I precari di ieri, oggi, domani

Il ministro Luigi Di Maio circondato da un gruppo di operai. I suoi navigator, ridotti di numero, sono già stati declassati

La Sicilia che ci viene raccontata dai numeri è molto più reale di quella che ci racconta la politica. Prendete il caso di Bankitalia. Qualche giorno fa ha dipinto un quadro dell’orrore, su cui spesso, sempre più spesso, la politica non s’interroga più: la Sicilia conserva il tasso d’occupazione più basso fra le regioni italiane, il 40,7%, con un calo dello 0,3% rispetto al 2017 (la disoccupazione, invece, è al 21,5%, il doppio del dato nazionale). E, giusto per rendersi conto di quanto sia drammaticamente insostenibile la situazione, c’è un altro numero – 1,9 milioni – che equivale alla popolazione inattiva. Il 59,3% del totale, un dato tre volte superiore alla media nazionale. L’inattivo, di per sé, è chi non lavora, non effettua tirocini, né percorsi di formazione.

L’Isola c’è abituata, va da sé. Ma chiudere gli occhi sarebbe un suicidio. Parte di questo spopolamento occupazionale è dovuto a un fenomeno migratorio sempre più accentuato, che spinge in giro per l’Italia e l’Europa buona parte dei “ragazzi” fra i 25 e i 44 anni d’età. Il reddito di cittadinanza non era ancora declinato al tempo della rilevazione statistica. Sarà un altro dei fattori che, verosimilmente, peserà sul prossimo bilancio, fra dodici mesi, riferito al 2019. L’anno bellissimo promesso dal premier Giuseppe Conte, dalle nostre parti, resta il solito contenitore di incertezze. Che tocca le corde di numerose famiglie. Talvolta disperate, talvolta alle prese con una precarietà dilagante.

La precarietà. Anche i navigator, che di recente hanno celebrato il concorsone a Roma, si apprestano a essere l’ultima frontiera del precariato. Le assunzioni, che scatteranno per 2.980 persone in tutta Italia, 429 in Sicilia, sono state celebrate dal governo a 5 Stelle (ci sono nomi, cognomi e storie esaltate dai media). Ma si tratta pur sempre di assunzioni a tempo determinato. I contratti, ammesso che verranno firmati entro luglio, scadranno il 30 aprile 2021. Dureranno meno di due anni (27mila euro di compenso, al lordo ovviamente). Queste persone, vincitrici di concorso – a cui inizialmente si erano candidati in 80mila – devono ancora entrare in ufficio, ma hanno già appreso del loro declassamento. A differenza di quello che era stato annunciato dal governo, non lavoreranno a tu per tu con i percettori del reddito di cittadinanza in cerca di un lavoro. Non li aiuteranno nella scelta di un percorso congeniale, tanto meno provvederanno a metterli in contatto con le aziende interessate. Faranno, semmai, un lavoro di “backoffice”, di assistenza al personale già formato e inquadrato nei Centri per l’Impiego.

Un risultato ottenuto al termine di un braccio di ferro col governo da parte delle Regioni, cui spetta l’ultima parola sulle politiche attive del lavoro. E per questo hanno scelto di assegnare la mansione più complicata a chi è già del mestiere. I Centri per l’impiego, inoltre, dovrebbero essere rinnovati nella struttura. Di Maio aveva promesso un miliardo d’investimento e nuove assunzioni: dovrebbero arrivarne 5.600 a breve – ma i concorsi devono essere banditi – e altre più avanti. Entro il 2021 nei Cpi di tutta Italia entrerà personale specializzato per 11 mila unità. Fra cui, probabilmente, i già vecchi “navigator” che si saranno fatti le ossa e avranno fatto domanda per un nuovo bando.

