I giri a vuoto di Armao

L'assessore regionale all'Economia, Gaetano Armao, dovrebbe garantire la vigilanza gestionale sulle partecipate

Mentre la Regione è sicura del destino che l’attende – il quinto esercizio provvisorio in quattro anni di governo Musumeci – l’assessore all’Economia Gaetano Armao vola a Roma: venerdì, a Montecitorio, era in programma l’ennesima conferenza sul tema dell’insularità. Armao, che è il presidente dell’intergruppo Insularità del Comitato europeo delle Regioni (CdR UE), ha fatto gli onori di casa. Al suo fianco ospiti prestigiosi: dal governatore sardo Christian Solinas al parlamentare regionale delle Azzorre, Vasco Alveis Cordero; da Apostolos Tzitzikostas, presidente del CdR, a Marie-Antoinette Maupertuis, presidente dell’assemblea Corsa. A dirigere i lavori della Plenaria Enzo Bianco, l’ex sindaco di Catania. Ce n’è per tutti i gusti e tutte le nazioni. Il tipo di palcoscenico che Armao predilige. In uno dei tanti viaggi nella Capitale che avrebbero l’obiettivo di ottenere il riconoscimento, per il tramite dello strumento europeo, delle condizioni di insularità della nostra Isola.

Un cavallo di battaglia che impegna il vicepresidente della Regione dall’inizio del suo mandato. E che sembra aver portato i primissimi frutti poche settimane fa, quando il Senato ha dato il via libera a un disegno di legge costituzionale, d’iniziativa popolare, relativo al “grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità”. Per la modifica dell’articolo 119 della Costituzione saranno necessari due passaggi alla Camera e due al Senato. Armao potrebbe non essere più assessore, ma poco importa. E’ questo il suo lascito per la Sicilia. In cinque anni di legislatura non sono mancate le tensioni – con Conte, con Draghi – ma vuoi mettere l’insularità? Onore al merito, quindi. “Un plauso al vicepresidente” è giunto anche da Musumeci che ha sottolineato il “costante impegno” del suo vice “nel perseguire questo obiettivo, a partire dalla relazione sui costi dell’insularità che ha presentato con oggettività il salatissimo conto che pagano i siciliani per vivere su un’isola, approvata anche dalla Commissione paritetica Stato-Regione”.

C’è anche questo studio, in effetti, realizzato con Prometeia e le università siciliane, che ha stimato in 6,5 miliardi l’anno la “tassa occulta” pagata dai siciliani. Gli stessi soldi che – secondo Armao – basterebbero a costruire il Ponte sullo Stretto. Un’infrastruttura che, da sola, avrebbe la capacità di abbattere i costi dell’isolamento per un anno. E basta. Poi bisognerebbe ricominciare da zero: con i viaggi, le elemosine, le spalmature e tutto ciò che comporta un rapporto conflittuale con lo Stato. A Roma i nostri rappresentanti, nel corso di questa legislatura, si sono sempre presentati con il piattino in mano. A partire dai bilaterali con il ministro dell’Economia del primo governo Conte, Giovanni Tria. La richiesta più recente riguarda i 66,7 milioni di euro che servono a chiudere le variazioni di Bilancio (stoppate da Micciché all’Ars in attesa di mettere nero su bianco le coperture). Sono soldi relativi a un nuovo accordo con lo Stato, che però tarda a materializzarsi. “Il perché dovete chiederlo al ministro Franco”, si è agitato Armao, che nell’ultima riunione-fiume con gli assessori di martedì, ha dovuto dare conto e ragione dei ritardi. I 66 milioni, infatti, erano stati annunciati a metà novembre, quando il vicegovernatore si affannava a palazzo dei Normanni per far approvare un ddl stralcio dell’ultima Finanziaria, un atto “tecnico” figlio di un accordo con lo Stato. L’ennesimo.

Dimenarsi in questa danza di numeri e buoni propositi è impresa quasi impossibile. Richiederebbe serietà e impegno a tempo pieno. Invece la sostanza ha lasciato spazio a valanga di spot: a partire dai 100 milioni annui che, dal 2022, saranno versati alla Sicilia “a titolo di acconto per la definizione delle norme di attuazione in materia finanziaria e sulla condizione di insularità” (100 milioni dopo aver denunciato 6,5 miliardi di “tassa occulta”); o l’abbattimento di circa 200 milioni, nell’accordo 2022-25, dei costi sostenuti dalla Sicilia per il risanamento della finanza pubblica (e che, si pensa, possano essere liberati già dal prossimo Bilancio); e ancora, il rinvio della rata del disavanzo relativa  al 2021, che la commissione paritetica avrebbe richiesto a Roma di posticipare “all’anno di conclusione del piano di rientro”. Finirà sulle spalle dei prossimi governi e delle prossime generazioni. Armao si vanta pure di aver ridotto il debito della Regione di un miliardo e di aver recuperato 350 milioni grazie a varie voci: 117 milioni fra risparmio sui derivati e benefici finanziari conseguenti; 120 per investimenti derivanti dalla rimodulazione dei mutui contratti con Cassa depositi e prestiti; 47 grazie alla chiusura del contenzioso con l’Esa; 68,5 dovrà riceverli da Monte dei Paschi, 7,5 dalla chiusura della querelle con Partners Sicily Properties (cioè il socio privato di Sicilia Patrimonio Immobiliare, che negli anni si è pappato 100 milioni per un censimento fantasma mai visto). Eccetera eccetera.

Nonostante questi successi sfavillanti, la Regione è rassegnata a un declino inevitabile. Significa manovrina di fine anno per salvare gli stipendi dei precari; per pagare le bollette della luce; per sopperire ai bisogni di enti e associazioni. E significa pure esercizio provvisorio, cioè l’impossibilità di pianificare la spesa per i primi mesi dell’anno (almeno gennaio e febbraio), poiché la Finanziaria 2022 è un sogno nel cassetto. Ma soprattutto significa guerra aperta con la Corte dei Conti. Su cui, probabilmente, finirà per esprimersi la Corte Costituzionale. I magistrati contabili romani hanno segnalato un paio di rilievi sul Rendiconto 2019 approvato dall’Ars (che il governo Draghi non ha impugnato), sollevando una questione di legittimità costituzionale sulla distrazione – ammesso dalle leggi vigenti – di alcune somme del Fondo Sanitario per pagare un mutuo con lo Stato. La Corte non ci vede chiaro e ha chiesto una verifica. Musumeci e Armao hanno presentato un contro ricorso alla Consulta.

Lo scontro serrato andrà avanti fino alla fine dei giorni di questo governo, che nel frattempo – magari con un altro paio di viaggi a Roma – proverà a far saltare i dettagli dell’ultimo Accordo con lo Stato, firmato a gennaio 2021 da Conte (l’ex premier) e Musumeci, che consentiva il rientro in dieci anni da un disavanzo monstre da 1,7 miliardi in cambio di un processo di riforme e di riqualificazione della spesa. Un’intesa che la Sicilia prevede di non poter onorare. Si batterà infatti per cambiarla, puntando sul fatto che questa è una fase eccezionale, che bisogna sbloccare i concorsi e ampliare gli organici, che è necessario redigere progetti per partecipare ai bandi del Pnrr. E via discorrendo. L’obiettivo è ottenere un impegno da Roma in cambio della promessa di far bene. La restituzione del maltolto in cambio di una lode al ministro di turno. A partire da quei 66 milioni, condizione necessaria e sufficiente per dare una parvenza di normalità al Natale di molte famiglie.

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