Renato Schifani è disposto a tutto per difendere la sua (ultima) ossessione. Anche sfidare la Corte Costituzionale. L’ultimo conflitto coi magistrati sorge, infatti, attorno alla riforma delle province, che reintroduce le elezioni di primo livello e garantisce soprattutto la spartizione di trecento nuovi incarichi. Un caposaldo dell’azione di governo, che per il resto è una landa desolata di annunci e buoni propositi. L’ha ribadito ieri il governatore, forse in maniera un po’ improvvida, intervistato dal Giornale di Sicilia: “Porrò agli alleati l’esigenza di approvare entro luglio la riforma delle province in commissione per arrivare in aula a settembre. Reintrodurremo il voto diretto per l’elezione dei presidenti”, probabilmente in primavera. Ma il nodo non è “quando”, bensì “come”.
La Consulta, di recente, ha bocciato – ritenendola incostituzionale – una legge approvata dall’Ars nel 2022 che prorogava di un anno il commissariamento degli enti d’area vasta e ha imposto il ritorno alle elezioni. Di secondo livello, però: cioè convogliando alle urne sindaci e consiglieri comunali, allo scopo di garantire rappresentatività. Con qualche giorno d’anticipo rispetto alla pronuncia dei giudici, però, l’Ars aveva avviato le pratiche per un’altra proroga fino al 2024 e – parola di Schifani – non ritiene di tornare indietro nonostante l’alta probabilità di schiantarsi. Ecco il ragionamento del presidente della Regione: “Se arriverà l’impugnativa del governo nazionale ci vorrà un anno prima che la Consulta si pronunci di nuovo. E noi nel frattempo avremo approvato la riforma che ricostituisce le vecchie province evitando il voto di secondo livello che non servirebbe a nulla”. Della seria: fatta la legge, trovato l’inganno.
Avrebbe almeno potuto dissimulare un po’ di pentimento, Schifani. O maggiore rispetto per le sentenze, che anche i politici e le istituzioni sono tenuti a rispettare. E invece no. Con l’ennesima furbizia – rivelata a mezzo stampa – proverà a farsi beffe delle indicazioni della Consulta e, se servirà, anche di Palazzo Chigi. E’ la questione immorale che viene allo scoperto, senza infingimenti. Ma per portare avanti questo disegno borderline, la Sicilia dovrà avvalersi della collaborazione dello Stato. Il Consiglio dei Ministri, infatti, dovrà decidere di non impugnare la riforma dei sogni, cosa non impossibile fino all’abrogazione della Legge Delrio. Eppure se il governo Meloni in prima istanza e la Consulta, subito dopo, ragionassero con la logica di Schifani, la legge prodotta dall’Ars – dopo l’estate – sarebbe fatta a pezzi per meri motivi di opportunità (o di rivalsa). E non basterebbero, forse, le rassicurazioni di Calderoli: “Ha affermato che il governo, anche se non avesse ancora legiferato sull’elezione diretta, non avrebbe impugnato la nostra legge – diceva Schifani per rintuzzare i dubbi di alcuni alleati – perché non solo non vi configurava illegittimità costituzionale ma anche perché a breve avrebbe depositato un disegno di legge analogo (cosa che puntualmente è avvenuta)”.
Il governo dei furbi pensa di spuntarla grazie alla moral suasion verso Calderoli, noto “simpatizzante” della Sicilia; ma dall’altro ignora le sentenze dei giudici, che non si pronunciano su questioni di lana caprina, bensì sulla costituzionalità o meno di una legge. Pazienza. Ma nel corso dell’intervento sul Gds, c’è un altro elemento che infonde un pizzico di inquietudine rispetto all’annosa questione morale: riguarda il dibattito d’aula richiesto a gran voce dal Movimento 5 Stelle per approfondire il fallimento di SeeSicily e l’intervento della commissione europea, che ha “minacciato” di “interrompere i termini di pagamento di eventuali future richieste nell’ambito del programma in questione, compreso il pagamento del saldo in seguito alla liquidazione dei conti annuali”, finché non avrà “ottenuto sufficienti garanzie riguardo alla legittimità e alle regolarità del programma”. Secondo Schifani non occorre parlarne: “Non vedo anomalie e criticità nel settore – ha osservato – In un momento in cui il turismo è in grande ripresa forse di questo dibattito non si avverte l’esigenza. Anche perché l’assessorato lavora con professionalità e in continuità col passato”.
A questo punto viene da chiedersi: è forse lo stesso Schifani che, a proposito del caso Cannes, parlò apertamente di “danno d’immagine” e tentò di licenziare l’assessore Scarpinato? E’ lo stesso presidente che ha sospeso in autotutela l’affidamento da 3,7 milioni al signor Nassogne per la mostra fotografica sulla Croisette, e che ha concesso il bis poche settimane fa, evitando di smazzare mezzo milione a Urbano Cairo per l’organizzazione della Palermo Sport Tourism Arena? E’ lo stesso governatore che, per spegnere gli spiriti bollenti dei patrioti, disse di aver appreso dai giornali dell’annullamento dei contratti con gli albergatori (con annessa restituzione di voucher e soldi), dopo che gli uffici avevano certificato il fallimento di SeeSicily? Se parliamo della stessa persona, è evidente che qualcosa non torna. Che ci sia un piano dell’amministrazione e uno della politica, e un altro ancora del dibattito pubblico, e che questi non coincidano. Forse il dibattito a Sala d’Ercole servirebbe a definire un po’ meglio le responsabilità, a rendere gli atti trasparenti e inattaccabili.
Ma non è il momento secondo Schifani, che piuttosto preferisce sbandierare i suoi prossimi successi. Oggi la definizione di un nuovo patto con Giorgetti, una specie di deroga, per assumere alcune centinaia di funzionari alla Regione (con un mega concorso da bandire entro l’anno); dopo l’autunno, invece, il ministro Pichetto Fratin gli ha promesso un emendamento, da agganciare a un decreto legge, per dare al governatore siciliano “poteri speciali” utili alla realizzazione di due termovalorizzatori. Sul modello Gualtieri a Roma. “Conto di preparare i bandi per la fine dell’anno. Un impianto nascerà a Palermo, l’altro a Catania” esulta il governatore. Prenotate il buffet.