A Catania i giorni scorrono tutti uguali: segnati dalle lamentele dei turisti e dal tentativo, da parte di certuni, di insabbiare lo scandalo che dal 16 luglio tiene in ostaggio i trasporti siciliani. A questo si aggiunge il rischio che il ritorno alla piena operatività dell’aeroporto, per una questione di autorizzazioni, slitti ancora. Ma a tenere sulle spine Schifani e il governo è, soprattutto l’attacco sferrato da Fratelli d’Italia nei confronti della Sac, la società di gestione del ‘Vincenzo Bellini’: “Riteniamo che la conduzione dell’aeroporto di Catania si sia rivelata evidentemente carente, specie nella programmazione degli interventi strutturali necessari, mai realizzati, per supportare negli anni il sempre maggiore flusso di partenze e arrivi – si legge nel comunicato diffuso ieri -. Anche sulla gestione dell’emergenza riteniamo che molte cose non abbiano funzionato nel mitigare i disservizi che gli utenti hanno dovuto e continuano a subire”.

E qui sorgono due elementi di valutazione: il primo riguarda gli autori. La nota, infatti, non è firmata solo dal sindaco Trantino che avrebbe potuto assumersi la paternità di un intervento a gamba tesa, a garanzia della città che amministra da poche settimane (e soprattutto delle strutture ricettive che risentono delle cancellazioni); a metterci la faccia sono i patrioti al gran completo. Vengono citati, a tal proposito, i due coordinatori per la Sicilia orientale e occidentale (Salvo Pogliese e Giampiero Cannella), i parlamentari di Camera e Senato (Manlio Messina vi dice qualcosa?) e i deputati regionali dell’Ars. Tutti insieme appassionatamente per esprimere dissenso nei confronti della “gallina dalle uova d’oro” il cui lavoro, fino a sabato scorso, è stato elogiato dal presidente della Regione – che oggi farà un nuovo sopralluogo nello scalo con Torrisi e col presidente dell’Enac – e persino dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani.

Lo stato maggiore di Forza Italia aveva espresso “apprezzamento” nei confronti dell’ad Nico Torrisi, uomo vicinissimo al deputato azzurro Nicola D’Agostino, “per la gestione dell’emergenza”. Fratelli d’Italia, invece, è di tutt’altro avviso. E qui si passa dritti alla seconda riflessione: l’appunto di FdI, così com’è congegnato, sembra rafforzare la linea Urso, il quale, a ridosso dell’evento incendiario causato dal cavo di una stampante, attaccò pesantemente la Sac: “Ormai è evidente – disse il Ministro delle Imprese e del Made in Italy – che ci sia stata una mancata programmazione e che siano state carenti le verifiche sui programmi infrastrutturali, annunciati e mai realizzati” (le parole sono identiche a quelle utilizzate ieri dai meloniani). “Il danno al sistema produttivo di Catania e della Sicilia orientale – proseguiva Urso – è grave, sia per l’impatto immediato, e non solo sul campo turistico nel pieno della stagione, sia per quello reputazionale, che rischia di perdurare nel tempo”.

A quelle parole Schifani replicò in modo scomposto, evidenziando che l’esponente del governo Meloni, a differenza dei colleghi Salvini e Crosetto, si era dimostrato poco collaborativo e, al contrario, alimentava “sterili polemiche” e “a tutela di vicende localistiche”. Chiaro il riferimento alla vicenda delle Camere di Commercio. L’accelerazione del governatore sulla ricomposizione di quella del Sud-Est (con dentro Catania, Siracusa e Ragusa) nonostante l’abrogazione nel 2021, ha segnato un punto di non ritorno nel rapporto col Ministro delle Imprese, che all’indomani di quella forzatura dopo convocò un vertice a Roma per vederci chiaro e rassicurare le associazioni di categoria.

Diversità di vedute, o semplicemente una competizione esasperata per mettere le mani su un ente camerale che possiede il 61% della Sac e sarà determinante nelle scelte future relative all’aeroporto di Catania, a cominciare dalla privatizzazione. Un conto è che i patrioti debbano assistere, quasi impassibili, ai giochini di potere di Schifani e D’Agostino (che hanno fatto imbizzarrire un altro catanese doc come Marco Falcone), già molto abili nella spartizione di incarichi e consulenze; un altro è che possano partecipare attivamente e scalare posizioni. Per decidere loro.

