Qualcuno avrà riposto la scheda elettorale in fondo al comò dopo aver appreso che il proprio candidato è fuori dal ballottaggio; qualcun altro, com’è naturale che sia, è stufo delle urne e sceglierà di andarsene al mare. Per molti elettori siciliani sarà la quarta chiamate alle armi (ops, al voto) negli ultimi otto mesi. Francamente troppe. Una corsa affannata e stanca, ma imprescindibile per due comuni capoluogo che respirano aria di cambiamento: Messina da un lato e Ragusa dall’altro. E non è affatto una gara dal pronostico scontato.
Nella città dello Stretto è una sfida all’ultimo sangue fra Dino Bramanti, rappresentante di un centrodestra unito, e Cateno De Luca, “capo” del civismo che ha disperso la sua connotazione da centrista sulla via di Palazzo d’Orleans. Eletto alle ultime Regionali nelle fila dell’Udc, e arrestato un paio di giorni dopo per evasione fiscale (questione ancora tutta da chiarire), ha abbandonato Musumeci e la sua nave aggravando la posizione di una maggioranza già molto risicata. E’ il peggior nemico possibile per Bramanti e il governatore, che misurano a Messina una capacità di fare sintesi sempre più a rischio.
Parte avanti, in termini percentuali, il professor Bramanti che al primo turno ha raccolto il 28,2% in mezzo a sette candidati, di cui cinque molto competitivi. De Luca si è attestato diecimila voti più indietro: il 19,8% gli ha permesso di staccare Saitta e l’insidia Partito Democratico. Che per tutta risposta, abbandonata l’iniziale delusione, avrebbe potuto intavolare un discorso col centrodestra: i bene informati dicono l’abbia fatto, e che le trattative – frenetiche – siano durate almeno un paio di giorni. Alla fine senza un responso positivo. Il segretario provinciale Paolo Starvaggi, in una dichiarazione a mezzo stampa, ha negato qualsiasi ipotesi di apparentamento. Se Il Pd non si apparenta, figurarsi i suoi elettori, reduci da bastonate in serie.
Ma sul carro messinese potrebbero salire in tanti della società civile. Che fine faranno, ad esempio, i voti del Movimento 5 Stelle? Nonostante il forcing “deluchiano”, il candidato sindaco Sciacca non ha mai considerato l’ipotesi di disfarsi del suo bel pacchetto di consensi (ballano 16 mila voti). E ha spiegato anche il perché: “Messina si trova a dover scegliere tra un arrivista senza scrupoli che continua ad approfittare della buona fede dei cittadini con progetti deliranti, spacciando le sue pagliacciate da circo per politica antisistema, e i soliti noti che si nascondono dietro un falso candidato civico”. Almeno con Bramanti è stato buono.
De Luca potrebbe raccogliere consensi nell’area di Renato Accorinti, il sindaco-ormai-per-poco che si avvia a svuotare gli armadi di Palazzo Zanca dalle magliette strambe accumulate in questi anni. Un sindaco rivoluzionario nell’animo, a cui la città non ha riconosciuto, in fondo, il decantato passaggio “dal clientelismo al diritto” nella gestione della cosa pubblica. Lui promette di starsene fuori: “Ci inquieta tanto il vecchio che si maschera di nuovo quanto il paravento offerto a un sistema oscuro e rovinoso” ha spiegato nel suo slang Accorinti. Che le battaglie no-ponte dovrà condurle dall’esterno. E che ne direste di passare da un sindaco vestito male a uno totalmente svestito? Celebre la scena di De Luca che resta in mutande all’Ars per protesta contro Micciché e si copre con la bandiera della Trinacria. Distanti nelle idee, accomunati nei teatrini. E quindi potenziali acquirenti dallo stesso bacino (di voti).