La Sicilia è stata fra le regioni più ridimensionate in termini di presenze alla voce “tutor”. Inizialmente il ministro del Lavoro aveva garantito 6 mila nuove figure in tutta Italia, circa 800 nell’Isola, ma poi ha dovuto dimezzare il bottino. Facendo venir meno le logiche aspettative di chi nel mondo della Formazione professionale aveva già lavorato: i cosiddetti ex sportellisti, ad esempio, del cui bacino fanno parte 1800 persone. Poi, da un incontro avvenuto a Roma coi tecnici del Mise, è emerso che dall’albo originario dei formatori ne mancano 2500 e che, visto che la vertenza non può procedere separata, occorre un nuovo censimento. Gli ex sportellisti hanno già scioperato, hanno più volte sollecitato l’assessore alla Famiglia Scavone affinché si adoperasse, si sono spinti fino al Ministero. Dove hanno ottenuto la garanzia che lo Stato farà di tutto per ottenere il ricollocamento e la stabilizzazione, attraverso misure che prevedono incentivi per il pensionamento e il pre-pensionamento, oltre a all’individuazione di nuovi percorsi lavorativi (resta un’alternativa l’impiego nei Cpi, non appena verranno rafforzati). Nuovo appuntamento il 5 luglio al ministero.

Nel frattempo, in questa calda estate che per molti è già rovente, continueranno a sguazzare nel mare della precarietà. Come, in Sicilia, accade a 2600 lavoratori, i cosiddetti ex Pip (dall’acronimo di piani d’inserimento professionale), una roba inventata trent’anni fa che ormai si trascina stancamente. La vertenza di questa gente, un esercito dentro il quale si cela persino qualche condannato per reati di mafia (e reintegrato dal giudice del lavoro), è ferma addirittura alla Corte Costituzionale. Il governo regionale aveva approvato un articolo di legge per farli confluire in Resais, un misterioso contenitore della Regione che assorbe le categorie più martoriate dell’Isola, ma il governo nazionale ha impugnato la norma e ora la Consulta dovrebbe sciogliere i nodi. E’ un’attesa che va avanti da mesi.

Da anni, invece, attendono di conoscere la loro sorte i lavoratori dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese, il cui futuro – dopo l’ennesimo pacco tirato da Blutec, al centro di una mega inchiesta giudiziaria per la distrazione di alcuni fondi destinati, invece, al rilancio aziendale – è sempre più in bilico. Al momento questa platea di precari (700 lavoratori) sono mantenuti dallo Stato grazie alla cassa integrazione. Hanno persino rischiato di perderla, fin quando Di Maio non ci ha messo una pezza all’ultimo secondo. Di far partire la produzione, magari con qualcuno diverso da Blutec, non è ancora il momento. Non se ne parla. E gli ex Fiat restano a spasso: “mantenuti”, ma in fortissima crisi d’identità. E di lavoratori al buio ce ne sono anche dalle parti di Catania, dove il futuro del colosso Tecnis, tuttora in attesa di un compratore, è appeso a un filo.

Se parli di precari, ne trovi nella sanità (è sempre in bilico la questione dei 600 “contrattisti” dell’Asp di Palermo), nella pubblica amministrazione (per 314 la Regione ha individuato un iter di stabilizzazione), negli Enti Locali (i Comuni ancora si ostinato a non recepire la legge regionale in fatto di stabilizzazione), nei consorzi di Bonifica, all’Esa e in tutti i carrozzoni delle partecipate. La fabbrica del precariato è infinita. Ma il guaio peggiore, è che non esiste alcuna prospettiva di futuro nemmeno per chi, come i giovani, ha terminato un percorso universitario. Ammesso che non si trovi già fuori dalla Sicilia e non abbia deciso di spendere altrove le proprie competenze.

La Regione, di recente, ha annunciato di assumere a “tempo determinato” 110 tirocinanti per i suoi uffici: “È solo una esperienza-pilota limitata nel tempo, ma è sempre un’esaltante esperienza” ha detto il governatore Musumeci. Sarà esaltante, ma per buona parte si rivelerà pure inconcludente. Per consentire l’ingresso ai nuovi tirocinanti – speriamo non diventino i piccoli precari del domani – la Regione ha messo a disposizione 2,7 milioni di euro per le quattro università che aderiscono all’iniziativa: Palermo, Catania, Messina e la Kore di Enna. I candidati potranno avere un’età massima di 35 anni e un determinato profilo di carriera. Fa punteggio la conoscenza dell’inglese. E’ un percorso che mira a “rafforzare l’occupabilità dei giovani laureati nella Pubblica amministrazione regionale”. L’occupabilità, non l’occupazione. Che è tutta un’altra cosa. Quasi una chimera.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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