Dai fasti della primavera di Palermo ai giorni bui del suo ultimo mandato. Perché se è vero che la prima volta non si dimentica mai, la sua ennesima conferma a sindaco della quinta città d’Italia inizia a mostrare i segni del tempo. E non solo perché tra le rughe dell’ultimo mandato firmato Orlando si notano tutti gli anni che sono trascorsi, ma anche perché la cronaca ha portato a galla tutta una serie di spine che sul fianco del primo cittadino pungono eccome. Un flusso ininterrotto, quello che racconta i giorni neri dell’uomo alla guida della città che quest’anno è capitale italiana della cultura ma che, nel chiaroscuro della sua quotidianità, trasforma il bianco in nero, la bellezza in polvere.

Tutto inizia con un’ispezione del Ministero dell’Economia. Gli uomini arrivati da Roma fanno tremare il Comune di Palermo. Si parla di casse a rischio e di possibile danno erariale. Una relazione, quella del Mef, che atterra sul tavolo del sindaco con tutto il peso che porta un rilievo come questo. Contestazioni, critiche al sistema di gestione, anomalie sull’indennità di rischio per attività svolta al videoterminale, uno tsunami che farà da apripista ad un’altra gatta, molto più difficile da pelare, che arriva dalla Corte dei Conti. Ecco che dalla capitale tuonano sospetti sulla verità di alcuni dati contabili. Debiti fuori bilancio, disallineamenti con le partecipate e riscossione dei tributi le note dolenti che si riferiscono agli anni 2015 e 2016. Orlando replica ai rilievi della magistratura contabile, ma la strada per sanare queste strane anomalie resta in salita.

Se da una parte però, le note dolenti arrivano dall’alto, il suo primo sempreverde tallone d’Achille resta la partecipata. Sia che si tratti di trasporti o di rifiuti, le sue aziende sono in perdita. Nessun giro di parole così per arrivare al dunque. Amat, una delle maggiori aziende controllate del Comune di Palermo a partecipazione esclusivamente pubblica, ha un bilancio negativo. Soltanto il tram, fa un buco da 9 milioni di euro. E la Rap, senza il trattamento meccanico biologico nel contratto di servizio, non può trattare i rifiuti e questo, tradotto, porta in tilt la raccolta differenziata e intasa il sistema-Orlando, infliggendo anche stavolta una perdita da 9 milioni di euro senza riuscire a mettere alla porta lo spettro del fallimento.

La mancata elezione del suo fidatissimo Giambrone, oggi a capo della Gesap, dimostra quanto si sia frantumata anche la sua sacca elettorale. Leoluca Orlando lo candida con un’adesione in extremis al PD renziano nel collegio blindato di Palermo centro, il suo salotto. Lì il PD registra il risultato peggiore della Regione Siciliana, perdendo l’unico collegio blindato dell’isola. E, sempre nel gioco di ruoli che porta a continui colpi di scena nella regia Orlando, il sindaco che fu caro amico di Montante oggi travolto da un’inchiesta giudiziaria, diventa uno dei primi accusatori del sistema Sicindustria. Prende le distanze il professore, dimenticando gli anni di rapporti cordiali con il leader degli industriali dell’isola.

La tegola peggiore, però, colpisce e affonda il suo cerchio magico. La Procura della Repubblica rinvia a giudizio gli uomini fedelissimi del “sindaco della legalità”. Abuso d’ufficio per Totò Orlando, presidente del consiglio, per Emilio Arcuri, ex vicesindaco e oggi assessore, per Sergio Pollicita, capo di gabinetto; e poi ancora lottizzazione abusiva per Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone, dirigenti strategici coinvolti nella storia del cemento pazzo di via Miseno. Guai su guai fino ad oggi che, dalle cronache, emerge l’ennesimo dubbio sulla trasparenza di alcuni eventi riferiti al Natale 2012. Sotto accusa il direttore dell’Archivio Storico Comunale Eliana Calandra, l’ex esperto del sindaco Salvatore Tranchina, il dirigente Ferdinando Ania e il funzionario Salvatore Tallarita. Guai su guai che, alla sua quarta volta, annunciano un inverno rigidissimo capace di seppellire per sempre la sua bella primavera.