Il dato, purtroppo, non è – come si evince dal Documento di economia e finanza regionale – che nel 2024 avremo superato i 100 miliardi di Pil. Tanto meno che a disposizione della Sicilia, a breve, ci saranno 50 miliardi di risorse comunitarie, di cui una parte ingente proveniente dal Pnrr. Questo è uno specchietto per le allodole che torna buono all’assessore Armao per far parlare di sé e della sua preveggenza. Il dato, qui e ora, è che la Regione siciliana ha tanti di quei “contenziosi” con lo Stato, che non può concedersi il lusso di svecchiare la pubblica amministrazione – una delle peggiori d’Italia – senza trovare uno stratagemma. L’ultimo accordo Stato-Regione, firmato lo scorso gennaio da Musumeci e dall’ex premier Conte per concedere alla Sicilia la dilazione in dieci anni di 1,7 miliardi di disavanzo, infatti, impedisce di assumere, anzi obbliga al “contenimento della spesa del personale in servizio e in quiescenza”, azzerando di fatto le risorse assunzionali.
E’ questo il dato vero: quello di una Regione “commissariata” che, a causa di una gestione scriteriata dei conti, della mancata razionalizzazione delle società partecipate, di una bulimia dei centri di spesa e delle posizioni dirigenziali, di sprechi sempre più inopportuni, oggi deve sottostare a regole stringenti – Armao le chiamò “cure da cavallo” – che impediscono il più banale dei processi: rinnovare la pubblica amministrazione, rendendola più efficiente. Per questo i concorsi si contano sulle dita di una mano. Il bando per 1.100 posti nei centri per l’impiego è stato ‘sospeso’ per l’introduzione di nuove linee guida da parte del Ministro Brunetta, a cui bisogna ri-adeguarsi; resta quello per 300 neolaureati da assumere a tempo determinato (non più di tre anni) che andranno a occuparsi, come prevede un articolo dell’ultima legge Finanziaria, di progetti legati alla spesa di fondi comunitari e statali. Il 50%, come dichiarato dall’assessore Zambuto (Funzione pubblica) finirà ai Comuni, che ne hanno bisogno come il pane. L’ultima parola spetta alla giunta, che poi invierà la delibera a Roma, da cui passa – comunque – il finanziamento della misura.
E’ a Roma, al Ministero per l’Economia, che si discuterà, inoltre, l’ennesimo accordo di finanza pubblica tra lo Stato e la Regione. Quello che stabilirà l’ammontare del nuovo contributo annuo da parte della Sicilia, che qualche tempo fa, in aula, l’assessore all’Economia disse di voler abbassare rispetto all’attuale miliardo. Ne va dei prossimi bilanci. In quella sede Armao porrà le solite questioni relative all’attuazione dello Statuto, a partire dal cavallo di battaglia dell’insularità, nella speranza (remota) di ottenere risorse aggiuntive: negli ultimi quattro anni non l’hanno mai filato.
Mentre alla Corte dei Conti bisognerà chiarire il senso delle numerose asinerie collegate all’ultimo Rendiconto, che ha ottenuto la parifica con ‘riserva’: resta un mistero, ad esempio, l’ammontare del nuovo disavanzo, così come la gestione del Fondo contenziosi o dello Stato patrimoniale. E mentre su questi capitoli le risposte non arrivano, sui risultati prossimi venturi – al netto della pandemia e della campagna vaccinale – abbonda l’ottimismo. Secondo il Defr presentato dall’assessore a cavallo di Ferragosto, la Sicilia avrà un rimbalzo del Pil di poco più del 5% già nel 2021. Ma le previsioni restano previsioni. I fatti sono un’altra cosa.