In quest’ottica, e in questa logica, l’avversità di FdI all’attuale governance assume altri contorni. Non è un fatto personale contro l’amministratore delegato Torrisi. Ma è un attacco dalla valenza politica, che ancora una volta – come già accaduto sul turismo – rischia di segnare in negativo i rapporti di buon vicinato tra i due partiti più importanti e ingombranti del centrodestra. Senza di perdere di vista un antefatto: è stato Ignazio La Russa, all’epoca ambasciatore di Meloni per le questioni sicule, a imporre il nome di Schifani alla coalizione (per fare uno sgarbo a Micciché); ed è Fratelli d’Italia, ogni volta, ad alzare la voce contro le scelte del governatore, che pian piano, pur assolvendo ad alcuni obblighi (come il via libera agli assessori ‘esterni’ e la staffetta fra Scarpinato e Amata al Turismo), ha provato a imporre la sua autorità tirando acqua al proprio mulino (Forza Italia). Nell’ultima fase col contributo di Tajani.

Gli unici ad aver fiutato il pericolo, almeno pubblicamente, sono quelli della Democrazia Cristiana: “Riteniamo sia opportuno che tutta la coalizione di governo e la politica – scrivono in una nota – si impegni al massimo per superare l’attuale fase emergenziale che riguarda l’aeroporto di Catania. Le polemiche non aiutano, le fughe in avanti sono inutili e rischiano di essere dannose per la Sicilia che ha bisogno del lavoro virtuoso e dell’impegno leale e costruttivo di tutti noi per superare questo tempo di difficoltà e di disagi. Tutto il resto porterebbe, invece, a pensare male, sperando, però, di non azzeccarci”. E invece no: i pensieri cattivi, che annebbiano la vista e alimentano la fame di potere anche durante un’emergenza così drammatica, restano sul piatto.

Sono il segno evidente e irreversibile di una contrapposizione feroce e fin qui sotterranea: per l’aeroporto e per tante altre questioni che andranno definendosi da qui alle Europee (e alle provinciali). Fateci caso: anche Fratelli d’Italia, nella baldoria di Sala d’Ercole, ha rivolto “un invito cordiale” a Schifani di riferire in aula sul problema degli incendi. Significa che il tempo dei saldi è finito e forse è durato anche troppo.

Urso torna alla carica: “Promesse disattese da 11 anni”

Il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, è tornato a chiedere la riapertura del Terminal A dell’aeroporto di Catania e ha sottolineato l’urgenza dell’avvio delle opere strategiche per lo scalo attese da 11 anni, in due lettere all’Enac e alla società di gestione Sac. Urso sollecita in particolare al presidente dell’Enac, Pierluigi Umberto Di Palma, verifiche sul rispetto degli impegni del concessionario. Il contratto di programma 2012-2014 già prevedeva che il Terminal “Morandi” fosse oggetto di ristrutturazione, 11 anni dopo, “non esiste ancora un progetto approvato da Enac, esecutivo e cantierabile”. Inoltre, a fronte dei 36 milioni di investimenti previsti sul Terminal A per il 2022 ne sono stati spesi solo 8 “sorge quindi il più che fondato dubbio che il Terminal A non possa dirsi adeguato a contenere il traffico previsto di 10,6 milioni di passeggeri nell’ormai imminente 2024”, scrive Urso chiedendo “di trarne doverose conseguenze, anche sul piano della verifica della sostenibilità dell’attuale struttura di terminal dei volumi di traffico in essere”.

I toni sono ancora più decisi nella lettera alla presidente di Sac, Giovanna Candura, e all’amministratore delegato, Domenico Torrisi ai quali comunque manifesta la disponibilità del ministero a fornire “utile contributo” per lo sviluppo di un’infrastruttura aeroportuale “vitale per l’intera isola”. Urso definisce “irragionevole” che, a fronte di “investimenti di rilevantissima entità realizzati a pochi chilometri il sistema aeroportuale cittadino “debba soffrire di un tale deficit infrastrutturale” che lo rende fragile progressivamente inadeguato alla crescente domanda di traffico”.