I nuovi re della toga

Quando si provoca un danno all’erario a indagare è la Procura regionale della Corte dei Conti, ora guidata da Gianluca Albo

L’antimafia è stata una lobby di potere. Così dicono le indagini. I protagonisti di una lunga stagione indossavano il vestito antimafioso per mascherare – come nel mondo alla rovescia del carnevale – la loro vera identità di affaristi.

La politica, che avrebbe dovuto vigilare, li scimmiottava perché ha capito che la parolina magica – antimafia – era chiccosa al punto giusto per accelerare le carriere.

Roberto Helg, Silvana Saguto e Antonello Montante sono caduti in disgrazia, presunti simboli – il principio di non colpevolezza è sacro – di una stagione da archiviare. Non solo mala gestio della cosa pubblica visto che, nel caso di Montante, si è registrata anche la capacità di condizionare le scelte del governo regionale, e antimafioso, di Rosario Crocetta. La politica, dunque, non solo non ha vigilato, ma si è resa partecipe dello sfascio.

Bisogna provare a guardarsi intorno per capire dove si annidino altri poteri invisibili per non farsi trovare impreparati. A pensarci bene forse è meglio partire da un contropotere, quello della magistratura contabile che controlla il lavoro della politica e della classe dirigente. Quando si provoca un danno all’erario a indagare è la Procura regionale della Corte dei Conti, guidata da qualche mese da Gianluca Albo. E c’è pure la sezione di controllo, retta da Maurizio Graffeo, che fa una verifica preventiva sulla spesa dei soldi pubblici.

Ad ogni inaugurazione di anno giudiziario della magistratura contabile, ad ogni convocazione degli organismi politici per audizioni, parifiche e passerelle varie, si ascoltano parole allarmistiche. La Regione, i Comuni, le aziende pubbliche siciliane spendono malissimo il denaro e a volte c’è chi fa il furbo.

Nel 2017 oltre cento sentenze hanno accertato un danno che si attesta sui 14 milioni di euro. Spiccioli, a fronte dei miliardi di euro che girano nella pubblica amministrazione. Il punto è che i pm contabili intervengono quando l’anomalia dei procedimenti amministrativi si fa evidente. Una valanga di atti amministrativi e di indirizzo politico sfuggono a monte al controllo, studiati a tavolino affinché l’errore non si manifesti.

Non è un caso che il procuratore Albo allarghi le braccia e ammetta le “difficoltà di contrastare i gravi fenomeni di spreco delle risorse pubbliche”. La sezione di controllo, dal canto suo, prima si affanna a lanciare l’allarme e poi non può fare altro che annotare il disastro dei conti che allontanano la Sicilia dall’Italia in termini di crescita e Pil. Un disastro tanto previsto, quanto ineluttabile. E così tutto si riduce a qualche richiamo sull’onda moralizzatrice che va tanto di moda. Dall’esperto di cani assoldato dall’Ars per occuparsi di randagismo alla buvette dei parlamentari siciliani. È vero, sono faccende urticanti che si commentano da sole, ma i problemi, quelli veri, sono altri e soprattutto non vengono risolti.

Il presidente della regione Nello Musumeci si dice “convinto della necessità di dover ripristinare in Sicilia un organo di controllo sull’attività degli enti pubblici”. Un altro?

In sintesi: è difficile scovare chi ruba, la politica si è assuefatta all’illegalità, i conti non sono in ordine, si grida “al lupo al lupo” e la nonna viene puntualmente divorata. In fin dei conti questa Sicilia ha l’antimafia che si merita. E pure la giustizia amministrativa. Questa, però, è un altra storia. To be continued…

Vittorio Paternò :

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