l’ultima esperienza di governo, quella di Musumeci e Armao, ci ha pensato ieri il Consiglio dei Ministri, che ha rifilato l’ennesima scoppola alla premiata ditta: “Il reiterato rinvio delle elezioni” nei Liberi Consorzi e nelle tre Città metropolitane di Palermo, Messina e Catania “e le conseguenti proroghe dei commissariamenti violano i principi di democraticità di cui all’articolo 1, comma primo della Costituzione, in quanto i referendum e le elezioni (ancorché indirette) rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare”. E’ questa la sintesi dell’ennesima impugnativa, che intacca le variazioni di Bilancio e si abbatte, scavando in profondità, sulla Regione incancrenita. Quella dove i problemi si fanno atavici e mancano i dirigenti – ma in questa fase anche i politici – per risolverli.

La situazione delle ex province, dove i commissari sono stati prorogati un’infinità di volte, farebbe arrossire chiunque: “La proroga originariamente disposta – si legge nel dispositivi – non può infatti porsi come plausibile ragione giustificativa delle successive 10 proroghe che si sono susseguite in un arco temporale di sei anni, ciò che stabilizza l’eccezionalità oltre ogni ragionevole limite”. Di questo maledetto immobilismo amministrativo Schifani dovrà occuparsi da subito – altro che Ponte sullo Stretto – per ridare un pizzico di dignità alla Sicilia abbandonata. Musumeci e l’assessore al Turismo, Manlio Messina, sono volati a Roma per incontrare la Meloni alla vigilia della prima seduta parlamentare. A Palermo non è rimasto nessuno nemmeno per il disbrigo pratiche. Del neo governatore, fra l’altro, si hanno notizie rare e rarefatte: ieri ha conversato amabilmente con Nino Minardo, segretario regionale della Lega, che gli ha ricordato quanto sia importante occuparsi di Ponte, di munnizza e di nuovi posti di lavoro. Eppure l’apparato produttivo siciliano, o quel che ne rimane, è fortemente compromesso da una crisi energetica senza fine, dal caro bollette, dagli ultimi reflussi della pandemia, che aveva già comportato la chiusura di centinaia di imprese.

L’unica cosa che funziona in Sicilia è il reddito di cittadinanza. E gli unici a non lamentarsi sono i suoi percettori. Per il resto la desertificazione avanza imperiosa. Fra i primi nodi da affrontare, magari con una squadra competente e ben amalgamata, che Schifani dovrà formare non tenendo conto del bilancino ma delle impellenti esigenze di rinascita, c’è la Finanziaria. Sarà difficile approvarla entro l’anno, considerate le lungaggini per la proclamazione dei 70 deputati. Ci sarà spazio per l’ennesimo esercizio provvisorio – il sesto in sei anni – sperando non si vada oltre i due mesi di “galleggiamento” (che vuol dire spesa limitata ai dodicesimi). Ma ciò che serve davvero è legge di Bilancio e di Stabilità che non sia scritta sulla sabbia e che, soprattutto, possa tener conto della fame dei siciliani e di tutte le indicazioni fornite dalla Corte dei Conti. La magistratura contabile, per la verità, non si è ancora pronunciata sulla parifica del rendiconto 2020, mentre a Roma, in questi mesi, è proseguito il battibecco tra il procuratore Pino Zingale e l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, i cui documenti erano al vaglio delle Sezioni riunite in composizione speciale dopo i disguidi dell’estate ’21 (per il “mancato accantonamento di 315 milioni di euro del fondo contenzioso” e una serie di altre irregolarità cui il pm non s’è mai rassegnato).

Ma nell’altarino che è il Bilancio della Regione bisognerà prestare attenzione alle decisioni della Corte Costituzionale, dopo che l’Avvocatura generale dello Stato, alla vigilia delle elezioni del 25 settembre, ha deciso di impugnare per intero la Legge di Stabilità ‘22 (in precedenza erano finite nell’occhio del ciclone 28 norme). Non sarà una passeggiata uscire da questo “contenzioso” contorto. Che i nostri governanti non sono mai riusciti a smontare, nonostante la riduzione del debito, i rating favorevoli e gli accordi di finanza pubblica. Non tutto oro, infatti, è quel che luccica: l’ultima drammatica conseguenza dei ritardi di Mamma Regione nell’approvazione della Finanziaria, è stato il blocco di 900 milioni (da versare alle imprese) a causa degli errori nel riaccertamento dei “residui attivi”, imputati a molti dipartimenti. Questi ritardi non potranno ripetersi, o sarà la fine. Per questo bisognerà costruire le proposte di legge assieme al parlamento, basandosi sulle risorse effettivamente disponibili, e non sulle promesse romane che – per un motivo o per un altro – finiscono per rallentare la liquidazione delle somme a tutte le categorie che ne necessitano.

C’è, forse, una chance residua di salvare il salvabile. Di rimettere la Sicilia sui giusti binari. Di correggere una crisi devastante di fronte alla quale, spesso, il governo ha allargato le braccia. Ma serve la politica e serve il coraggio di Renato Schifani, che in queste prime fasi non s’è visto. Coraggio nell’affrontare il tema (delicatissimo) della scelta degli assessori, specie nei ruoli apicali (per l’Economia servirebbe un tecnico?); coraggio nel mettere da parte le beghe fra partiti, proponendo soluzioni a favore di tutti quei cittadini (e sono almeno il 52% del corpo elettorale: gli astenuti) che non si sentono rappresentati da questa classe dirigente. E poi sarà necessario intervenire sul fronte della burocrazia: la decisione di alcuni Dipartimenti di richiamare all’ovile i pensionati per affidargli le pratiche del Pnrr, costituisce un pericoloso precedente; oltre che un danno d’immagine per l’amministrazione stessa, già provata dall’età media dei suoi funzionari e dall’inadeguatezza della maggior parte di essi nell’affrontare le sfide dei nostri tempi (come lamentato più volte da Musumeci).

Per determinare un cambio di ritmo, Schifani non potrà nascondersi dietro le ovvietà e il politicamente corretto. Non potrà continuare a duellare con Micciché per l’assegnazione di un singolo assessorato, sebbene il più ricco (la Sanità costituisce circa il 40 per cento del bilancio regionale); non potrà scegliere tra Fratelli d’Italia o Forza Italia, ma dovrà farsi carico di entrambi; non potrà ignorare la richiesta di trasparenza sugli atti del governo, sulla gestione dei carrozzoni, sugli scandali lasciati in sospeso (a partire da quello sull’Ente minerario, sventato in extremis da un intervento parlamentare). Non potrà far prevalere le parole e i buoni propositi sull’azione di governo concreta e reale. O far pesare il suo passato per ottenere credito. Il suo passato non basta.

Domani la proclamazione, venerdì l’insediamento

Sarà proclamato domani (giovedì 13 ottobre) il nuovo presidente della Regione Siciliana Renato Schifani. La cerimonia è in programma alle 17.30 nell’Aula magna del Palazzo di giustizia di Palermo. L’insediamento, e il conseguente passaggio di consegne con il governatore uscente Nello Musumeci, si svolgeranno venerdì, 14 ottobre, alle 18, a Palazzo Orléans, in Sala Alessi, a Palermo.